La lingua italiana quando è bella è veramente bellissima. Nell’auditorium della Nuvola di Fuksas, la sensualità delle parole di Sciascia acquista nuova vita grazie all’immaginazione di Fabrizio Gifuni, che presta la propria voce agli audiolibri di Emons Edizioni per la lettura di Todo Modo.
La storia s’inscrive nella tradizione della letteratura noir: un pittore nato e cresciuto nella terra di Pirandello approda in un misterioso sito, l’eremo di Zafer, qualcosa a metà tra un albergo e un convento; curiosando all’interno di questo luogo, apprende che di lì a poco si terranno gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. A officiare il rito il grande sacerdote del posto, don Gaetano, prete sulfureo e coltissimo, una delle figure più belle della letteratura sciasciana; a parteciparvi, molti personaggi di spicco della classe dirigente italiana, che si ritrova periodicamente qui per quest’appuntamento. Avvengono dei delitti misteriosi che richiederanno l’intervento del procuratore Scalambri e di un commissario di polizia per indagare sul responsabile, o sui responsabili, della spirale di crimini.
In occasione della nuova edizione di Più libri, più liberi, Gifuni legge due passaggi di questo straordinario romanzo: il momento dopo il primo delitto, quando la rete di sospetti comincia a stendersi all’interno dell’eremo; e lo scambio tra don Gaetano e Scalambri, che tenta di approfondire le dinamiche del convento.
Gli
audiolibri non sono un ripiego, ma qualcosa di gioioso, commenta
Luigi Manconi. Anche le parole più rapinose o inquietanti conservano
una specie di inerzia, perché sono lì, depositate sulla pagina, e
scontano quindi l’immobilismo del testo sul quale sono scritte. La
lettura ad alta voce conferisce loro una ricchezza davvero
imprevedibile, aumentata: alla limpidezza del testo si accompagna il
senso dato dalla voce. L’ascolto dà loro maggiore vitalità, che
si impone, si insinua nelle nostre menti con una potenza data,
naturalmente, anche dalla generosità dell’interprete. La lettura
che fa Fabrizio Gifuni di Todo
modo
è qualcosa di fortissimo, regala alla lingua pudica e ardita di
Sciascia delle screziature che si esprimono in una successione
rapidissima di vari accenti meridionali, le cui cadenze e tonalità
rendono bene il senso del carattere di chi parla in quel modo.
E
poi c’è il testo. Su Todo
modo
esiste una critica letteraria sconfinata, può definirsi un noir o un
giallo metafisico, che è un po’ la sintesi delle diverse
interpretazioni. È sicuramente un romanzo poliziesco, però con
questa sfumatura metafisica, perché tutto il libro è come
sovrastato e intessuto di mistero. Mistero che ruota attorno a temi
immensi: innanzitutto il bene e il male, poi l’indagine sulla
personalità e la condizione umana. Ma in Sciascia questa dimensione
metafisica, questo discorrere di male e di bene, si dipana
all’interno, nelle pieghe di un perfetto meccanismo proprio del
romanzo poliziesco. Tutto ciò si risolve in quello che, se per un
verso, è il cuore e la sovradeterminazione del romanzo, cioè
l’immanenza del mistero, è anche la sua conclusione, perché il
finale non rivela la trama dei delitti e dei loro autori. E tuttavia
questo non detto rimanda comunque a un’interpretazione razionale:
per disvelare il delitto bisogna individuare il movente, quindi il
fondamento razionale, la ragione oggettiva di quel disordine prodotto
dal reato, dall’omicidio, dal male che diventa azione. Nelle parole
di Luigi Manconi questo romanzo rappresenta la più lucida,
acuminata, e spietata lettura del potere che la letteratura
contemporanea, ma anche la scienza politica, offra. In apparenza è
la visione del potere cattolico, del potere democristiano, di un
potere democristiano che ha dei suoi fondamenti teologici
profondamente spirituali. Di fatto è un’indagine su qualunque
potere, su quello dell’uomo sull’uomo. Qui sta la sua forza
preveggente e temeraria, nella più intelligente disamina del
carattere nazionale che quel sistema politico per un verso alimenta,
per altro verso legittima.
Leonardo Sciascia pubblica Todo modo nel 1974, quattro anni prima dell’Affaire Moro, dove riflette sulla tragedia dello statista nelle mani delle Brigate Rosse. Questo collegamento è davvero inevitabile, perché il potere cattolico, nella sua grandezza e nella sua miseria, nella sua nobiltà e nella sua complessità, poi si ritrova tutto in questa vicenda. E non è un caso che Fabrizio Gifuni abbia fatto su Moro, rapito e detenuto nella cosiddetta prigione del popolo, una rappresentazione teatrale davvero importante.
Nel 1979 inizia la partecipazione di Sciascia alla commissione parlamentare che indagherà sul caso del rapimento e dell’uccisione e ne trarrà una relazione di minoranza dove ciò che egli tratta nelle pieghe di quel romanzo, diventa valutazione del quadro politico e del comportamento delle istituzioni. Il passaggio tra l’opera del narratore e quella dell’analista sociale, quindi, si intrecciano in continuazione e si alimentano virtuosamente e vicendevolmente. Petri ne trae un film formidabile, che però va in una direzione diversa. Nel libro rimane questo sguardo razionale, illuminista, che conosce il mistero, lo ripropone, lo indaga, ma non se ne fa travolgere. Il film è cupo, funereo, decadente. Il regista vede nella vicenda di quegli esercizi spirituali, di quella aggregazione di gruppo dirigente, la metafora della rovina, del disfacimento della società e delle sue leadership, quindi ne dà una versione apocalittica, estremamente intensa, addirittura tragica; quella di Leonardo Sciascia, prosegue Manconi, è una lettura politica, un’analisi della classe dirigente italiana che riesce a vivisezionare i meccanismi profondi di qualsiasi centro di potere: il potere giudiziario, che entrerà in gioco a delitti avvenuti, il potere politico ed economico, ma anche il potere dell’opera d’arte. Ovvero la visione di Sciascia portata dal protagonista del romanzo. Il pittore in alcuni momenti viene come abitato dall’alter ego dello scrittore, forte del suo sguardo laico e disincantato, ma che al tempo stesso si fa contagiare dagli automatismi del potere. L’arte, aggiunge Gifuni, ha una capacità eversiva, che è quella di scardinarne i meccanismi, o questo dovrebbe avere, questo è quello che fa Sciascia nel libro. E la lettura ad alta voce spesso aiuta ad aprire le maglie di un testo che in alcuni casi possono apparire particolarmente serrate, chiuse. La voce, riportare al corpo quelle parole, permette di allargare queste maglie e liberare significanti e significati con una libertà e un imprevedibilità molto vicina al pensiero dell’autore, perché queste parole partono da un corpo. Dal corpo di Sciascia, così come il Pasticciaccio parte dal corpo di Gadda e Ragazzi di vita da quello di Pasolini. Da quei corpi, uno diverso dall’altro, discendono queste parole, ancora oggi in grado di dirci qualcosa di unico e di prezioso.