Quant’è antico il mestiere del libraio: dai Sumeri ad Amazon. Il saggio di Jean-Yves Mollier

by Fabrizio Simone

Fare il libraio è un mestiere o una professione? Mah… Non riesco bene a vedere la differenza. E neppure l’utilità della domanda. Non saprei dire se i buoni librai che conosco sono dei professionisti o esercitano un mestiere. Quello che posso tentare di dire è come e da che cosa si riconoscono. […] La regola è questa: la buona libreria è quella dove ogni volta si compra almeno un libro – e molto spesso non quello (o non solo quello) che si intendeva comprare quando si è entrati”, scriveva il compianto Roberto Calasso in una lettera indirizzata a Romano Montroni, libraio, autore e docente della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri.

Ma dove e quando nasce la figura del libraio? La risposta è contenuta in un recentissimo volume di Jean-Yves Mollier (professore emerito di storia contemporanea all’Università di Versailles-Saint-Quentin-en-Yvelines), Storia dei librai e della libreria dall’antichità ai nostri giorni, pubblicato dalle Edizioni E/O.

I primi librai della storia? Sumeri. In Mesopotamia, infatti, gli archeologi hanno trovato un’infinità di tavolette d’argilla pensate, molto probabilmente, per essere vendute: i Sumeri anticipano di un millennio la Bibbia ebraica, l’Iliade e l’Odissea producendo testi scolastici, dizionari, libri di preghiere, racconti mitologici, proverbi, favole e saggi. Gli Egiziani si spingono oltre: ricavano una superficie scrittoria adoperando una pianta tipica del delta del Nilo, il papiro, che sarà utilizzata fino all’11° secolo. In Egitto troviamo per la prima volta delle vere e proprie botteghe in cui una sorta di librai-cartolai producono e vendono soprattutto rotoli di papiro contenenti il Libro dei morti, che tutti i defunti devono recare con sé nel viaggio ultraterreno per poter aspirare alla vita eterna. Però a partire dal IV secolo d.C. il papiro viene soppiantato ufficialmente dalla pergamena, una sottile membrana di pelle di animali (pecore, capre, maiali, vitelli) che ha bisogno di un particolare trattamento per ricevere l’inchiostro. Con la diffusione europea della carta, a partire dall’11° secolo, la pergamena sopravvive solo in determinati ambiti.

Nelle librerie greche gli intellettuali si incontrano spesso per confrontarsi e valutare gli scritti appena vergati, ma spesso i libri sono venduti nei mercati accanto alle bancarelle adibite alla vendita dell’incenso, mentre nell’impero romano il libraio può vestire contemporaneamente i panni del commerciante e dell’editore – è il caso dei fratelli Sosii, a cui Orazio affida tutte le sue opere, forse invogliato anche dal loro frequentatissimo negozio nei pressi del Foro, tra i più chic della capitale – ma il più delle volte è un semplice negoziante, chiamato bibliopola. Poiché le librerie romane non hanno vetrine (arriveranno solo nel Rinascimento), il libraio deve attirare l’attenzione dei potenziali clienti appendendo avvisi e segnalazioni agli stipiti della porta o scrivendo su un muro esterno con inchiostro rosso e lettere maiuscole. Anche se le più importanti città dell’impero dispongono di molte librerie, il numero dei librai di strada è decisamente cospicuo: i cosiddetti libelliones citati da Stazio nelle Silvae non sono altro che venditori di libri usati e di rimanenze di magazzino, venduti a prezzo d’occasione perché sudici, sgualciti, ricoperti di muffa e rosi dai tarli.

Col crollo dell’impero romano la situazione muta drasticamente: tra il V e il XII secolo i libri vengono prodotti esclusivamente negli scriptoria di monasteri e abbazie, perciò gli ordini religiosi non solo si fanno carico della trasmissione della cultura antica ma si occupano anche della vendita diretta di libri per clienti facoltosi come principi e vescovi. Per più di 800 anni librerie e botteghe di copiatura non saranno presenti in nessuna città europea. Con la nascita delle università, a partire dalla seconda metà del ‘200, librai e cartolai ristrutturano la loro posizione all’interno dei contesti urbani. Però vendere libri è un mestiere estremamente rischioso. L’istituzione dell’Inquisizione e la censura regale mettono a dura prova il commercio: nel 1546 Etienne Dolet è il primo libraio a bruciare sul rogo. Dolet è accusato di diffondere idee eretiche tanto nei suoi scritti quanto nei libri da lui pubblicati e venduti all’interno del suo negozio. In particolare è la sua traduzione dell’Assioco, un dialogo di Platone considerato spurio, a decretare la sua condanna: negando l’immortalità dell’anima, il parlamento francese stabilisce per il filologo/stampatore/libraio la morte nel giorno del suo compleanno. Chi riesce a sottrarsi alle fiamme, però, non può evitare la fustigazione pubblica o la galera: tra il 1659 e il 1789, infatti, la sola Bastiglia ospita più di 500 librai.

Sebbene le principali catene di distribuzione e i potenti rivenditori online cerchino di sostituirsi alle librerie tradizionali, il mercato dell’usato è in continua crescita non solo in Europa. In Camerun, ad esempio, i libri venduti davanti ai lampioni (perlopiù di seconda mano, ma anche libri provenienti da stock invenduti) rappresentano quasi il 60% del giro d’affari generato dal libro. A questo punto sorge un dubbio (anzi più di uno). Sopravvivranno le librerie tradizionali o soltanto quelle dell’usato? Riusciranno le grandi piattaforme a prevalere definitivamente sulle librerie fisiche? Mollier non conosce il futuro, però una cosa è certa: in ogni caso continueremo a leggere.

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