Il tesoro perduto di Nora, la graphic novel fantasy che colma l’incomprensibilità degli atteggiamenti sconosciuti dei disagi mentali

by redazione

Marco Rocchi e Francesca Carità, tramite la storia della piccola Nora e di suo padre, affrontano il tema della salute mentale mostrandoci, con delicatezza e semplicità, quali sono le difficoltà, i pensieri e gli ostacoli che si incontrano su questo cammino. In occasione dell’uscita del volume i due autori raccontano a bonculture la genesi della storia, i passi fatti per riuscire a parlare con i più piccoli di un argomento complesso, perfino per gli adulti, come quello della salute mentale.

Cosa accade quando la realtà ci pone di fronte a situazioni più grandi di noi? Come gestire ciò che non comprendiamo? Da queste domande è scaturita una riflessione che ha portato alla nascita de “Il Tesoro Perduto di Nora”: una storia che vuole trattare un tema delicato quanto importante come quello della salute mentale. Le storie, soprattutto quando accompagnate da immagini, sono da sempre lo strumento migliore per affrontare, attraverso un linguaggio di facile comprensione, argomenti molto complessi.

Data l’incidenza sempre maggiore della depressione, si necessita di più conoscenza e consapevolezza del tema: in quest’ottica è imprescindibile la rappresentazione della problematica, anche attraverso le narrazioni per portare alla luce quella che purtroppo si sta rivelando una nuova normalità statistica.

Quella di Nora è una storia che si rivolge soprattutto ai bambini: sconfinando nel fantasy vuole colmare l’incomprensibilità di atteggiamenti sconosciuti. Qui l’antagonista non è un vero e proprio cattivo, bensì una problematica reale, sommersa e spesso poco trattata nella letteratura per bambini: la depressione. Sfruttando un meccanismo tipico di una mente innocente, l’interpretazione e la mitizzazione dell’ignoto portano la protagonista a trovare delle risposte fantastiche con cui superare ostacoli concreti.

Con questa graphic novel, non si vuole dare risposte facili o romanticizzare una situazione complessa. Davanti a una problematica tanto difficile non esiste infatti una semplice risoluzione del conflitto.

Se raccontare vuol dire superare i tabù, le paure e i pregiudizi, l’avventura di questa bambina vuole essere uno strumento per affrontare con semplicità temi invisibili che prima o poi potrebbero, in modo diretto o per contatto, ritrovarsi sul cammino.

Al centro di questa narrazione la certezza che il dialogo sia fondamentale per prevenire o tamponare tante possibili situazioni di disagio e di confusione in chi vive situazioni simili.

A muovere le fila di tutta la storia è una caccia al tesoro. Questo espediente deriva direttamente dall’esperienza personale del vivere accanto a una persona affetta da disturbi della personalità. La comunicazione a parole risulta molto spesso sbagliata o difficile, soprattutto nel rapporto genitore-figlio, quella delle azioni e dello scrivere è un ottimo modo per far sentire un affetto profondo, ma complesso da gestire per colpa della malattia.

Così, nei momenti migliori, l’organizzazione in casa di una piccola avventura rende palese quello che spesso è messo in dubbio da comportamenti dovuti ai disturbi. L’obiettivo è quello di riportare una sensazione di pace in mezzo a una tempesta, una speranza che spinge ad amare i propri genitori nonostante i loro limiti.

Vivere un’infanzia senza potersela permettere è la seconda chiave di lettura di questa caccia al tesoro. Quando a intermittenza viene a mancare la figura di riferimento, a doversi guidare è il bambino stesso. Così nel libro, senza rovinare troppo la sorpresa della lettura, a condurre i propri passi durante la missione di salvataggio lasciandosi messaggi di incoraggiamento per andare avanti, è proprio la protagonista che diventa, suo malgrado, genitore di se stessa.

Anche se di fatto questo risulta ingiusto è purtroppo una realtà che spesso accade. L’intento era quello di mostrare e rappresentare la solitudine che prova un bambino quando il problema non è in lui, ma nelle persone che gli vivono accanto, portandola alla luce in una forma a lui più familiare e comprensibile.

Il tema della salute mentale è molto difficile da gestire perfino per gli adulti, agli occhi di molti è ancora considerata quasi una vergogna o un capriccio piuttosto che una reale sfera della salute della persona. Per i bambini è differente, esattamente come è più facile imparare una nuova lingua se viene introdotta in tenera età con giochi semplici e con un’esposizione costante ai vocaboli, così rappresentare queste tematiche in opere di intrattenimento e con un livello di concetti semplice, alla portata della comprensione del bambino, può cambiare totalmente la percezione del problema.

