Felici perché vivi, Roberto Vecchioni e il suo Infinito a Colloquia

by Theo Viola

“Poi che mi guardo e vedo, ma ci son le stelle fuori e un mare di colori, e se non potrò correre e nemmeno camminare. Imparerò a volare. Imparerò a volare. Se partirai per Itaca ti aspetta un lungo viaggio e un mare che ti spazza via I remi del coraggio, la vela che si strappa e il cielo in tutto il suo furore, però per navigare solo ragazzo, basta il cuore. Qui si tratta di vivere, non di arrivare primo e al diavolo il destino, e se non potrai correre e nemmeno camminare ti insegnerò a volare, ti insegnerò a volare”.

È una resistenza culturale quella che Roberto Vecchioni ha proposto ieri nello straordinario concerto di beneficienza che al Teatro Umberto Giordano di Foggia ha aperto l’undicesima edizione di Colloquia “La siepe e l’infinito”. “L’intellettuale è preso come un mendace, oggi nessuno cerca la verità, tutti cercano le verità più comode per loro stessi”.

Pubblico in piedi, forte commozione per i testi di un disco, “L’infinito”, che in conferenza stampa è stato illustrato dall’artista e professore con la sua consueta generosità.   

Che significa per lei cantare per una causa benefica come quella di un dormitorio?

“Foggia non è il solo posto dove faccio concerti di beneficienza, almeno un terzo dei concerti di questa tournee è dedicato a qualcuno e a qualcosa. Non lo dico per piaggeria, ma l’impegno nel costruire questa speciosa arte che è la canzone d’autore non può prescindere assolutamente dalla realtà, dalla verità e dalle cose che accadono. Negli anni Settanta si guardava alla società in un certo modo: noi tutti abbiamo fatto carceri, ospedali, fabbriche occupate. Io concepisco l’arte come qualcosa di politico. Politica nel senso aperto della parola, ritengo molto meschina e piccolina la tentazione di chi fa politica sul palco. L’animo umano vive di 4 o 5 cose. Libertà, felicità, amore. Bisogna saperle conquistare e mantenere. L’Italietta meschina non fa parte di questo spettacolo”.
Vecchioni nel suo disco ha attinto chiaramente a Leopardi. La siepe è al di qua. 

“Questo disco nasce da 12 anni di cambiamento, già da prima di Sanremo, volevo accettare l’esistenza come qualcosa di positivo, per rappresentarsi la felcità non come entusiasmo o vittoria ma come il semplice fatto di esistere. Ho scritto 2 romanzi su questo tema. In questo disco ho pensato a persone e a gente che al destino avevano fatto maramao. Nessun destino può sconfiggere persone come il nostro Papa o Alex Zanardi, questi sono gli esempi meravigliosi di umanità. Ma mi serviva un esempio fuori dall’idea di tutti, per dimostrare che la vita si deve amare nonostante tutto. Chi potevo prendere? Leopardi, che nell’opinione generale la vita l’ha odiata e invece non è vero, perché la vita l’ha amata tantissimo. E mi serviva il Leopardi di Napoli, quello che si accorge dei profumi, quello che ha più sentimenti che pensieri, è un Leopardi che non vuole più soffrire, come dice il suo amico Ranieri e De Santis. A me serviva tantissimo quest’uomo che mangia il gelato a Napoli ed è contento di stare alla finestra. Bisognerebbe tentare di essere più felici, Leopardi è un po’ in tutti noi. De Santis si chiede: ma quest’uomo che fa schifo come fa ad essere il poeta più amato? È questa l’incongruenza della vita. Non è una canzone, ma una pièce teatrale, si parla e si canta”.

Nella canzone Perdono parla molto di Dio, che rapporto ha con lui?

