«In molti casi, la musica è un medium, un modo per vivere la fede», Valentina Morricone racconta “Salmi” il testamento spirituale di Ennio Morricone

by Michela Conoscitore

Il grande pubblico lo conosce come compositore di colonne sonore indimenticabili, due volte premio Oscar, è stato una delle personalità culturali più importanti del nostro Paese ma il Maestro Ennio Morricone era, ed è, anche altro.

Durante il lockdown ha affidato le sue riflessioni più intime ad un libro recentemente pubblicato dalla casa editrice Piemme, Salmi, che oltre ad essere un toccante testamento spirituale rappresenta, soprattutto, un significativo insegnamento di vita racchiuso nelle parole della nipote Valentina Morricone, co-autrice dell’introduzione.

bonculture ha intervistato Valentina Morricone per farsi raccontare l’esperienza condivisa col nonno, nei mesi scorsi, della stesura di una delle partiture forse più importanti che il Maestro Morricone ci ha lasciato: 

Valentina, come nasce l’esperienza di Salmi?

A marzo mi chiamò un nostro caro amico di famiglia, Arnoldo Mosca Mondadori: sapeva che Piemme aveva in preparazione questa collana sui salmi e in casa editrice ci tenevano che mio nonno ne scrivesse l’introduzione. Dato che per lui era un argomento intimo e non essendo abituato ad esporsi molto su argomenti che riguardavano la sua interiorità, Arnoldo ebbe l’idea di affidarmi questa collaborazione poiché conosceva il rapporto di fiducia che intercorreva tra me e mio nonno e anche perché studiando sceneggiatura, ho già dimestichezza con la scrittura. Quindi con me sarebbe stato più facile instaurare un dialogo e sarebbe riuscito a parlare, in una dimensione più protetta, dell’argomento. Così è stato. Durante il lockdown ci ha facilitato abitare veramente a pochissima distanza, nello stesso palazzo: gli portai la lista di salmi chiedendogli di sceglierne alcuni e dopo qualche giorno mi chiamò. Iniziammo a parlare dei due salmi che sono stati maggiormente commentati nell’introduzione.

Grazie a Salmi, il grande pubblico conosce un aspetto nascosto di tuo nonno: innanzitutto ha affermato che per quanto abbia scritto, per tutta la vita, musica per il cinema doveva comunque sottostare alla storia del film e alla volontà del regista. Secondo te con questo libro, quindi, è riuscito ad esprimere pienamente sé stesso?

Credo di sì: di base, è un lavoro a due mani anche se io ero totalmente al servizio del suo pensiero. Il mio ruolo era quello di dare voce e ordine ai pensieri di mio nonno, riflessioni scaturite durante i nostri incontri un po’ caotici essendo di natura molto intimi. Per altri da un punto di vista musicale, questo più verbale è un lavoro dove ha avuto la possibilità di esprimere il suo punto di vista senza avere limiti. L’unica regola dei nostri dialoghi era quella che lui doveva esprimersi liberamente, come un flusso continuo che io intercettavo e riordinavo.

Lui ha affermato che, a volte, le parole sono limitanti e basterebbe, semplicemente, osservare la bellezza poetica che ci circonda: è stato un cultore del silenzio e della contemplazione, suoi alleati nel comporre, che richiamano il raccoglimento nella fede. Qual è l’assonanza tra musica e religione?

Hai detto una cosa molto importante quando hai sottolineato il valore del silenzio per lui: mio nonno era una persona molto silenziosa, ascoltava moltissimo e poneva attenzione a qualsiasi voce o rumore intorno a lui. Da questo ascolto, intercettava ciò che poteva essere utile nel suo lavoro. Ripeteva spesso che per lui la musica era semplicemente la pausa del silenzio. Quindi tornando alla tua domanda, il rapporto tra musica e religione è molto legato al silenzio: come nella musica, come nell’ascolto, pregava anche in silenzio perché quell’Altrove poteva raggiungerlo solo con la meditazione e l’intimità. Pensando ai salmi, l’analogia che c’è tra composizione musicale e religione risiede nel tentativo di arrivare a Dio attraverso il canto che può essere identificato come profano, perché le nostre corde vocali sono un qualcosa di estremamente terreno. In molti casi, la musica è un medium, un modo per vivere la fede.

Così come il silenzio rende manifesta la musica, ha senso ringraziare anche per l’oscurità, in quanto ci permette di distinguere la notte dal giorno, le tenebre in cui navighiamo e la luce verso cui tendiamo”: come hai raccontato, Salmi nasce durante la pandemia, e in questa citazione tuo nonno richiama il concetto dell’essere grati nonostante i tempi bui che stiamo vivendo. Una grande lezione di saggezza, penso rivolta soprattutto alle nuove generazioni. Mentre lavoravate alla stesura del libro, quali insegnamenti hai recepito e hai fatto tuoi?

Non sono credente, ma per me è sempre interessante osservare come funzioni la fede nelle persone. Ciò che è emerso dai dialoghi con mio nonno è difficile da comprendere, ma mi affascina profondamente, lo stesso suo modo di vivere la religione. Ho compreso che la fede in Dio non è un qualcosa di astratto, ma è proprio il dono di essere ottimisti rispetto al futuro e sapere che la fede non viene meno solo perché si sta vivendo un periodo difficile e non si riesce ad ottenere quello che si desidera. La fede si testa soprattutto in questi momenti, si perpetra quando qualcosa ti viene tolto. Un altro grande insegnamento di mio nonno è stato il binomio ispirazione/lavoro: lui aveva un’etica del lavoro fortissima, parlava dell’ispirazione come di un piccolo aiuto, una scintilla che però veniva concretizzata attraverso la dedizione e un durissimo lavoro, a cui aggiungeva il rigore. Devo dire che era unico nella sua personalità. Per mio nonno la musica era un qualcosa di sacro e trascendentale, ma allo stesso tempo si applicava e lavorava su questo mondo astratto più come un operaio che come un’artista.

Al termine del suo discorso si è definito un uomo con la testa fra le nuvole in continua attesa dell’ispirazione. A mio avviso, invece, ha anche dato prova di grande concretezza:oltre ad averci donato una significativa testimonianza di fede, ci ha indicato la via da seguire nel mondo che verrà, quello post pandemia. Secondo te quali sono i valori che dobbiamo portare con noi in questi nuovi giorni, facendo riferimento agli insegnamenti di tuo nonno?

Innanzitutto fede che un giorno le cose si sistemeranno, perché tendiamo molto a buttarci giù e chiaramente questo non aiuta noi e nemmeno gli altri. Mio nonno avrebbe suggerito alle nuove generazioni di fare quel che possono fare nel momento che stanno vivendo, essendo impossibilitati a cambiarlo. Tirarne fuori il meglio e lavorare per migliorare la realtà. Penso che lui fosse abbastanza convinto che il lavoro individuale fosse già, di per sé, un lavoro collettivo: si producessero, dall’azione del singolo, effetti benefici anche per la collettività. Durante il lockdown, rispetto ai canti dai balconi, lui ha preferito rimanere in silenzio perché gli sembrava la maniera più giusta per portare rispetto a tutti…

Rispetto anche verso la situazione tragica di quei giorni?

Guarda, lui era estremamente imparziale. Non ha mai detto: quelle persone stanno sbagliando, perché ognuno è libero di viversi le cose come vuole. Per mio nonno, che aveva vissuto anche la guerra, sentire che così tante persone morissero ogni giorno lo toccava estremamente e, in quei momenti, per lui non c’era musica. La morte era solo silenzio.

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