«L’alterità islamica è così vicina a casa nostra». Dall’Impero Ottomano a oggi a Lezioni di Storia Laterza: Alessando Vanoli racconta il rapporto dell’Europa con l’Islam

by Anna Maria Giannone

“Aveva poco più di vent’anni Maometto II quando, dopo quasi due mesi di assedio espugnò con il suo esercito l’ultimo baluardo dell’Impero Romano in Asia, conquistando un potere mai assunto prima da altri sovrani musulmani. Era l’alba del 29 maggio del 1453 e da quel momento il mondo non sarebbe stato più lo stesso.

Il viaggio nella presa del potere delle “Lezioni di Storia” Laterza, giunge domenica 28 marzo a Costantinopoli per raccontare la grande conquista del “Fatih” e le dinamiche di una campagna bellica a lungo studiata, il cui esito vittorioso concretizzò la vocazione universale dell’Impero Ottomano. In streaming dal Teatro Grande di Brescia lo storico e scrittore Alessandro Vanoli ripercorre le vicende che spalancarono all’Islam le porte dell’Europa gettando le basi per la costruzione dello spazio Mediterraneo. Introdotta da Paolo di Paolo, la lezione di storia è visibile a partire dalle 8.00 di domenica 28 marzo sulla piattaforma Auditoriumplus.com, seguita alle 19.00 da una sessione di domande dal vivo sui canali social dell’Auditorium Parco della Musica. Noi di bonculture abbiamo intervistato Alessandro Vanoli.

La caduta di Costantinopoli è uno degli eventi leggendari della storia universale. Da che prospettiva racconta questa vicenda?

Il punto di partenza, come sappiamo, è il potere. La caduta di Costantinopoli non è il momento in cui Maometto II prende il potere − quello lo ha già perché è un sultano − ma è il momento in cui assume su di sé un potere infinitamente maggiore, assommando di fatto tre storie diverse: quella che viene dalla sua tradizione nomade turca, la tradizione del potere sultanale islamico e infine l’eredità imperiale di Roma. È quello il miraggio per cui lui è lì a Costantinopoli nel maggio 1453.

E là inizia una storia nuova per il mondo…

Ogni tanto capita nella storia di trovarsi in un momento di vero passaggio, quello lo è stato. Maometto II prende su di sé tre tradizioni arrivando al raggiungimento di un potere nuovo che mette assieme l’Asia profonda, quella delle steppe, l’Asia della tradizione islamica e poi l’Asia di Roma, perché per molto tempo Roma è stata anche Asia essendo Costantinopoli diventata il residuo dell’impero.

Quali sono i simboli più evidenti di questa nuova forma di potere?

Nel mio racconto utilizzo un’immagine emblematica, quella del Topkapi. Il palazzo del sultano riesce a spiegare meglio di molti discorsi teorici il potere raggiunto da Maometto II. Affacciato sul Bosforo, il palazzo fu fatto erigere da Maometto subito dopo la presa di Costantinopoli, più o meno dove prima si trovava quello dell’Imperatore. La cosa che colpisce ancora adesso chi visita questo palazzo è che non ci si trova, come ci si aspetta, in una specie di Versailles. Il Palazzo si sviluppa in una serie di giardini, uno più nascosto dell’altro, all’interno del quale, come in una sorta di campo nomade, si trovano spazi, palazzetti, chioschi. Di fatto è l’immagine probabilmente più chiara del senso del potere raggiunto da Maometto II: lui fa replicare in pietra un accampamento nomade. Le tende diventano di pietra, decorate con maioliche e non più con tappeti.

L’impero Ottomano rappresenta da quel momento una controparte importante per l’Europa.

Sì, anche se dipende molto da chi ne parla, a seconda delle fonti il racconto della storia cambia. Gli umanisti europei descriveranno Maometto II come un tiranno sanguinario. Dall’altro lato però per i commercianti ci sarà una sostanziale continuità che non interromperà mai gli scambi con l’Oriente. Il denaro circola sempre e segue le sue vie. L’alterità c’è naturalmente: i turchi sembrano esotici, si vestono in maniera strana, ma di fatto inizieranno a diventare dei partner per il commercio europeo a tutti gli effetti. In realtà quell’alterità diventerà sempre più vicina di casa nostra. Quel nemico che prende forma in quel periodo in realtà è tutt’oggi un soggetto con cui interagiamo tantissimo e che fa parte della nostra storia profonda come raccontano gli oggetti, il gusto, la lingua che ci accomuna. Da quel momento si avvia un’ibridazione genetica oltre che culturale. Qualsiasi DNA del mediterraneo − è stato provato − è patrimonio comune e attraversa tutte le sponde. Ci sono certo delle enormi differenze ma abbiamo spesso gli stessi codici.

Nel suo libro “Storia del Mediterraneo in 20 oggetti” avete scelto 20 oggetti archetipici proprio per raccontare questo rapporto. Se dovesse scegliere oggi un nuovo oggetto per raccontare il presente del Mediterraneo quale sarebbe?

