“Kamchatka”, il libro da brividi di Marcelo Figueras: la fuga, l’altrove, dall’Argentina della dittatura militare

by Francesco Berlingieri


Marcelo Figueras, Kamchatka

(L’asino d’oro, 362 pagine, 14 euro)

Kamchatka è il più remoto, inospitale, indefinito ed impronunciabile ridotto del Risiko. Un territorio in bilico tra una realtà di nevi e vulcani e l’immaginazione del luogo ludico, che esiste solo sulla tavola da gioco, e da cui le tue armate possono attaccare il Giappone o, addirittura, l’Alaska. “Kamchatka” è l’ultima parola che un giovane padre sussurra al suo primogenito nel momento del commiato. “Kamchatka”, come una parola d’ordine, un messaggio in codice, prima di separarsi: il primo verso una due cavalli e un viaggio senza ritorno, il secondo verso una nuova vita, tra le braccia del nonno.

Kamchatka è l’esilio, la fuga, l’altrove, dall’Argentina della dittatura militare. Ma, soprattutto, “Kamchatka” è un libro da brividi. Una delle avventure emotive più belle capitatami in questo duemilaventi sfortunato, dal mio punto di vista, anche in termini di letture.

Marcelo Figueras, classe 1962, accoglie il lettore, lo accompagna, lo issa all’altezza eroica dei sette anni del protagonista e, con gli occhi sognanti di quest’ultimo, penetra una dopo l’altra le membrane dell’orrore, del disastro, di una vita familiare devastata fino alla perdita. Lo fa con un incedere sublime, poetico, leggero, senza mai sentirsi in dovere di fare didascalia di ciò che è atroce. E va da sé. Si parla di un’infanzia di giochi interrotta, di una famiglia normale, di una mamma luminosa come un’eroina di Robin Hood e forte come una Roccia, di un fratellino più piccolo – detto il Nano – entusiasta e tenero, complice e già distante dal piccolo Harry (che non si chiama così, in realtà, ma a un certo punto, in Argentina, era meglio costruirsi un’identità nuova di zecca) e dal suo mondo fatto di rospi, di letture, di Houdini. E, naturalmente, di Risiko.

Tra Herry e suo papà le partite sono a senso unico, le armate si scontrano per guadagnarsi l’intero planisfero. E continuano, in un disperato tentativo di riprodurre la quotidianità, anche quando l’intera famiglia è costretta a fuggire, a riparare in un’anonima e sconosciuta casa ai margini di Buenos Aires. Continuano, così come le merende a base di latte e Nesquik, i film alla televisione, le corse in giardino, gli abbracci e i baci. C’è dell’epica, tanta epica, nell’attenzione, nella cura con cui mamma e papà, ormai braccati dai cani di Videla, continuano a proteggere l’innocenza dei loro figli. E di tutti i figli del mondo. C’è voglia di resistere ed andare avanti, nonostante l’ineluttabilità di ciò che sta per succedere. Kamchatka è un gigantesco e mirabile tributo al coraggio, un commovente atto d’amore verso l’umanità irriducibile e, al tempo stesso, un atto di fede verso il futuro.

Leggerlo fa sentire più forti e meno soli.

Ve lo garantisco.

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