Lo spazio ridotto di tutti e il nuovo libro di Francesco Carofiglio, “Poesie del tempo stretto”

by redazione

Sulla copertina della nuova (piccola) opera di Francesco Carofiglio, architetto, regista illustratore, per molti anni in lavoro come attore e autore teatrale, fratello del più famoso Gianrico, c’è un uomo alto tutto in nero. La sua forma, i suoi abiti, la sua silhouette che sembra provenire da uno schizzo a olio su un foglio bianco sono tutt’uno con un gatto e la sua ombra.

L’ultimo piccolo “appunto letterario”, verrebbe da chiamarlo così per semplicità e brevità dei testi e soprattutto per la sua funzione quasi pedagogica, è una racconta di pensieri poetici più che di poesie. Si chiama “Poesie del tempo stretto”, che è un titolo bellissimo. Nome e copertina sprofondano nel bianco della brossura di Piemme edizioni. Raccontano già, da vicino, cosa significhi per il suo scrittore e per noi lettori un’opera del genere. “Poesie del tempo stretto” dicevamo, un titolo significativo sottolineato dalla piccola premessa iniziale del suo autore. Quel “tempo stretto” che non è solo un semplice spazio quadrato in cui abbiamo vissuto i mesi iniziali della pandemia, quelli che all’inizio ci sembravano i più spietati perché senza aria, perché studiavamo giorno per giorno le metamorfosi della nostra ombra in piccoli metri di reclusione. Quel “tempo stretto” potrebbe essere sì metafora di una casa claustrofobica e di poche mura senza libertà da vedere ogni giorno, ma è anche quel tempo in cui ci siamo sentiti, se non immuni dalla ferocia di una malattia nuova, immuni da un certo stato di vita e di vitalità, quella spinta che ci porta fuori e ci spinge oltre le finestre e i portoni.

Francesco Carofiglio resta in casa, come tutti noi, si chiede, si risponde in silenzio, in quel silenzio che è la propria solitudine e la proprio costanza di cittadino che si attiene alle varie norme del premier snocciolate settimana dopo settimana, autentiche peripezie di un mondo scosso da un certo tipo di violenza. Inizia con un ritrovamento, la sua nuova raccolta di liriche “semplici”, il ritrovamento di una cartellina pervenutagli da chissà quale ricordo in quei giorni di ozio bulimici e in quegli interstizi casalinghi ombrosi. Qui dentro gli si apre un mondo, un mondo pieno di infanzia, di pensieri fugaci scritti su scontrini, su pezzi di carta, su tovaglioli di un bar, ritrova un nesso con la sua adolescenza e con la sua mania di voler centellinare qualsiasi tipo di parola, garanzia di una ricercata semplicità e squisitezza letteraria fin da ragazzo. Si ritrova come piccolo, come adolescente, come grande cittadino alla ricerca del dialogo, e se non quello virtuale a cui siamo stati costretti per lungo tempo, e se non quello fisico a cui eravamo impossibilitati, dialoga ancora e per sempre con la sua pagina, compagna di vita. Riprende questi appunti, li osserva, riceve una lezione, quella di non starsi con le mani in mano, e ricominciare da (piccolo) grande scrittore alla sua età, a raccontar(ci)si con i disegni, pedagogia perfetta in momenti di sconforto in cui si ha bisogno di sperimentare sensibilità diverse, unendo ad ogni disegno un pensiero poetico e viceversa. E’ proprio questa la congiunzione più importante, indissolubilmente il disegno “fa poesia” con le parole e le parole “fanno poesia” con il disegno. Come fossero significato e significante, stessa semantica di un pensiero comune e privato. Non esiste pagina senza parole e schizzi, ed è quello che interessa maggiormente al suo scrittore, il dogma che si è prefissato. I disegni infatti, sembrano a volte svincolarsi, con grande cura della casa editrice e delle trovate del suo scrittore, dalle pagine. Sembrano fuggire, a volte all’estremità della pagina, a volte nascoste nella cavità del libro. “E oggi sono qui [..] Restando un po’ in disparte, come i disegni nelle pagine che seguiranno, come le parole elementari, usate silenziosamente. Nel mio tempo stretto”. “Trame leggere” fugaci dicevamo, ma soprattutto parole che rispecchiano quel “tempo stretto”, parole che rasentano l’essenziale, che si fanno comuni, che si fanno universali e onnicomprensive di un mondo che ha imparato per circa due mesi a usare toni semplici, grigi, di una casa diroccata. Un dialogo-base cristallino che nasce dalla convivenza forzata con ciò che si ha intorno, quella piccola prospettiva, quel rapporto con i propri familiari con cui si è circoscritti in ogni momento della propria giornata e dove davvero si alternano momenti di silenzio a momenti di brevi parole, dirette, a volte abbozzate, a volte semplicemente pratiche per contribuire al bene della casa e agli attenti spostamenti per fare la spesa o pratiche confinate solo per soddisfare i bisogni necessari.

Poesie dal tempo stretto” è una raccolta che affonda anche nella giovinezza e nell’infanzia dell’autore che ricorda sua madre e suo padre, divisa in parti che hanno sempre il titolo “stretto” tra parentesi: “(dentro) (me)(te) (fuori) (ieri) (domani)”, parole nate da un’urgenza terrena prima che dall’urgenza di “ricordare” del proprio scrittore, che si perde in momenti sintonici d’amore, che immagina sempre dentro la stanza cosa significhi essere “coppia”, essere in due e non in “uno”, che descrive volti da lontano intravisti per la strada, che fa combaciare storie private e universali di padri e di estranei senza volto. E da voce agli oggetti inanimati come se nella fattispecie fossero organi del nostro corpo da azzerare dopo questo periodo buio e questo trambusto dell’anima.

Gianmarco Di Biase

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