Nei disturbi psicologici, esattamente come nei problemi di salute del corpo, spesso non ci sono colpe e già solo avere questa consapevolezza può cambiare il modo in cui si affrontano, su di sé o per vicinanza, queste malattie.

L’argomento trattato è stato sviluppato non solo su basi di esperienze personali ma anche tramite confronti con figure professionali. Confronto iniziato per necessità terapeutica, ma poi sfociato in monitoraggio e discussione dei temi del libro. Questo fumetto nasce infatti anche come catarsi a seguito di un lutto, come canzone d’addio a una persona cara e si caratterizza di un profondo percorso personale fatto in primis di comprensione e di superamento. Un percorso con innumerevoli ostacoli che, se alcuni concetti celati dalla paura di parlarne ai bambini fossero stati invece introdotti prima e nel modo giusto, sarebbero stati molti di meno.

Proprio questa consapevolezza è stata uno dei motori trainanti della nascita dell’opera.

L’uso di metafore più semplici possibili vuole rendere il lettore partecipe delle sensazioni provate dai protagonisti, come ad esempio il rapimento del padre da parte di figure oscure che rappresenta il concetto di dissociazione dalla realtà oppure la mancanza di linee di contorno in certe parti del disegno per dare l’impressione che si prova durante un attacco di panico. Ogni particolare che potesse essere rappresentato in maniera visivamente forte e d’impatto viene usato come un piccolo cavallo di Troia per accedere a livelli di lettura diversi. Se una certa fascia di lettori vedrà solo immagini che stimolano delle emozioni forti, magari non ancora del tutto ben definite ma indubbiamente già provate, le altre quelle stesse vignette le leggeranno in modo più sfaccettato comprendendo significati più profondi.

In ottemperanza agli strumenti cognitivi le metafore risvegliano sensazioni forti stimolando l’emotività del bambino con il rispetto che merita, senza però crudezza o mancanza di speranza.

Anche la scelta dei colori attraverso tutta l’opera è dettata dall’attento studio del loro significato emotivo. Nella parte iniziale i colori accesi caratterizzano la spensieratezza del momento, la fantasia più pura di un bambino, per poi diventare più inquietanti e surreali quando il punto di vista diventa quello del padre, durante un attacco di panico. Oppure, ad esempio durante le scene in cui la pressione psicologica cresce, la colorazione diventa più monocromatica in base al tipo di emozione che rappresenta. In un serrato inseguimento dove la paura e l’ansia prevalgono, l’uso dei rossi aiuta a sentire la sensazione di pericolo, mentre nel primo momento in cui Nora si trova a cercare il padre in una fitta foresta, il blu è il colore portante, con il suo significato di tristezza, spaurimento e perdita. Il gioco di contrasti fra elementi molto colorati e particolareggiati ed altri estremamente scuri e informi aiuta a sentire bene la linea che divide gli stati d’animo dei personaggi, le due facce della medaglia. Diventa un modo di comunicare al lettore che va direttamente a smuovere la sua emotività più atavica e inconsapevole, rendendo superflue ulteriori spiegazioni.

Quest’opera vuole essere un invito allo scoprire insieme, genitori e figli, come porsi di fronte alle problematiche del disturbo dell’umore, a prendersi per mano e affrontare un percorso, là dove possibile, seguiti da un professionista. Ancora oggi, la figura dello psicologo come aiuto suona come una sconfitta, un’ammissione di follia. Ma la terapia non è per i “matti”, è, o per lo meno dovrebbe essere, per tutti un valido strumento, essendo la normalità un puro dato statistico. Anche per questo nel fumetto è stato scelto di inserire senza fronzoli l’immagine dei farmaci come cura, esattamente come se il padre di Nora avesse avuto la febbre ci sarebbe stata un’aspirina.

Nora, davanti alle sfide della vita reale, ha il carattere tipico dell’eroina. Impavida, sempre propositiva e alla ricerca del lato positivo nelle sue avventure, guida se stessa conscia della grande difficoltà della sfida che le si sta parando davanti, creando personaggi che la accompagnano alla ricerca del papà perduto. C’è da sempre e c’è ancora molto bisogno di avere nuove figure femminili di riferimento ma che a loro volta non siano discriminatorie e si pongano come esempio valido per un pubblico di ogni genere ed età.

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