Corrado Abbati e l’operetta come terapia del sorriso

by Fabrizio Simone

Italo Calvino ci ha insegnato che la leggerezza non è un peccato ma una necessità dell’anima e Johann Strauss figlio è stato tra i primi a divulgare questo imprescindibile dogma col suo corposo catalogo musicale (479 composizioni tra valzer, polke e marce più 15 operette ed un’opera seria), strappando sorrisi ed emozioni in tutta Europa (con la sua orchestra si esibì praticamente ovunque, preferendo però la Russia, che amava la sua musica alla follia) e persino in America (ci vollero ben quindici giorni per attraversare l’oceano), convincendo con la sua arte alcuni dei più grandi compositori dell’Ottocento: Johannes Brahms (amico fidato e ospite fisso del suo salotto), Giuseppe Verdi, Franz Liszt (interminabili i loro concerti a quattro mani, con Liszt pronto a parafrasare i suoi valzer e a trasformare le polke straussiane in veri tours de force), Richard Wagner (il suo valzer preferito? Wein, Weib und Gesang), Hector Berlioz e Anton Bruckner.

Ed è proprio nel nome di Strauss che si è aperto lo spettacolo andato in scena il 18 novembre presso il Teatro Giordano di Foggia, organizzato nell’ambito della 51esima stagione concertistica degli Amici della Musica del capoluogo dauno. A calcare il palco del Giordano la splendida compagnia di Corrado Abbati (sei cantanti – tre tenori, un baritono, un soprano e un mezzosoprano – sette musicistiun pianista, un quintetto di ottoni e un percussionista – e l’immancabile Abbati, regista e interprete), impegnata a solcare le acque del Danubio per offrire al pubblico foggiano (piuttosto ridotto, l’evento meritava ben altra partecipazione) un divertente excursus nel mondo dell’operetta perlopiù danubiana (cantata in italiano, ma la traduzione nella nostra lingua evidenzia la vacuità e la scarsa letterarietà dei libretti), caratterizzata da vorticosi valzer, con incursioni anche in altre realtà affini (come l’Italia verdiana e pucciniana), condendo il tutto con una comicità garbata e mai fuori posto, ma sempre legata a questa atmosfera festosa e godereccia.

Preponderante la presenza straussiana. Del Re del valzer è stata eseguita una versione ridotta del suo valzer più famoso, Sul bel Danubio blu appunto, la polka schnell Unter Donner und Blitz (bis irrinunciabile di Carlos Kleiber), l’imperdibile aria dello champagne dal Pipistrello (Im Feuerstrom der Reben)e il gioioso quartetto da Una notte a Venezia, Alle maskiert, alle maskiert (Strauss lo inserì anche all’interno del Lagunen-walzer, composto su motivi tratti dall’operetta a sfondo veneziano) e il duetto a tempo di valzerda Wiener Blut, operetta postuma su musiche straussiane. Assente ingiustificato Lo zingaro barone: il bel duetto d’amore Wer uns Getraut meritava l’inclusione.

Più che il prevedibilissimo Lehar (il travolgente Ja, das Studium der Weiber ist schwer dalla Vedova allegra e il sentimentalissimo Dein ist mein ganzes Herz), occorre segnalare un evergreen dell’ungherese Emmerich Kalman (Ganz ohne Weiber geht die Chose nicht dalla Principessa della czarda, talmente famoso da essere inciso anche da André Rieu nella sua versione puramente strumentale) mai ascoltato in tempi recenti in questa città affamata di operetta ed interpretato direttamente da Abbati, perfetto animale da palcoscenico, impegnato anche in una stupenda esecuzione del Bel Sigismondo (Al Cavallino bianco sa sempre quali corde toccare). La coppia Antonella Degasperi/Fabrizio Macciantelli (rispettivamente soprano e baritono) merita in questa sede una speciale menzione per un travolgente duetto a ritmo di fox-trot su musiche di Paul Abraham, altro autore abbondantemente dimenticato in Italia, che ha meritato energici applausi.

Forse di questa serata continueremo a ricordare My golden baby di Abraham cantato dalla Degasperi e da Macciantelli oppure il bel quartetto Liebchen mich reißt es (Hurra ! / Si vive una volta soltanto, una volta, un giorno e poi mai più dalla Principessa della czarda), ma una cosa è certa: in queste quasi due ore di spettacolo Abbati e la sua applauditissima compagnia sono riusciti a farci dimenticare per un attimo il covid, le varianti e tutti i problemi di questa nazione. Forse è proprio questo il fine dell’operetta: far sorridere con stile, trasmettere allegria e invogliare il pubblico a vivere. E Abbati e la sua compagnia sanno perfettamente come si fa.

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