Se fosse tuo figlio: la fuga di Hammudi e la genitorialità nei campi profughi

by redazione

Nicolò Govoni, l’autore del libro, classe ’93, è partito a 20 anni come volontario per l’India, unendosi a una missione umanitaria presso l’orfanatrofio Dayavu Boy’s Home, sito nel povero e rurale Tamil Nadu, nella parte meridionale del Paese. Dopo un periodo trascorso in Palestina, nella West Bank, attualmente opera nel c.d. campo profughi di Samos, in Grecia. Ha studiato giornalismo, lavorando per testate giornalistiche quali BBC, South China Morning Post e Metropolis Japan, mentre dall’esperienza indiana sono nati i libri intitolati “Uno” (Genesis Publishing – 2015) e “Bianco come Dio” (Rizzoli – 2018). È tra i fondatori della ONLUS Still I Rise, con l’obiettivo, tra gli altri, di creare una scuola nel campo di Samos.

Venendo a Se fosse tuo figlio, il titolo è un omaggio alla celebre poesia di Sergio Guttilla, che troviamo come virtuale incipit del romanzo, mentre l’ambientazione è quella del campo profughi di Samos.

Si tratta di un hotspot, un’area destinata alle operazioni di prima assistenza, identificazione e somministrazione di informative in merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale. Tuttavia, a Samos, a fronte di una capienza di circa 650 posti, sono “ospitate” tra le 2.500 e le 3.000 persone, al punto che, accanto al Centro di accoglienza e identificazione, si è sviluppata la c.d. giungla, una sorta di campo informale. L’hotspot è caratterizzato da precarie condizioni di vita e da una diffusa situazione di insicurezza, che colpiscono soprattutto i MSNA (minori stranieri non accompagnati). Tanto che, a inizio gennaio, la Corte europea dei diritti umani ha indicato alle autorità greche le misure provvisorie (ex art. 39 Regolamento di procedura) da adottare in favore di cinque MSNA, richiedendo di trasferire tali minori in strutture adeguate e assicurare ai medesimi trattamenti conformi all’art. 3 della CEDU (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti).

La storia, che racconta il rapporto “padre-figlio” tra Nicolò e il piccolo grande protagonista Hammudi, bambino siriano, si sviluppa lungo tre linee narrative.

La principale è quella che descrive il “presente” nell’hotspot, a partire da ottobre 2017. Nicolò, uno dei Samos Volunteers, impegna tutte le proprie energie per sviluppare un programma educativo nel campo per bambini (in particolare minori non accompagnati), sfuggiti alla guerra e provenienti da Siria, Afghanistan, Iraq, Iran e Palestina. L’idea è quella di creare una classe che unisca i bambini nonostante, anzi in virtù delle proprie differenze. Un luogo di ideale composizione dei conflitti etnici, di cui sarebbero – sottolineiamo il condizionale – portatori inconsapevoli i medesimi. Un luogo dove offrire protezione, rifugio, asilo ai bambini. Nascerà una classe che si darà un nome cinematografico, i Dreamers, ma il progetto più grande sarà addirittura quello di creare una scuola nel campo.

Le altre linee narrative riguardano le esperienze che hanno portato, rispettivamente, Nicolò (l’incontro salvifico con una insegnante e il rapporto conflittuale con il padre) e Hammudi a Samos.

Cosa ha portato Hammudi in Grecia?

Gli anni della fuga del bambino siriano sono gli anni della repressione delle manifestazioni di protesta contro il regime del Presidente Bashar Al Assad (a partire dal massacro di Ramadan), della guerra civile tra i ribelli (sostenuti dalle monarchie del Golfo, USA e Turchia – con quest’ultima che però contrasta i curdi) e il regime di Al Assad (appoggiato da milizie sciite, Russia e Iran) e, infine, dell’ascesa di Daesh, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

In tale drammatico scenario si colloca la fuga di Hammudi verso l’Europa e insieme a lui quella di milioni di altri profughi.

È il triennio 2015-2018 in cui il sistema asilo europeo viene messo alla prova, mostrando tutte le sue criticità: nel 2016 si contano 1,3 milioni di richieste di protezione nell’UE, 728.470 nel 2017 e 634.700 nel 2018. Una fetta importante di tali richieste proviene proprio da siriani, afghani e iracheni.

In tale contesto, le immagini dei profughi bambini sono quelle più drammaticamente iconiche: Alan Kurdi, il bambino siriano a faccia in giù sulla spiaggia turca, Omran Daqneesh, il bambino siriano nell’ambulanza scampato a un bombardamento ad Aleppo.

Arriviamo ai giorni nostri con la recente scomparsa di una bambina siriana, Iman, morta di freddo, nella parte nord-occidentale della Siria, mentre il padre cercava di portarla in ospedale.

Dal 1° dicembre scorso ad oggi, da quando è iniziata l’offensiva russo-governativa siriana nella regione di Idlib sotto influenza turca e ove operano miliziani anti-regime, sono circa 800.000 gli sfollati secondo l’UNHCR.

La poesia di Guttilla si chiude con un “atto di accusa”:

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa

non è tuo figlio, non è tuo figlio.

Puoi dormire tranquillo

E sopratutto sicuro.

Non è tuo figlio.

È solo un figlio dell’umanità perduta,

dell’umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.

Dormi tranquillo, certamente

non è il tuo.

Il libro di Govoni è un pugno nello stomaco, ma nel contempo rappresenta un atto di speranza e di cambiamento possibile: la funzione salvifica della educazione, la salvezza di un bambino attraverso la scuola, la costruzione di un rapporto padre-figlio.

Secondo l’insegnamento di Eraclito, ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai, è ciò che diventi.

A noi la scelta di agire o meno in maniera eticamente orientata, nel segno del risveglio di una coscienza collettiva.

A cura di Antonio Gigante

La presentazione del libro Se fosse tuo figlio di Nicolò Govoni (Rizzoli – 2019) è stata resa il 17 febbraio scorso nell’ambito del Premio Letterario “I fiori blu”

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