Diario americano: “Alla conquista dell’eternità e delle emozioni, le chiese negli States sono auditorium”

by redazione

Prima del suo viaggio aereo verso Marshall in Texas, dove terrà una lezione alla Marshall University, il maestro Francesco Mastromatteo, nel suo diario americano per bonculture, è ancora colmo delle emozioni del concerto nella Oak Hill United Methodist Church di Austin, dove per violoncello solo ha suonato il Memory of Love del Fall Festival 2019 con musiche di Bach, Taglietti e Cassadò.

In Texas il docente del Conservatorio Umberto Giordano della sede staccata di Rodi Garganico, come a Lucera con gli Amici della Musica Paisiello ha ricreato la sua realtà, perché, come spiega il “pubblico si conquista una persona alla volta, con l’affetto: è la conquista di uno spazio nell’anima”.

“Non sono per le istituzioni concertistiche, ma sono per le persone, la musica ci colma il vuoto dell’anima. Gli allievi mi riempiono e io cerco di suonare in funzione di una crescita della comunità, siamo persone unite dalla musica, come spazio dell’anima. La nostra quotidianità ha bisogno della musica classica”.  

Con la comunità del Classical Music for the World

Prima di volare per un’altra tappa texana, il maestro ci ha inviato un suo consueto messaggio vocale.

La Methodist Church come tantissime altre chiese americane ha una acustica eccellente, negli States le chiese sono degli autentici auditorium. Sono pensate per la performance musicali. Lo è anche la chiesa presbiteriana a Dallas, dove pure abbiamo suonato con l’associazione Classical Music For the World. C’è in America un rapporto con la spiritualità estremamente personale, si va alla ricerca disperata di comunità, una ricerca che viene fatta a partire dal proprio io e senza rinunciare alle proprie convinzioni, il rapporto con l’assoluto è individualista. Ecco perché c’è un proliferare di tante chiese dentro la stessa Chiesa americana e di autentiche sette. Waco in Texas ad esempio è ancora famosa per un massacro da parte di un leader religioso che uccise i membri della sua setta.

C’è un rapporto col divino che è al tempo stesso individuale e collettivo, nel senso che è importante per gli americani essere riconosciuti nella propria fede. C’è in loro la voglia della conquista dell’eternità, come la conquista del West o l’esportazione della democrazia a suon di armi: la conquista dell’eternità a partire dall’Io senza la rinuncia a se stessi.

Ovviamente in questa conquista dell’eternità così centrata sull’ego il momento emotivo diventa cruciale, tutto diventa una esperienza emotiva. E l’arte che più di tutte nutre l’esperienza emotiva è la musica. Ecco dunque che le chiese sono sale da concerto, con acustiche spesso favolose. La chiesa metodista dove ho suonato ha un’acustica eccellente perché è fatta per la gran parte in legno, nel soffitto e consente una splendida diffusione del suono. Il violoncello si trovava benissimo.

Nella chiesa ho incontrato anche la venerabile del tempio buddhista di Austin, che ha tracciato un parallelo tra la fede e la musica di Bach. Noi non siamo così lontani quando abbattiamo le differenze linguistiche e passiamo all’emozionale, ha detto.

Se in America c’è un tipo di approccio al divino, col quale si deve agire all’interno di quello spazio, la soluzione orientale è una situazione di attesa, per essere invasi dalla presenza dall’esterno.

Ebbene, negli States l’esperienza di passività del Nirvana si rivolge sempre all’individuale, che vive una difficoltà a trasformarsi in comunità, perché ogni esperienza che vuole essere comunitaria deve smussare le differenze. Questo è troppo costoso per la società  del neoliberismo, dalla sperequazione mostruosa dove tre americani guadagnano quanto 50 milioni di abitanti. Ma lo specchio di egocentrismo è trasversale e accumuna democratici e repubblicani.

La capacità dell’ego di essere libero di determinarsi fa il paio con la stessa solitudine di quell’io così pronunciato, che quando non riesce a farsi comunità è condannato alla depressione perenne, in una serenità che non riesce ad essere rinuncia a se stessi.

Ho avuto contatti ad Austin con una scuola in cui vige il pensiero dell’antroposofia, che si basa sulla libera determinazione dello studente, che vive diverse esperienze, senza compiti. Si cerca insomma di non esaltare la prestazione, per dare libero sfogo alla naturale coltivazione dei talenti, verso cui il bambino è più portato.

Il bello dell’America è che ti dà la possibilità di vivere uno spaccato delle esperienze religiose, in eterno conflitto tra tutela dell’io e il suo superamento. Tutte le varie confessioni vivono la difficoltà di riuscire a conciliare l’individualismo col solidarismo spirituale.  

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