A marzo scorso, durante il lockdown, ho realizzato una serie di clip per il web in cui raccontavo la storia degli oggetti che avevo in casa: alcuni spiegano molto bene questo rapporto. A partire dal divano, in arabo il luogo del consiglio dei ministri: quando lo videro i diplomatici europei non portarono a casa i ministri ma quella cosa morbida su cui sedevano, noi non l’avevamo, sedevamo sul duro. Ancora, molto banalmente il caffè che ho preso prima, scoperto per la prima volta nel suo utilizzo dai turchi e poi arrivato a noi passando da Venezia. La vera continuità è data dal fatto che abitiamo lo stesso mare, siamo obbligati a frequentarci. Non c’è un solo oggetto che possa rappresentare questo rapporto oggi, ormai ci siamo scambiati così tanto che è difficile riuscire a immaginare una cosa che non sia loro e nostra, dove secondo me l’errore di base è ragionare in termini di distinzione fra noi e loro.

La storia del Mediterraneo è anche una storia di contrapposizione religiosa. È stata un’ostilità costante?

La storia ha delle maglie più larghe. Certo nel medioevo e nell’età moderna c’è stata una storia di contrapposizione militare fra islam e cristianesimo. Di fatto, in realtà, le forme di relazione fra le due religioni sono molto più complicate. Anche Maometto II, non nell’assedio ma in altre circostanze, si servì di truppe cristiane per ragioni pratiche ed economiche. Adirittura i bizantini stessi, prima di essere conquistati, hanno aiutato Maometto in molte circostanze, sperando che facendo così lui li lasciasse stare. L’opposizione è una grande semplificazione: quando si ha paura si semplifica.

Lei ha affermato che mai come oggi, sarebbe necessario tenere presente che noi europei siamo, in fondo, una piccola escrescenza sul lato sinistro della mappa dell’Asia. Ci spiega?

Innanzitutto questo è vero geologicamente. Non c’è una separazione naturale tra Europa e Asia, c’è una separazione politica. Molto spesso quando facciamo la storia della nostra piccola Europa ci dimentichiamo di guardare ai grandi movimenti del passato che hanno spigato − e continuano a farlo − le ragioni di ciò che accade oggi. Sarebbe quasi impossibile comprendere l’esplosione della ricchezza nel 200 e 300 del Medioevo senza ricordare le relazioni intrecciate con i mercanti d’Asia. Sono mondi collegati inevitabilmente. Questa relazione è il motore di tante cose che sono accadute e accadono in questo spazio geografico

Siamo in un’epoca di grande ridefinizione geopolitica?

Abbiamo sempre studiato, comprensibilmente, la nostra storia con una prospettiva italo e eurocentrica. Questo non ci ha permesso di vedere come nel passato l’Asia sia stata, talvolta, molto più importante dell’Europa. Come è logico che sia gli equilibri cambiano nella storia: oggi l’Asia sta dimostrando tutta la sua forza. Su questo non c’è molto da fare, c’è solamente da prenderne coscienza. Rivendicare una presunta importanza oggi sarebbe dimenticare che non è un dato storico assoluto. Il concetto di importanza non è così utile per uno storico, non serve a capire le cose. È necessario invece studiare e comprendere le reti, le connessioni. Appare molto evidente dove stia tirando ora il mercato, dove spingano queste connessioni: verso la Cina, ma non solo, anche verso la Turchia, il centro Asia, il sud est asiatico, la Russia. Esistono dei cicli nella storia e molto probabilmente il nostro, Europeo e Americano, si è esaurito.

Spesso ha utilizzato il teatro per raccontare la storia. Che possibilità dà questo linguaggio?

Non sono un accademico, sono uno scrittore, faccio radio e anche teatro. Il mio tentativo è stato sempre quello di fare della storia un racconto. Le Lezioni di Storia di Laterza hanno una loro dinamica che mi diverte molto. Ho sperimentato poi anche tante altre strade, cercando di capire come si possa fare storia divertendo, spingendo il pedale sulla narrazione per raccontare le cose ridendo e riflettendo assieme. A volte basta poco, anche una canzone per rendere il pubblico più partecipe. Ho avuto la fortuna di essere amico di Lino Guanciale, con lui ho portato nei teatri lo spettacolo “Le parole e il mare” e ho imparato molto.

Sta scrivendo un nuovo spettacolo?

Sto lavorando a uno spettacolo su Cristoforo Colombo, una cosa molto attuale perché ha a che fare con il nostro rapporto con la storia, con il giudizio che ne diamo. Cerco di raccontare queste vicende partendo da punti di vista diversi, per riflettere con il pubblico sul senso della storia e su come non sia solo una questione di date ma anche e soprattutto una questione di dubbio. Il dubbio è un buon grimaldello per guardare alla realtà.

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