“Nessuna profezia grava su di te”. Elena, le donne e l’assurdità della guerra in La Splendente

by Paola Manno

“Una persona non si giudica dai libri che legge, ma da quelli che rilegge” ha scritto Calvino, che è un autore che spesso rileggo e che ha aggiunto “rileggere un libro è come incontrare vecchi amici”. Oltre Calvino, dicevo, ci sono vecchi amici che mi piace incontrare ogni tanto, amici che hanno un fascino eterno, che ad ogni rilettura mi raccontano qualcos’altro, mi portano in luoghi che a vent’anni non conoscevo, in altri sentimenti che oggi so riconoscere. Amici che ritrovo in tutti gli altri romanzi perché sono eterni, immensi, perché non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire, perché sono le nostre radici, e sono gli eroi greci.

Da adolescente, sui libri di scuola, fai il tifo per loro oppure per i troiani. Ho avuto lunghe, memorabili discussioni sul fascino di Achille contro quello di Ettore, sull’idea che la fuga di Elena fosse una scelta, non un rapimento, sul pensiero della guerra come conquista, dispetto, vittoria o sconfitta.

L’autore Cesare Sinatti

La splendente, del giovane Cesare Sinatti, edito da Feltrinelli, premio Calvino nel 2016, “è un libro sull’Iliade” racconta lui stesso “e l’Iliade è tante cose”. Quello che però interessa l’autore, dottorando in filosofia all’Università di Durham, è  “fare un gioco di personaggi”, e lo fa, io credo, in un modo magnifico. Per Sinatti, ad esempio, Odisseo non è un viaggiatore, ma uno che vuole tornare a casa mentre Achille, il meraviglioso Achille, è un ragazzo che ha paura di morire. Menelao è un’anima fragile, Agamennone è feroce, ma tormentato, Elena, la splendente, è una donna che ha il diritto di essere amata. Sinatti lavora sull’epica ma anche sulle forme della tragedia, fa conoscere al lettore versioni nuove di alcuni miti e reinterpreta, attraverso i vari personaggi, la complessità del sentire umano, la necessità del confronto con se stessi, con l’altro, con il mondo che ci circonda.   E’ facile ri-innamorarsi dei personaggi descritti, che sono vicini al sentire moderno.

Cosa può dirci oggi un libro come questo? Può dirci l’amore, l’empatia innanzitutto:  “Non parlare di paura come se sapessi. Nessuna profezia grava su di te, nessun oracolo ha mai dichiarato che Patroclo deve morire giovane. (…) tutto ciò che amavo è già perduto…io non posso sperare. Ma cosa può temere un Patroclo rispetto ad un Achille? Che cosa sa Patroclo di questa paura? A cosa lo hanno condannato gli dei, che lo tenga sveglio di notte e lo spaventi di giorno?” Patroclo era rimasto in silenzio, guardando Achille dall’alto del suo viso pensoso e triste “A perdere un amico”.

Può dirci il tormento che forse, io credo, è nascosto in ognuno di noi “Baciando il corpo pallido di Patroclo, aveva compreso che soltanto una cosa era oltraggiosa per gli uomini. Che ci fosse la bellezza, e che dovesse scomparire”

E’ un libro che parla dell’assurdità della guerra, che è distruzione degli affetti, che è attesa, che è razzia, quasi esclusivamente.  

E’ un romanzo che dà voce alle donne, che narra la coraggiosa guerriera Epipola, che racconta Penelope che non resta in attesa del suo Ulisse, ma è personaggio vivo, attivo, ben più scaltra del suo uomo, che ricorda Clitemnestra, il suo dolore di madre, il suo destino infelice.

Qui si parla di chi si mette in viaggio: “Nessuno è davvero un vagabondo, Eumeo. Quando si va, si va sempre da qualche parte”, si parla di uomini stanchi che non hanno vergogna di piangere in silenzio, chiusi in un cavallo di legno. Si parla di impulsi e passioni, di paure, di emozioni universali. Si parla di promesse disattese, di illusioni.

“La splendente” oggi ci parla di mura, che a me paiono la metafora di un posto come l’Europa che sembra impenetrabile per chi ha fatto la guerra “Alla fine del primo giorno di sanguinosa battaglia, avevano visto le mura per la prima volta. Alcuni di loro avevano pianto in silenzio negli elmi di bronzo. Gli Achei erano rimasti immobili come le statue di cui in futuro sarebbero diventati i modelli immortali (…) minuscoli di fronte a una città (…) e loro non erano che uomini, gli ultimi figli degli dei, rossi di sangue come neonati, bianchi nella luce delle stelle e nel pallore dell’angoscia per ciò che li attendeva. Il tempo della vita, che fino ad allora si era precipitato senza timore attraverso le peripezie della giovinezza, parve rallentare prima e poi arrestarsi del tutto di fronte alle mura di Ilio”. E parla di speranza, di cui oggi ognuno ha un disperato bisogno “Anche dimenticare è una forma di forza. E’ come il corpo che guarisce da un dolore”.

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