«L’obbligo di essere gentili e brave bambine è un giogo, una schiavitù». Lia Celi e la lotta femminista in “A pari merito”

by Michela Conoscitore

Succede che se ti prendono per un ruolo in una fiction dove si racconta l’epoca delle Suffragette, e sei completamente a secco sull’argomento cosa fai? Il metodo Stanislavskij suggerisce, anche ai giovani attori, di approfondire quanto più possibile il personaggio e così fa Fulvio, il protagonista del nuovo romanzo A pari merito scritto da Lia Celi per Einaudi Ragazzi. Il ragazzo scopre una pagina non scritta nella storia dell’umanità, quella delle lotte femministe, l’unica ribellione non violenta del Novecento che ha concesso più diritti alle donne.

Giornalista, scrittrice, autrice televisiva Lia Celi gestisce tutti questi canali comunicativi con la cifra stilistica che, da sempre, la contraddistingue: l’umorismo, irresistibile e sagace, che trasforma anche un argomento di stringente attualità come la parità di genere in uno scambio di opinioni, una tavola rotonda in cui uomini e donne si confrontano perché come afferma nel libro: niente è impossibile se siamo dalla stessa parte. Non attenersi alle etichette, questo ci consiglia la lettura di A pari merito, e quindi leggetelo anche voi adulti seppur sia un libro per ragazzi. Spesso un racconto ironico è più efficace di un soliloquio intellettuale.

bonculture ha intervistato Lia Celi per approfondire insieme le tematiche del romanzo:

Come nasce A pari merito?

Inizialmente doveva essere un saggio sul femminismo, e mi sono sentita subito in difficoltà perchè non sono Michela Murgia, né una romanziera o una divulgatrice. Inoltre, quando devo scrivere qualcosa per i ragazzi, mi scatta come un istinto retrospettivo e penso a cosa mi sarebbe piaciuto leggere alla loro età. Ero abbastanza giocherellona, e in più ero figlia di una femminista, andavo con lei ai collettivi, e quindi mi domando anche quale tipologia di libri mi avrebbe fatto leggere mia madre. In A pari merito, quindi, ho riversato anche parte della mia storia. I libri sul femminismo sono scritti principalmente per un pubblico femminile, ma le ragazze di oggi sono molto più consapevoli di loro stesse e del posto che occupano nel mondo. Anche se ci sono ancora molte conquiste da fare, quest’ultimo miglio lo si potrà percorrere coinvolgendo anche gli uomini. Ecco perché parlo anche ai ragazzi, con cui oggi c’è più contatto, più possibilità di instaurare rapporti rispetto al passato, e quindi c’è anche più connessione.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il protagonista del suo libro è proprio un lui…

Dal saggio sono passata al romanzo, un racconto leggero e stuzzicante pieno di umorismo, il cui protagonista sì è un ragazzo. Fulvio è un giovanissimo attore alle prese con un provino per una fiction, ambientata nell’Inghilterra delle Suffragette. Prima di poter impersonare il ruolo, però, deve prepararsi sul periodo storico. Grazie alle sue colleghe, le donne che incontrerà sul set, conoscerà la storia delle battaglie delle donne nel corso delle varie epoche. E scopre che il femminismo ha reso il mondo un posto più vivibile anche per gli uomini.

Perchè?

Il patriarcato ha ingabbiato anche gli uomini, dovevano essere fedeli ad ideali di forza, sopraffazione, dovevano vestirsi e pensare in un certo modo. Questa mentalità ha condannato molti di loro all’infelicità, avere il ‘potere’ non rende sistematicamente felici.

Il suo libro è una summa del femminismo, e solleva una questione importante: la storia è stata scritta principalmente al maschile. Il suo protagonista si accorge che non c’è traccia delle donne nel corso dei secoli. Perché è successo questo?

