“Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero” di Stefano Piri, perché il calcio non è mai soltanto calcio

by Francesco Berlingieri

Stefano Piri
Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero
(66thand2nd, 203 pagine, 17 euro)

Che il calcio non sia soltanto calcio è un’affermazione che rasenta l’ovvietà.

Almeno per quelli come me.

Il calcio è metafora di un’intera esistenza: dell’amore, della fede, della guerra. O queste sono metafore del calcio, vai a capirlo.

Il modo di approcciarsi al calcio è spia dell’epoca che ognuno di noi ha vissuto. Perché la passione per una maglia e per il gioco in sé è integralismo, e l’integralismo appartiene all’adolescenza e alla sua proverbiale mancanza di sfumature. Quando ero adolescente io, a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, mio padre riteneva che l’età dell’oro calcistica fosse ampiamente alle spalle. Oggi, sono io stesso a ritenere quel calcio, il mio calcio, come l’unico degno di fregiarsi di questo titolo. E così sarà, presumo, finché ci sarà voglia di imbastire campionati, coppe e leghe.

Fossi nato quindici anni più tardi non avrei mai atteso, comprato e letto in tre giorni un libro su Roberto Baggio. E non solo perché Baggio, nell’ipervelocità di quest’epoca, avrebbe rappresentato un ferrovecchio dell’antichità al pari di Di Stefano, di Scirea, di Spadolini e del G8 di Genova. Ma perché il calcio che avrei seguito, fossi stato adolescente nella prima decade dei Duemila, non aveva più bisogno di interpreti caratterizzati, se non sotto forma di mosche bianche, di Pirlo o di Totti. Era, quello del 2010, un calcio senza calciatori, in cui la tecnica individuale, la fantasia, finanche la fragilità dell’eroe in pantaloncini, erano state espulse dal ciclo produttivo del business; in cui i registi erano spariti e gli incostanti inventori di trame a centrocampo visti con fastidio e mal sopportazione dalla catena di montaggio dei superatleti gonfi di muscoli, devastanti nella corsa, potenti nel contrasto. Nel “calcio moderno” – e, sia ben chiaro, è “moderno” tutto ciò che oltrepassa il nostro fideismo di quattordicenni – contano tattica e preparazione. E nessuno di noi, romantici ostinati cantori del pallone epico e della fedeltà ai colori sociali – potrebbe cavarci achei per le sue Iliadi private.

Fortunatamente, però, sono nato nel 1976. E a quattordici anni, dinanzi alla tv in soggiorno, sapevo da come aveva preso palla che Roberto Baggio sarebbe arrivato in fondo e avrebbe battuto Stejskal, nel Mondiale delle notti magiche. Era una questione di premonizioni, di attitudine al bello. Qualche mese prima, durante la sintesi che Rai Due dedicava ad una partita di A, ero con zii e cugini grandi in trepidante attesa della serie di dribbling che stese il Napoli di Maradona al “San Paolo”. Si diceva che quel ragazzo vicentino avesse fatto un gran gol. Ma, dalle esclamazioni stupefatte di quel salotto, nessuno l’aveva ipotizzato grande così.

Quando la Fiorentina di Baggio sbanca Milano, ero a casa di mia nonna paterna.

Quando riprende la Nigeria, avevo appena fatto la visita di leva.

Perché il racconto del calcio e dei suoi protagonisti finisce sempre per confondersi con le nostre vite. Ogni stop di petto è un luogo, ogni cross un odore, ogni punizione sotto il sette un amore appena nato, o già finito. Il racconto del nostro calcio è la nostra autobiografia. Stefano Piri lo sa.  Perché sa che non è vero che il passato è una terra straniera. E il suo libro fa così. Ci parla di Baggio al Vicenza e a noi pare di rivederlo, di riviverlo, anche se poi, di fatto, non lo abbiamo mai visto. Ci racconta l’uomo – le sue malinconie, i suoi dolori, le sue grandiose inadeguatezze – e noi annuiamo, convinti d’aver conosciuto quell’uomo attraverso malinconie, dolori ed inadeguatezze che sono appartengono a noi, ben oltre ogni intuito. E così finiamo per applaudire il gol di Licata come se ci fossimo stati anche noi tra gli ottomila paganti di quel giorno lontano. È indubitabilmente così: libri come Avevo solo un pensiero ci piacciono così tanto perché ci servono a ricordare perché il calcio non sia solo calcio. Per quanto banale possa suonare questa affermazione.

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