“La matematica è politica” con Chiara Valerio: “Il fallimento politico più grande è non immaginare il futuro”

by Felice Sblendorio

Riletta come prassi, e non solo come teoria, anche la matematica si può trasformare in una disciplina di umane passioni. La prova è nel nuovo libro della scrittrice Chiara Valerio, “La matematica è politica” (Einaudi, 112 pagine, 12.00 euro). In poche e densissime pagine, funamboliche e vitali non foss’altro per le citazioni, le teorie e i racconti che intersecano la vita e lo studio matematico dell’autrice, Valerio struttura un teorema a metà fra letteratura e saggistica su un tema a lei molto caro: le relazioni. In questo caso quelle che intercorrono fra la matematica e la politica, o meglio: fra la matematica e la politica democratica. Non deve spaventare l’accordo fra queste due parole, molto spesso in antitesi o in conflitto.

La matematica di cui si parla in questo libro è avulsa da quel problema di narrazione che la vuole spenta o vecchia. Risulta noiosa, di solito, perchè viene insegnata nel vuoto: in nessun tempo e in nessuno spazio per dirla con Battiato. Chiara Valerio, ribaltando questa visione, fa il contrario: racconta la matematica fra le maglie della sua vita e del suo percorso di studi, di fatto umanizzandola in una trasposizione narrativa. Così, sull’esperienza dell’autrice formata dalla disciplina come donna, cittadina e scrittrice, pensiamo alla matematica come «postura etica», una somma di processi e grammatiche «per stare al mondo e tentare di interpretarlo». Un processo di interpretazioni in grado di ripensare i concetti di verità e punti di vista, di autorità e regole, di gerarchie e comunità, di contesto e tempo. Un’educazione, in poche parole, che connette alla vita democratica quando non si rinuncia all’incertezza, si smontano le ambiguità, si governa il fallimento, si condividono verifiche e processi che costruiscono e realizzano una comunità di pensiero, una comunità sociale. bonculture ha intervistato Chiara Valerio.

La matematica è politica, scrive: democratica?

Democratica, certo, la nostra politica, quella che dovrebbe o potrebbe essere. Volevo raccontare come la matematica fosse un buon punto di vista per spiegare come funziona la democrazia. Come non prescinda dall’idea e dall’esistenza di una comunità. Volevo raccontare come la matematica spiega perché abbiamo diritto – e un dovere – al contesto.

Ragiona molto sui concetti di verità e di punti di vista. I punti di vista sono più convincenti perchè riflettono appunto un contesto, un processo, una variabilità personale?

I punti di vista sono portati dagli esseri umani. Le verità, alcune verità, sembrano esterne. E delle cose che stanno fuori di noi, anche quando dipendono da noi, sembriamo non responsabili. I punti di vista implicano una responsabilità. E responsabilità è una parola che mi pareva giusto reintrodurre nel nostro vocabolario quotidiano. A partire dal mio vocabolario. Esistono delle verità che sono accordi, convenzioni. L’analogia è quella di una proposizione o della soluzione di una equazione vera in un certo insieme di definizione e non vera in un altro.

Contro ogni forma di presunzione solitaria?

Contro l’impossibilità di una presunzione che prescinda dal contesto, e dagli altri. Un altro insegnamento della matematica. Posso stabilire da solo la validità di un teorema, ma ho bisogno della comunità che ratifichi il mio risultato. Se nessun altro ratifica la mia verità, quella verità non esiste. La matematica che viene presentata, raccontata e immaginata come una disciplina di persone – specialmente uomini – solitarie, invero è una disciplina che coltiva e non prescinde mai dal collettivo.

Non l’autorità ma le regole che, come le leggi e le sanzioni, appartengono sempre al tempo, allo spazio e a un processo di formazione e contratto collettivo. Perchè le regole sono indispensabili?

Anche non avere regole è una regola. Diciamo dunque che non si esce da un sistema di regole. Mi interessava soprattutto analizzare la differenza tra l’autorità (che si subisce) e le regole (che si concertano).