In realtà le donne erano ben più presenti e attive rispetto a quel che riporta la storiografia. Scienziate e filosofe facevano sentire il loro peso già nell’antica Grecia, chissà probabilmente avranno scritto anche dei libri, conservati presso la biblioteca di Alessandria, e andati perduti. A Roma, della famiglia Giulio-Claudia, Agrippina e Livia scrissero le loro memorie, a cui fecero riferimento tutti gli storici successivi come Livio. Diciamo che il problema per le donne non è stato quello di rimanere sconosciute nella propria epoca ma che il loro esempio non venisse tramandato alle generazioni successive, per diventare dei modelli. Le numerose eccezioni di grandi donne della storia entrano in conflitto con la società patriarcale, in cui il compito delle donne è sposarsi e avere figli. Raccontare di queste donne avrebbe disincentivato le altre dal perseguire il proprio destino. Dato che l’establishment è sempre stato prettamente maschile, o queste donne sono state etichettate come arpie, delle virago oppure completamente obliterate.

Nel romanzo racconta anche di Olympe Des Gouges, una delle protagoniste della Rivoluzione Francese, che amava ripetere: “Una donna che pensa è una donna pericolosa”. Oggi si ha ancora paura delle donne ‘pensanti’?

Se pensano e stanno zitte, no. Fanno paura se danno voce al pensiero, critico per giunta. E questo accade in tutti i contesti, anche quelli più contemporanei come sui social. Le affermazioni delle donne, quando vengono fatte con nettezza e precisione, senza chiedere il permesso stimolano sempre la risposta che è, poi, il titolo dell’ultimo libro di Michela Murgia, “stai zitta”. Pensare non è vietato, è l’alzare la voce che alle donne non viene ancora perdonato.

Nelle ultime settimane, pensando all’ormai tristemente celebre video di Beppe Grillo in cui difende il figlio accusato di stupro di gruppo, è emersa proprio la necessità di un’educazione al femminismo per i ragazzi, ma anche per gli adulti. Dato che il suo libro è un manuale di educazione al femminismo, le chiedo questa è diventata un’esigenza sempre più pressante?

Hai citato Grillo, e ti posso dire che i patriarchi ormai non sanno far più i patriarchi. Un padre deve saper punire quando un figlio si comporta male, la funzione normativa è stata completamente abbandonata. Se un padre va a picchiare i professori del figlio perché han messo brutti voti, non stiamo parlando di un patriarcato vincente ma di uno decisamente perdente che si ripara dietro falsi feticci. Tornando all’educare i ragazzi al femminismo, dovremmo spostare la questione su un piano eminentemente pratico e chiederci: dove l’economia fiorisce, c’è più possibilità di esprimersi e gli uomini sono più felici? Le statistiche parlano chiaro, ciò è possibile nelle nazioni dove si registra una maggiore presenza delle donne nella vita pubblica ed economica. Non si possono ancora fare discorsi sul sesso degli angeli, dato che dobbiamo spiegarlo agli uomini bisogna essere molto semplici e diretti. Dove stiamo bene noi, stanno meglio anche loro.

In A pari merito affronta tutti gli stereotipi che ostacolano la parità di genere. Quanto pesano nell’educazione delle donne?

La sessualizzazione comincia dalla culla, a partire dai colori del corredino. Ci viene quasi inoculata, forse già in fase prenatale. Credo che essere consapevoli sia molto utile, il sapere perché facciamo determinate cose, e il più delle volte dipende da quel che ci hanno insegnato. Come madre ho provato a fare del mio meglio, non è stato facile anche perché se uno si impone di evitare completamente gli stereotipi, si diventa troppo rigidi ed educare un bambino si trasforma in una sofferenza. I bambini devono essere liberi di esprimersi.

Altro episodio spiacevole di questi mesi è stato quello della sedia non prevista per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea. Riprendendo il titolo del suo romanzo, quando saremo davvero a pari merito?

Quando smetteremo di essere soavi, gentili, quando sentiamo di dover piacere. Il bisogno di compiacere viene inculcato alle bambine anche inconsciamente, non siamo mai sgarbate, sgradevoli, mal vestite. Questa è una libertà che i maschi hanno, invece, fin da piccoli. Loro possono alzare la voce, far casino. Le femmine no. Penso ad Ursula von der Leyen che invece di pestare i piedi per terra e farsi dare una sedia, si è seduta educatamente sul divano. L’obbligo di essere gentili e brave dovremmo eliminarlo dal nostro comportamento perché è un giogo, una schiavitù.

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