“L’orologiaio di Filigree street” di Natasha Pulley scompone le trame e sconfigge l’ovvio

by Francesco Berlingieri

Natasha Pulley
L’orologiaio di Filigree street
(Bompiani, 378 pagine, 14 euro)

Non dovrei ammetterlo con tanta leggerezza, visto che di solito è argomento scabroso fino al tabù, ma se questo libro non avesse avuto la copertina che ha difficilmente il mio sguardo sarebbe stato dapprima incuriosito e poi sedotto. Del resto, era lì, tra altre decine di libri “di consumo”, nel duty free di un aeroporto, quando ancora si viaggiava: vi ricordate quando si viaggiava?

Compito ingrato, quello di spiccare. Specie quando si viene ascritti, per formalismi da etichettature, per urgenza d’incasellare, alla famiglia allargata del romanzo storico. Che, come quella del noir, è bella numerosa.
Londra, novembre 1883. Fumo, lampioni, nebbia, umidità, metropolitana in costruzione. Nathaniel Steepelton è un solitario e abile telegrafista del Ministero dell’Interno. Riceve, trascrive, rilancia, comunica. Fino a fine turno. Poi rientra nella stanza che occupa da solo, in un’esistenza fatta di riti consolidati e consolidata abitudine. Ma una sera la sua vita cambia. Un intruso è penetrato nell’inviolabile spazio privato di Thaniel e vi ha lasciato un dono: un orologio. Un meccanismo estremamente sofisticato e di gran pregio, che tuttavia – nonostante l’impegno – rifiuta di mettersi in moto, rimanendo doppiamente enigmatico. Resta misterioso come il suo donatore e chiuso a riccio, ostinatamente. Fino alla sera in cui si schiuderà emettendo un sibilo che salverà Thaniel dall’esplosione di un pub in Whitehall. Dall’attacco della Fratellanza irlandese a Scotland Yard.

Va da sé che la chiaroveggenza dell’orologio indirizzi curiosità ed indagini sull’orologiaio. Un certo Mori, che da principio si ritiene italiano ma che in realtà si rivela un samurai giapponese di Knightsbridge.
L’incontro tra l’anonimo telegrafista e il nobile giapponese spalanca, sulla Londra vittoriana popolata di inquietudini, nazionalismi e leghe per i diritti delle donne, un mondo fatto di mistero e probabilità, col futuro che oscilla tra tradizione e progresso, tra previsto ed imponderabile. E il lettore viene accompagnato dall’oasi di Oxford, dove l’altra protagonista della storia, Grace, lotta contro le convenzioni per imporre la propria statura di fisico, al Giappone imperiale, dove la modernizzazione cancella le baronie feudali ed abbatte i castelli dei signori d’un tempo, fino alle comunità degli espatriati di Hyde Park e alle operette di Gilbert&Sullivan.
“L’orologiaio di Filigree street” è un libro sorprendente, che scompone le trame e sconfigge l’ovvio.

Scritto in maniera sontuosamente elegante da Natasha Pulley, classe ’88, è una di quelle letture che costringono il lettore a diventare osservatore, a togliere la polvere dai mobili e riscoprire, sotto la patina delle descrizioni abbozzate e grevi, l’intima poesia dei dettagli che fanno gli oggetti. E le loro corrispondenze. Un romanzo appena appena gotico, spiazzante, per nulla scontato.

Una di quelle letture che ti rendono lieto di non essere uno snob che disprezza, per partito preso, la letteratura di consumo. E le copertine pop.



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