Diario americano: con le emozioni sterilizzate, gli studenti dove trovano le domande?

by Antonella Soccio

Ultimi concerti e ultime lezioni per il maestro Francesco Mastromatteo negli Stati Uniti d’America alla University of Texas di Austin e alla Marshall University del West Virginia insieme al collega pianista Johan Botes Assistant Professor alla Marshall University ad Huntington.

Cello & piano per una performance in duo: i due artisti hanno suonato la Sonata n.2 op. 58 di Mendelssohn, la Sonata op.19 di Rachmaninov per violoncello e pianoforte e la Carmen Fantasy.

Si è conclusa una splendida settimana di concerti, insegnamenti e amicizia, ispirata dalla visionarietà di Younnie Wall anima del contenitore Classical Music for the World, una settimana, nel corso della quale Mastromatteo ha sperimentato la sensibilità e il virtuosismo del pianista e amico.

A noi di bonculture il violoncellista, docente al Conservatorio Umberto Giordano sezione staccata di Rodi Garganico, prima del suo rientro in Italia, ha consegnato, a chiusura del suo diario americano, un’ultima consapevolezza frutto della sua profonda esperienza nella deep America.

È stato per me importante comprendere e vedere la reazione degli studenti. Mi sembra che sia in corso negli Stati Uniti- e si vede nelle varie Università- un processo di sterilizzazione emotiva. C’è un percorso educativo americano, ma ci stiamo indirizzando anche noi su quella stessa rotta, in cui non c’è posto per le emozioni. La funzione educativa della scuola e dell’Università procede per una sterilizzazione dell’emotività che viene immolata sull’altare della produttività e dell’efficienza. Il tutto in funzione della preoccupazione lavorativa, è essenziale per prima cosa essere spendibili sul mercato del lavoro in termini reddituali.

Anche noi in Europa ci stiamo uniformando a questo modello, pensando che questa sia la verità rivelata. Gli studenti americano devono essere funzionali ed efficaci e ciò significa eliminare ogni componente di imprevedibilità, di caos. Il nostro mondo interiore, che è il regno dei nostri squilibri creativi, deve essere tenuto in una campana di vetro.

Per questo si vedono usare medicinali pesanti per i bambini sovraeccitati o si gestisce la quotidianità senza conflitti, in modo che ci sia una perenne tranquillità, ma in questo modo si spegne l’intelletto. Non c’è più la provocazione della domanda, della libertà personale ed artistica. Tutto viene confezionato con domande e risposte predeterminate, che vengono iniettate gradualmente, somministrate allo studente.

Quando questi ragazzi si trovano a dover formulare un pensiero autonomo o a dover rispondere a stimoli di altro tipo- il mio talk è stato estraneo a qualsiasi concetto concreto e predeterminato, anche se si aspettavano una lezione su che cosa debba fare un musicista da quante ore debba esercitarsi a quanti concerti debba fare all’anno fino a quanti post debba condividere sui social, con delle attività funzionali al successo sempre pensato in termini economici- sono spiazzati.

Io ho tenuto una lezione sulla valorizzazione del proprio io e sulla perdita del tempo, sulla ricerca di una dimensione di sé gratificante. Una cosa che in Europa è considerata magari banale, ma che qui ha qualcosa di provocatorio. Una ricerca che non presenti nulla di concreto lascia sbandati i ragazzi, che non hanno i mezzi neppure per produrre una domanda.

Durante la lezione, sentivo che stavo entrando nella loro vita e che li stavo provocando, ma sentivo anche il vuoto in cui le mie domande cadevano. Dove perdete il vostro tempo? Dove sentite che viene toccata la vostra immaterialità? Dove si forma la vostra mente? I vostri sentimenti? Dove invece trovate le domande invece delle risposte? Li ho sentiti smarriti. Il processo di rigenerazione della domanda, dove avviene? È l’Università il luogo in cui queste domande vengono nutrite? O invece le domande sono preordinate?

Purtroppo il sistema liberista esaspera il successo economico. Per ottenere una società del genere si è attuato un processo di spegnimento delle emozioni. Con una tale anestetizzazione e sterilizzazione l’emozione vien fuori e si riaccende o in maniera molto banale con la nascita di una religiosità di maniera e con una produzione musicale che non è minimalista ma minimale, che soddisfa un primo istinto superficiale, che tutti abbiamo di nutrire la nostra emotività, perché non scende in profondità e non ci dona la forza per orientare il nostro sentire, per diventare persone radicate. O non sapendo affrontare, essendo stati sterilizzate, quando l’onda emotiva arriva, perché arriva per tutti almeno una volta nella vita, si risponde in maniera assurda, violenta, irragionevole. Si entra a scuola con l’arma che si ha disposizione e si spara.

Le risposte preconfezionate, in ambito artistico e nell’ambito della formazione tout court, svuotano la nostra anima e finiamo per subirne le conseguenze esplosive.

L’assoluta mancanza di empatia, l’incapacità di andare incontro al migrante, la sofferenza, il progressivo svuotamento dell’emotività sono queste le tendenze in atto in America, che viviamo in piccola parte anche da noi.

L’esperienza universitaria è stata cruciale, perché ritengo che sia quello il luogo dove nutrire le emozioni, che ci aiutano a diventare donne e uomini.

Bisogna riservare uno spazio importante che riattivi l’emotività.

Ho suonato Rachmaninov e Mendelssohn, per la formazione dell’emotività, offro così al mio pubblico quelle sonate, l’emotività ci viene purtroppo sempre più negata, ma è nelle Università che essa deve essere presentata, lì in un luogo di formazione della domanda, un luogo estremamente necessario.

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