Luciano Canfora e l’arte del dissenso contro “La democrazia dei Signori”

by redazione

Un cofanetto prezioso di idee e di pensiero critico, questo è La democrazia dei signori, un piccolo/grande saggio politico con cui Luciano Canfora coinvolge e scuote il lettore, invitandolo a rileggerlo più volte, perché ad ogni lettura si scopre un pensiero, uno stimolo nuovo.

In quattordici brevi capitoli si susseguono con interrogativi, riflessioni e analisi che convincono il lettore dell’importanza e del piacere del pensare anche in controtendenza.

Per entrare nel cuore del libro, basta scorrere le tre efficaci domande presenti nella quarta di copertina: «Come è potuto accadere che il potere legislativo passasse di fatto nelle mani dell’esecutivo riducendo le funzioni delle assemblee elettive a meri compiti di ratifica? E soprattutto: un assetto politico resta ‘democratico’ anche quando il ‘demo’ se n’è andato? O si trasforma in una democrazia dei signori?».

Ebbene, è proprio il titolo – secondo la felicissima formula concepita da Domenico Losurdo, per definire il liberalismo – a sintetizzare il senso delle riflessioni profonde dell’autore: il «demo», ovvero il popolo, ha abbandonato la democrazia e solo i ceti medio-alti continuano in qualche misura a riconoscersi nell’attuale sistema politico e a sentirsene rappresentati.

I partiti da tempo non riescono più a esprimere governi coerenti con i loro principi ispiratori e per surrogare la mancanza di governabilità si sono ripetutamente rifugiati in governi di c.d. «unità nazionale». Gli elettori, il popolo non ha più formazioni politiche di riferimento. Si è oramai  svuotato di senso l’agire politico di tutti i partiti, ma, soprattutto, della sinistra, o, per dirla con Canfora, della ex-sinistra, ormai incapace di guardare ai propri genetici riferimenti di classe. Anche le assemblee legislative perdono mordente, vengono messe fra parentesi da un potere esecutivo sempre più debordante che le esautora attraverso una pioggia di decreti legge e similari. Il ruolo del Parlamento s’assottiglia fin quasi a svuotarsi.

Eppure la Costituzione, ci ricorda Canfora, dice ben altro: «la sovranità appartiene al popolo».

Ma di ciò sembra non essercene più memoria: la Costituzione è stata completamente tradita in questi ultimi trenta anni e a dettare le nuove regole democratiche non è più la Carta costituzionale ma sono i mercati. Queste regole svincolate dalla realtà e dalle esigenze dei vari paesi sono avallate – da lontano e dall’alto – dai padroni di questi mercati diventati finanziari. Dice Canfora «che questi mercati, dei quali si parla genuflessi, sono strettamente connessi alla grande malavita organizzata mondiale. Perché il riciclaggio del denaro sporco avviene nelle grandi banche».

Lo studioso pugliese denuncia l’«anomalia tutta italiana» e, cioè, la tendenza a designare i capi di governo a prescindere dall’esito delle elezioni, che rappresenta la causa prioritaria «del crescente discredito del Parlamento e dei partiti politici», seguendo così <<soluzioni irregolari». Canfora, in particolare, critica la controversa nascita del governo Mattarella-Draghi che «costituisce un tornante della storia politica italiana» in grado di causare «mutazioni non irrilevanti» negli assetti istituzionali.

Nel raccontare, in modo diretto e senza troppi giri di parole, la storia politica più recente, Canfora paragona la nostra situazione agli assetti istituzionali francesi del passato e spesso ci accompagna in viaggi indietro nel tempo fino all’epoca dello Statuto Albertino. Ed è anche questa la bellezza del saggio: il confronto con la storia da cui non si può e non si deve mai prescindere, i continui rimandi alla storia italiana recente e non, con la consueta sferzante concisione dell’autore.

Scorrendo le pagine, l’una dopo l’altra, costante è, poi, l’invito a prendere atto dei cambiamenti, soprattutto quando questi non sono per forza migliorativi e, quindi, a leggerli con una chiave critica. E con un tale approccio Canfora ci esorta a riflettere, molto, sul significato di alcune parole e, soprattutto, su certe interpretazioni che si attribuiscono ad esse, sul loro utilizzo strumentale, in modo dispregiativo, come «populismo» e «sovranismo».

Impossibile non notare stoccate a certi giochi di palazzo e strategie della politica e delle istituzioni. L’Autore ne ha per tutti, per i partiti, che non esistono più (ci parla di un Partito Unico Articolato e richiama in proposito celeberrime considerazioni di Croce e Gramsci) e non fa sconti neppure alla stampa, che qualifica come «giornalismo asservito».

Grande la preoccupazione per la tenuta del nostro Stato sociale: «In questa situazione sospesa e carica di incertezze la posta in gioco è, più che mai, la sopravvivenza di ciò che ancora resta dello ’Stato sociale’. Dalle forze prevalenti al vertice UE esso è visto come un ingombro e come il fossile di un’altra era geologica. Visione largamente condivisa dal mondo imprenditoriale. […] Alle vere e ataviche carenze italiane potrebbe porre rimedio un gigantesco investimento che incrementi la pubblica amministrazione, ma questo è l’esatto contrario di ciò che chiede l’Europa. È lamento quotidiano, e ben fondato e largamente condiviso, che da noi manchi adeguato e sufficiente personale in tanti settori vitali: magistrati (giudici e cancellieri: il commissario UE alla giustizia ce lo rimproverava cifre alla mano esattamente il 9 luglio scorso), ispettori del lavoro (le morti bianche sono il nostro flagello quotidiano)». Parentesi dolorosa, quest’ultima, riservata alle pagine sulle morti sul lavoro, di cui la cronaca ci parla troppo spesso e oramai quotidianamente.

Le riflessioni si susseguono con ritmo, realismo e non poca amarezza; nel fondo c’è sempre un grido di allarme: il «suffragio ristretto» non è forse un argine alla democrazia? Per Canfora si è logorata la rappresentanza popolare, «scema la fiducia delle classi lavoratrici nei partiti i riferimento» e «la gente si tiene lontana dalle urne e guarda con diffidenza la politica».

Ma si tratta di un processo irreversibile? No, perché il Professor Canfora non abbandona la speranza e, cioè, la speranza/auspicio che nascano nuove formazioni che mettano al centro del loro progetto politico il ritorno alla Costituzione, l’unico punto di riferimento per i veri democratici.

Dunque, La democrazia dei Signori, sia pure nella sua dura e severa analisi, ci insegna a non arrenderci, ad avere coraggio, a non aver paura di pensare e andare controcorrente, a credere nel senso pieno e alto delle Istituzioni.

Ci ricorda l’importanza del poter criticare qualcosa, di quell’antica “arte” che, proprio in relazione al giudizio, come virtù e non disvalore, i Greci consideravano centrale nelle attività riguardanti il pensiero.

Ed è proprio qui il messaggio più bello di questo prezioso cofanetto: l’invito, garbato e fermo, a reagire, ad avere consapevolezza dei mutamenti regressivi della nostra politica, ad esprimere il dissenso, ma, al contempo, a non lasciarsi trascinare dalla marea e a riportare in auge il nostro sistema democratico nella sua autenticità costituzionale.

Madia D’Onghia

Docente Unifg

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