La democrazia, come sottolineava Kelsen in “Essenza e valore della democrazia”, è «soltanto una forma, un metodo di creazione dell’ordine sociale». Il processo democratico attuale si basa su metodi condivisi?

Mi sembra di sì, con tutti i limiti.

Usa spesso il verbo manutenere. Le forme democratiche non sono mai definitive?

Evolvono in accordo alle esigenze e direi ai desideri e alle possibilità civili delle persone che quella democrazia sostengono, esercitandola e consustanziandola, con comportamenti democratici.

La democrazia allena alla responsabilità più che alla colpa, sottolinea. Durante il confinamento questa distinzione è venuta meno?

Mi pare che i cittadini italiani, nonostante il racconto non sempre elogiativo, e le foto spesso falsificate di assembramenti et alia, siano stati responsabili. Anche in queste ultime settimane di nuova diffusione, la curva dei contagi è sotto controllo e rispettare i distanziamenti e le altre norme igienico-civili è fondamentale.

Critica la spettacolarizzazione del privato, della sessualità, dei tratti caratteriali dei politici. Oggi, come sostiene Emma Bonino, «il privato è inutilmente pubblico e il personale non è più politico»?

Completamente d’accordo, come molte altre cose, con Emma Bonino.

La politica dovrebbe esercitare le sue funzioni in un tempo «umano». Molto spesso, però, quello della politica dimentica il tempo più esigente e pratico della vita. È il fallimento più grande?

Credo che il fallimento più grande, o così mi pare, riguardi di certo il tempo, ma non un tempo presente. Mi pare che il fallimento politico più grande sia non immaginare il futuro e disinteressarsi del principale strumento di analisi e possibilità di futuro: la scuola pubblica.

La matematica in questo aiuta perchè è naturalmente portata a fallire?

Non è naturalmente portata a fallire, non direi questo; ma avanza per verità assolute e provvisorie. Si può essere in fondo certi solo dell’errore. Pensi in fisica: si può essere certi solo se un esperimento non funziona, dell’errore. Per trasformare le certezze in ipotesi, per valutarne l’errore nelle certezze che si sono stabilite, ci vuole tempo. Insomma, l’errore – come quasi tutto – è un processo.

Alla scienza chiediamo sempre più certezze infallibili. È un cortocircuito?

Un essere abituati a trattare cose che non capiamo – pensando che non riusciremo mai a comprenderle – come questioni superiori, religiose.

I linguaggi sono sempre supportati da una grammatica. Quella matematica umanamente cosa le ha insegnato?

Che esistono gli altri. Che gli altri sono irriducibili al racconto che ne facciamo. Che questa irriducibilità significa, quando la si scompone in una prassi, e non in una teoria, in osservazione, rispetto, e ascolto.

In Storia Umana parlava della matematica e del tempo, qui aggiunge un sostantivo come fatica. La complessità, che richiede un impegno sganciato dalla tirannia del presente, ci terrorizza?

Credo di sì, ne intuisco le motivazioni, ma credo si debba cominciare a dire che certe trame di serie televisive, certi videogiochi, certe chat dei genitori a scuola, il trovare un appartamento che soddisfi almeno un trenta percento di necessità di chi lo cerca, assicurarsi che i prodotti alimentari che si comprano rispettino almeno la metà dei valori nutrizionali ed ecologici che assicurino la vivibilità e la sostenibilità del sistema Terra, azioni e valutazioni che, in breve, facciamo quasi quotidianamente, e di certo regolarmente, siano altrettanto complesse. Dunque, perché non interessarsi anche alla prassi teoretica oltre che a quella pratica?

Devoti all’intrattenimento in un Paese in cui anche il racconto della politica è sempre più “infotainment”. Lei come si difende?

Leggo. Che è anche un intrattenimento, del quale però si decide il tempo e lo spazio.

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