“L’equazione dei disastri” del fisico e climatologo CNR Antonello Pasini. «Non esistono piani comunali di adattamento ai cambiamenti climatici»

by Michela Conoscitore

È uno degli ospiti più attesi della ventesima edizione de I Dialoghi di Trani: fisico e climatologo del CNR, il professor Antonello Pasini sarà il protagonista dell’incontro fissato per il 17 settembre nell’iconica cattedrale sul mare. Partendo dal suo ultimo libro, L’equazione dei disastri (Codice Edizioni), Pasini analizzerà insieme a Gaetano Prisciantelli l’evolversi del cambiamento climatico a livello mondiale e, più specificamente, il caso Italia, paese sempre più fragile e pericolosamente a rischio.

Il tema guida de I Dialoghi 2021 è quello della sostenibilità, che declinata con il professor Pasini in ambito ambientale, mirerà ad una presa di coscienza dell’effettiva pericolosità del cambiamento climatico, che è tristemente realtà. A testimoniarlo, se ce ne fosse ancora bisogno, la disastrosa inondazione del luglio scorso nell’ovest della Germania, provocando più di duecento vittime oltre che ingenti danni. Il professor Pasini da anni, oltre a dedicarsi alla ricerca, porta avanti l’attività divulgativa perché obiettivo principale degli scienziati, al fine di arrestare il cambiamento climatico, è diffondere consapevolezza nella popolazione di tutto il globo perché una vita sulla Terra, sostenibile, è possibile.

bonculture ha intervistato il professor Pasini:

Professor Pasini, il tema di quest’anno a I Dialoghi di Trani è quello della sostenibilità. Partirà dal suo libro, L’equazione dei disastri, per raccontare al pubblico il cambiamento climatico. Quanto conta sensibilizzare la popolazione per combatterlo?

È molto importante, perché combattere il cambiamento climatico equivale a segnare una grande svolta, una transizione energetica ed ecologica che può partire da ognuno di noi. Lo dico sempre ai ragazzi di Fridays for Future, bisogna prendere consapevolezza che esiste un grave problema, in seguito si dovrebbe cambiare il proprio stile di vita. Ma questo da solo non basta. È necessario innescare circuiti virtuosi attuando un consumo sostenibile, il risparmio energetico, produzione distribuita di energia per mettere in moto il processo. Tuttavia, ancora non basta. L’ultima cosa da fare, che forse è anche la principale, è spingere i nostri politici affinchè adottino le misure necessarie per concretizzare questa transizione. L’Europa è sul binario giusto, ma ancora non tutte le nazioni lo sono. La spinta dal basso, da parte della popolazione è significativa.

Nel suo libro, L’equazione dei disastri, racconta di un Paese estremamente fragile, con un rischio idro-geologico sempre incombente. Secondo lei, quali sono i provvedimenti urgenti da adottare in Italia e su cosa il Governo dovrebbe adoperarsi maggiormente?

I rischi climatici dipendono essenzialmente da tre fattori. Gli eventi atmosferici diventano estremi per via del cambiamento climatico, il nostro territorio è sempre più fragile perché notevolmente antropizzato e cementificato, ci aggiungo che l’esposizione dell’Italia a questi rischi è sempre maggiore perché sono innumerevoli gli abusi edilizi, ma ci si ritorcono contro. Il Governo dovrebbe agire su questi tre fattori: da un lato mitigare, cioè ridurre le emissioni di gas serra e investire in una produzione di energia rinnovabile, per esempio. Dall’altra si dovrebbe adattare il territorio, renderlo meno fragile come dotare le città di più spazi verdi perché si riuscirebbe a contenere meglio queste piogge violente, compito che l’asfalto non riesce ad assolvere. Le acque piovane, defluendo in superficie, si trasformano in fiumi in piena che travolgono ogni cosa. Così come in campagna, potenziare il territorio per evitare le frane. In ultimo, sensibilizzare la popolazione su una cultura del rischio che, come dico sempre, è allo stesso tempo una cultura della legalità. Attuare un abuso non è una furbata per aggirare la legge e ottenere, così, dei vantaggi personali. Al contrario, è una decisione estremamente pericolosa.

Tempo fa ha condotto uno studio interessante, sempre sulla fragilità del nostro territorio, in cui una particolare specie animale è arrivata in soccorso di voi scienziati per comprendere l’andamento del cambiamento climatico in Italia. Ce ne può parlare?

