Inseguendo la contemporaneità: eclettismo e magia dell’Alkemia Quartet

by Fabrizio Simone

Chi crede che il quartetto d’archi rappresenti il passato – nella mente già si stagliano i profili di musicisti in livrea e parrucca, impegnati ad eseguire Mozart ed Haydn, Boccherini no perché è notoriamente fuori moda, soprattutto dalle nostre parti – commette un errore colossale perché l’Alkemia Quartet è uno straordinario quartetto non classico totalmente made in Puglia, i cui membri (Marcello De Francesco, Pantaleo Gadaleta, Alfonso Mastrapasqua, Giovanni Astorino) vantano collaborazioni con artisti come Uto Ughi, Enrico Dindo, Caparezza, Vince Tempera, Renato Zero, Amii Stewart, Eugenio Bennato e Dody Battaglia nonché esperienze con importanti orchestre (Scala di Milano, Rai di Torino, Petruzzelli di Bari, Regio di Parma) incisioni di notevole spessore come l’integrale delle opere per quartetto d’archi del violoncellista palermitano Giovanni Sollima (tra cui Africa, quintetto per due violini, viola e due violoncelli registrato per la prima volta) e concerti con Jeremy Cohen, violinista californiano leader del San Francisco Quartet (allievo di Itzhak Perlman, mica bruscolini), col quale hanno debuttato nel 2016 (è stato ospite anche del nostro “Giordano in jazz”).

Il pubblico foggiano conosce bene l’Alkemia Quartet e i suoi prodigi a colpi di archetto, ed ogni volta che il quartetto in questione si esibisce nel capoluogo dauno si verifica sempre la stessa situazione: un meritatissimo sold-out. Cosa che si è ripetuta anche durante l’ultimo concerto, andato in scena domenica 21 novembre presso l’Auditorium Santa Chiara di Foggia, organizzato nell’ambito della kermesse Prospettive Sonore – Orizzonti Jazz (8 concerti organizzati da Podere 55 Aps, in collaborazione con Regione Puglia, Fondazione Apulia Felix onlus e con il sostegno del Ristorante Pizzeria “Io e Te”). Del resto non capita tutti i giorni di ascoltare un quartetto capace di muoversi con pari abilità tra blues e stile fusion, con una spolverata di contaminazioni neobarocche e inconfondibili accenni rock (i pochi secondi di Smoke on the water sono piaciuti a tutti).

Della bella carrellata proposta dall’Alkemia Quartet è bene segnalare l’intrigante Four string Joe, un classico brano dixie dal sapore proibizionistico (tranquilli, non si è materializzato Al Capone con un boccale di birra) composto da Joe Venuti, violinista statunitense di origini italiane che contribuì a dare al violino il posto che meritava all’interno della storia del jazz. Certo, restando su questo filone, Rolls di Stephane Grappelli, re del violino jazz, conserva un fascino ineguagliabile. Composto per Les valseuses, pellicola di Bertrand Blier del 1974, coniuga matrice classica (la partitura originale di Grappelli prevede addirittura l’utilizzo di un clavicembalo) e scrittura attenta alle esigenze di ogni vero jazzman (gustosissimo l’assolo di De Francesco, ricco di preziose fioriture), riconducendo l’anima del suo autore ad entrambe le dimensioni (per farvi un’idea basta ascoltare l’autore mentre interpreta il primo movimento del Concerto BWV 1043 di Bach in chiave swing insieme ad Eddie South, con l’accompagnamento di Django Reinhardt).

Azzeccatissima la proposta di Don’t get around much anymore di Duke Ellington, che ha riportato tutti al clima del leggendario Cotton Club, pur disponendo solo di quattro archi. Possiamo solo immaginare la baldoria che avrebbe scatenato un’esecuzione ad orchestra intera (lì si che avremmo avuto davanti ai nostri occhi Jay Gatsby). Una chicca per i più curiosi: il pezzo fu inciso da Duke Ellington nel 1966 (l’album si intitola Duke Ellington’s Jazz Violin Session), lo stesso Grappelli partecipò come solista ma interpretò In a Sentimental Mood, lasciando l’onere di Don’t get around much anymore al violinista danese Svend Asmussen (morto a 101 anni nel 2017). Però, forse, l’apice è stato raggiunto con A night in Tunisia di Gillespie, un classico di cui non si può fare a meno e che a Foggia non viene mai eseguito (ci sfugge il motivo). Infine, ricordiamo lo Zoomby Woof di Frank Zappa, un vero capolavoro di spregiudicatezza ritmica. Ma nessuno ha mai messo in dubbio questa componente della musica zappiana. Non resta che sperare di riascoltare l’Alkemia Quartet il prima possibile: ogni loro concerto dona una ventata di aria fresca.

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