“Buono anche ottimo, di discussione, di problematiche. Nasco felicemente ateo e fortemente comunista, ma l’uomo cresce e si cambia tanto. Divento illuminista, resto illuminista. L’uomo deve vivere la sua vita in questa terra e non pensarla come una prigione, una stanza di passaggio. Questa terra è già lei la vita e dobbiamo amarla, propagandarla, essere con gli altri. Ci può sfiorare un pensiero di un paradiso, ma dobbiamo vivere col pensiero che è già grande quello che stiamo vivendo qui. Dal punto di vista emozionale mi sembra del tutto impossibile che dopo tutto quello che si vede di meraviglioso qui non ci sia un secondo tempo di questa esistenza, tra parole, fatti ed emozioni. Spiegatemi cos’è un’emozione? C’è qualcuno che ha provato a dimostrarle chimicamente. Ci sono emozioni che ci colgono all’improvviso, fanno parte di un universo che non può finire. Deve esserci per forza un senso. Se ne potrebbe parlarne per giorni e giorni con Sant’Agostino, Monsignor Ravasi.  I ragazzi sono scombussolati, non solo qui in Puglia, ma in tutta Italia, sono di fronte ad un progresso di corsa che ha mangiato tappe importantissime, è un progresso che ha perduto il passato. I ragazzi si trovano in condizioni disagiatissime, senza un senso di liberazione che ti possono dare l’arte, la filosofia o anche la religione. Tutto questo sforzo infinito l’ho mirato per dire qualcosa ai ragazzi. Li ho costretti ad una marcia indietro, non ho messo il disco in streaming, per tantissime ragioni: romantiche mie, per il disco come concetto e poi perché questo disco non si presta ad essere spezzettato, deve essere ascoltato tutto insieme, non esiste una playlist, deve essere una cosa unica. Ho preso il disco d’oro, nonostante non abbia accettato lo streaming. A Genova metà del teatro era pieno di giovani”.

Che ne pensa delle direttive comunitarie sul diritto d’autore?

Tutto quello che blocca non è accettabile, sono per l’apertura a tutto, straordinaria. Va bene che la musica italiana dovrebbe avere spazio, ma tantissima musica italiana fa veramente schifo, non dice niente. Altra musica, come il rap, certo rock, sono cose da sentire, perché sono comunicazione nuova.

Chi le piace tra le ultime espressioni musicali?

Non è proprio ultimo, ma mi piace Fabri Fibra.

Anche Carmen Consoli?

Sì, anche lei, ma lì rientriamo nella tradizione del cantautorato. Maz Gazzè, Consoli ce ne sono tanti, hanno un altro stile e un altro modo di comunicare e continuano con grande intelligenza quella di noi cantautori.

Come è riuscito a convincere Francesco Guccini a tornare a cantare per il bellissimo pezzo “Ti insegnerò a volare”?

Il principio è questo: siccome questo disco riscopre i sentori degli anni Settanta quando tutto era possibile e tutto era speranza, poi è venuto l’orrore degli Anni Piombo a rovinarci tutto (quegli anni non sono più tornati), ho sentito il bisogno che Guccini entrasse in questo disco, ero così sicuro che ce l’avrei fatta che l’ho convinto e ha cantato, è stato commovente, abbiamo dovuto registrare nella sua cucina, perché non si muove più. Non ci vede più, ha dovuto imparare a memoria.

Cosa ha provato di fronte alla notizia su San Siro?

È stata una martellata sui maroni, non sono d’accordo che le cose si debbano cambiare per forza. Mica cambiamo il Partenone? Le belle osterie di una volta che tutti ristrutturano devono restare in quel modo. San Siro è un monumento, non solo un posto della partita. La memoria non si può perdere.

Com’è nata Cappuccio rosso?

E’ nata da Zerocalcare che aveva disegnato a fumetti la storia di questa combattente curda che mi ha impressionato moltissimo e poi ci ho pensato perché è una storia veramente femminista come vorrei che fosse. E’ non solo una donna che prende le armi per difendere una patria che non c’è, perché i curdi non hanno una patria, ma è anche una donna che dimostra una forza, una potenza non come i supereroi del cinema ma la forza delle cose vere vissute. E che ha anche una grande dolcezza d’amore quando scrive al suo innamorato o innamorata (che ho lasciato indeterminato) ed è una donna come mi piace vedere le donne.

Dopo 43 album all’attivo, oggi chi è Vecchioni?

Ah mi son costruito tanto! Era una fatica che bisognava fare per partire da me e andare più verso gli altri, verso le persone e trovare una via di unione e un senso. Perché il senso si trova, il senso grosso della vita dopo 43 album si trova ed è questo qua, di viverla. Io poi non so cosa succederà domani, non so se riuscirò a scrivere ancora, si scrive quando si ha tanto da dire. Ho pensato cinque anni a L’infinito e poi in due mesi è venuto fuori. Ma non so cosa verrà dopo, se un romanzo o un disco, però sono sicuro che se lo farò è perché avrò necessità di farlo e avrò qualcosa dentro che dovrò assolutamente dire.

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