Sostanzialmente, in quel caso studio con i colleghi dell’Università “La Sapienza” di Roma abbiamo monitorato la quantità di topi dal collo giallo che abitano nei pressi de La Maiella, in Abbruzzo. Questo topino è estremamente sensibile ai cambiamenti meteoclimatici come l’innevamento, la quantità di pioggia che, direttamente, incidono sulla quantità di cibo che ha a disposizione e sui predatori che gli danno la caccia. Abbiamo stilato un modello ad intelligenza artificiale che è partito dai dati climatici a disposizione per registrare anche i minimi cambiamenti nella popolazione di questi roditori, particolarmente metereopatici. In futuro, il topo dal collo giallo quindi potrebbe essere a rischio estinzione se il cambiamento climatico non si arresterà.

Può farci un identikit dei lettori del suo libro?

Tanti appassionati sull’argomento, ma anche tanti amministratori pubblici, come quelli comunali perché nel libro insisto sul fatto che in Italia esiste un piano nazionale bio-operativo per fronteggiare il cambiamento climatico ma non esistono, se non per poche città, dei piani comunali di adattamento. Molti amministratori locali hanno accolto questa proposta, perché nel momento in cui la Protezione Civile dirama l’allerta per un determinato territorio, solo il sindaco e i suoi collaboratori possono sapere a livello locale dove questa abnorme quantità di pioggia potrà fare più danni. Ci vuole uno scheduling per gli interventi in modo da evitare disastri, invece assistiamo ancora ad eventi tragici.

Cinque anni dopo gli accordi di Parigi, professore le chiedo di dare le pagelle alle potenze mondiali: chi poteva fare meglio e chi si è impegnato?

L’Europa sta facendo molto bene, è sulla linea nel rispettare gli accordi di Parigi. Gli Stati Uniti sono in un momento di transizione, ovviamente. Con Trump il problema ambientale era sottovalutato, anche se non tutti condividevano questa visione: molti stati come la California, e molti imprenditori privati, hanno mirato ad un abbassamento delle emissioni. Tant’è vero che nonostante Trump, negli ultimi anni del suo mandato, le emissioni statunitensi di gas serra si sono stabilizzate, di poco diminuite. Ora con Joe Biden si spera che la politica ambientale degli Stati Uniti migliori. L’altro grande attore è la Cina. Se fino a qualche anno fa in questa nazione si costruiva una centrale a carbone ogni quindici giorni, cosa assolutamente deleteria per il clima perché il carbone è il massimo inquinante, adesso sembra stia virando verso le energie rinnovabili, per due motivi fondamentali. Il primo è indubbiamente la spinta dal basso, lì si moriva e si muore ancora tanto a causa dell’inquinamento. La popolazione ha reagito, costringendo il governo a prendere provvedimenti. Il secondo motivo è economico, il 50% dei pannelli fotovoltaici in commercio nel mondo è prodotto proprio in Cina. Inoltre, si sono prefissati di azzerare le emissioni entro il decennio 2050 – 2060. Insomma, qualche speranza di risolvere il problema c’è.

Nel suo libro fa un’analisi lucida dei provvedimenti che si dovrebbero attuare nel futuro a tutela del clima, e a proposito di un futuro più vicino a noi, il prossimo novembre si terrà a Glasgow la conferenza ONU sul cambiamento climatico, peraltro a presidenza anglo-italiana. Professore quali obiettivi sarebbe necessario raggiungere?

Sarà un incontro molto importante perché si fisseranno i nuovi impegni dei singoli Stati a tutela dell’ambiente. Nel meccanismo degli accordi di Parigi, ogni cinque anni questi impegni devono essere rinnovati ovviamente al rialzo, per contenere le emissioni degli inquinanti. Poi si dovrà discutere dei meccanismi di controllo e del fondo di adattamento per i paesi poveri. Perché ovviamente, da soli, non sono in grado di attuare questa transizione energetica. I paesi industrializzati dovranno fornire loro le tecnologie per evitare che si sviluppino commettendo i nostri stessi errori, ovvero bruciando combustibili fossili. In merito è necessaria una cooperazione internazionale perché dobbiamo comprendere che siamo tutti sulla stessa barca.

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