L’arte di sbagliare alla grande secondo Enrico Galiano

by Michela Conoscitore

Un celebre adagio recita: “Sbagliando, s’impara”. Lo sa bene Enrico Galiano, scrittore e docente che, nel suo ultimo libro, L’arte di sbagliare alla grande (Garzanti, 160 pp. 15€) ha messo nero su bianco la preziosità di commettere errori, la libertà di sbagliare in una società che ci vuole solo vincenti. Nominato nel 2015 tra i cento miglior docenti in Italia ed ideatore della webserie Cose da prof, Galiano è stato ospite degli ultimi incontri del festival di Conversano Lector in Fabula, dove ha discorso proprio dell’importanza di prendere, anche spesso, decisioni errate cosa che, soprattutto per i più giovani, diventa fondamentale nel loro percorso di crescita.

Noi di bonculture lo abbiamo raggiunto durante una pedalata in bicicletta, altra sua grande passione insieme all’insegnamento, per comprendere meglio quanto sia necessario imparare da un errore piuttosto che risultare perfetti e vuoti di esperienze ed emozioni:

Nel tuo nuovo libro L’arte di sbagliare alla grande, celebri quel che la società di oggi sembra piuttosto condannare, ovvero commettere errori. Secondo te chi sceglie la gravità di un errore, chi lo commette o chi ci circonda?

Penso che il peso di un errore si misuri dalle sue conseguenze, quindi credo che ognuno di noi abbia nel suo curriculum errori piccoli che la società invece giudica giganteschi. Io ho cercato di raccontare nel mio libro più quelli che ci condizionano, senza pensare alla condanna degli altri perché il più delle volte chi ci giudica è un tribunale personale.

Nel saggio affronti molte questioni importanti su cui difficilmente riusciamo o vogliamo soffermarci: l’essere, il fare, chi si vuole diventare da grandi che poi sono la fonte della maggior parte degli errori che si compiono nella vita. Ecco, tra il pensiero e l’azione cosa influisce di più sulla scelta di chi vogliamo diventare?

Per riuscire a capire chi sei è fondamentale fare tante cose, provare, che è un po’ lo spirito del libro che cerca di esaltare non l’errore in sé ma il rialzarsi dopo gli errori. Quindi è importante che tutti facciamo tanto, e che mettiamo in conto anche di sbagliare tanto perché è quasi impossibile trovare al primo colpo la propria strada.

Uno dei capitoli del libro si intitola ‘L’errore di essere perfetti’: perché ci hanno inculcato l’idea di essere perfetti e quanto pesa questa tara sui più giovani?

I perché possono essere tanti, penso che questo ideale di perfezione faccia comodo a molte persone perché è un bel materiale pubblicitario. Però il problema è che ci siamo cascati in pieno. Fortunatamente, negli ultimi tempi, soprattutto le nuove generazioni stanno cominciando a mettere in discussione questo valore della perfezione a tutti i costi, credo sia un bel segnale.

Possiamo definire il tuo libro anche una raccolta di suggerimenti rivolti ai tuoi colleghi insegnanti. A proposito di scuola, cosa cambieresti in quella italiana?

Sono due le cose importanti da fare, se vogliamo davvero dare una svolta e cambiare, che non dovrebbe essere il compito di un singolo ma il dovere di una nazione comprendere quanto è importante la scuola e quindi modificare le nostre priorità proprio a livello di sistema-Paese dato che l’Italia è agli ultimi posti per i finanziamenti all’istruzione e ricerca e questa è la prima cosa che dovrebbe essere cambiata. Utilizzo una metafora calcistica, se vuoi vincere il campionato è difficile farlo senza un investimento economico, va da sé che la seconda cosa da fare è cambiare radicalmente il sistema di reclutamento degli insegnanti che oggi si basa ancora su un sistema di graduatorie che non tiene conto di aspetti centrali come l’attitudine a questo lavoro, la vocazione e la motivazione che sono caratteristiche fondamentali per svolgere questo mestiere che non sono nemmeno considerati.

Hai raccontato vari aneddoti, nel libro, sui tuoi alunni: qual è il tuo parere, come insegnante e adulto che è quotidianamente a stretto contatto con i più giovani, su di loro?

Io li vedo più educati rispetto alle generazioni precedenti, più attenti a questioni globali cosa che noi avevamo dimenticato. Gli ultimi studenti che hanno protestato e partecipato agli stravolgimenti della società globale sono stati quelli degli anni Settanta. Ultimamente si scendeva in piazza per manifestare in merito a problemi contingenti nazionali e locali. Rispetto ai social, in generale, credo che usino questi mezzi con attenzione rispetto agli adulti che vi riversano molta frustrazione, odio che non mancano nei giovani ma lo sento in misura minore. Per loro sono anche uno svago, ovviamente, ma sinceramente preferisco il ragazzino che fa il balletto su TikTok rispetto al genitore che insulta qualcuno sotto un post. Meglio la superficialità dell’odio.

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