Free Radiohead, l’arcipelago sonoro di Paolo Angeli

by Antonio Tuzza

Il sipario è aperto. Il palcoscenico è un mare oscuro e profondo al cui centro sta lì ferma, illuminata dall’alto, la postazione di Angeli. Nel mezzo, una strana chitarra color acero è poggiata su una seduta. Intorno, come in un primo cerchio, un’asta e un microfono da un lato, e un tavolino basso con delle apparecchiature dall’altro. Più intorno, come in un secondo cerchio, due casse monitor sono gli argini che delimitano il tappeto del chitarrista dalla oscurità circostante del palcoscenico.

Quella postazione è come un’isola: quella postazione è la Sardegna. Forse l’isola più isola di ogni altra isola. Sfruttata e suo modo intatta. Terra mondana e nello stesso tempo aspra, schiva, resistiva, onorata, diffidente e disponibile, silenziosa, come un saggio che osserva e protegge ciò che ha nel suo profondo. Terra d’altri tempi che vive rispettando i sui tempi, rispettosa e difensiva dello spirito antico, culturale, tradizionale che la attraversa da secoli e che trova nella suo dialetto il più vivo “fossile” linguistico del mediterraneo.

È il sassofonista barese Roberto Ottaviano, direttore artistico della rassegna Adelante organizzata dalla associazione Nel Gioco Del Jazz, ad aprire e presentare la serata all’AncheCinema. Il musicista ci racconta di avere conosciuto Paolo Angeli a Posada, nel nuorese, molti anni fa, in occasione di una competizione per giovani musicisti. Il concorrente Angeli, continua il sassofonista, nonostante fosse un artista ancora in piena maturazione, dimostrava già i segni di una certa originalità espressiva e di ricerca, segni che negli anni avrebbe affinato e che sarebbero diventati i tratti distintivi della sua musica. In particolare, il chitarrista fondeva con lucidità e senso logico la rude e fiera tradizione musicale sarda, appresa direttamente dai “vecchi” musicisti della sua isola, con gli affascinanti linguaggi della avanguardia. E fu così che a quel concorso, conclude Ottaviano, il nostro si classificò al primo posto.

Il palco ora è per Paolo Angeli che, dopo un applauso di benvenuto, spiega le profonde motivazioni che lo hanno spinto a creare il progetto musicale che ascolteremo questa sera e che si chiama Free Radiohead. Con divertente ed efficace capacità comunicativa, egli racconta di quando la sua compagna, un po’ per spezzare l’abitudine di casa Angeli al continuo ascolto dei canti tradizionali della Gallura, aveva messo su i Radiohead, ignoti al musicista se non per il loro nome sentito dire qua e là. Colpito dalla innegabile qualità musicale, Angeli ha approfondito l’ascolto procurandosi e ascoltando compulsivamente tutta la discografia del gruppo inglese, e cominciando progressivamente a rielaborare e tradurre quella musica nel suo linguaggio espressivo.

Ne sono nate performance che fondono frammenti tematici, ritmici e armonici di quelle canzoni, l’immediatezza del pop/rock unita ad una componente puramente improvvisativa; Angeli racconta di come egli consideri le canzoni dei Radiohead come isole di un arcipelago tra le quali naviga a bordo del suo strumento e, ad ogni approdo, esplora musicalmente quella terra con la sua espressività. In questo modo, le composizioni vengono liberate dalla rigidità della forma canzone e ogni sera assumono forme diverse grazie all’improvvisazione intesa come navigazione “a vista” che non sai mai dove ti porterà: ogni concerto (come ogni teatro, pubblico, città, persone che incontri) è una esperienza a sé.

Con questa premessa comincia il viaggio sonoro. Lo strumento di Angeli illumina il pubblico con mille sonorità, a volte imitando un contrabbasso, a volte un violoncello, a volte un intero set di percussioni, e molto spesso tutte queste sonorità sovrapposte in un caleidoscopio timbrico che, se non lo si vedesse con i proprio occhi, si farebbe fatica a credere che si tratta di un solo musicista e di una chitarra. Ma non si tratta di una chitarra qualsiasi: la base dello strumento è la chitarra tradizionale sarda, una sei corde dalle dimensioni generose, con un gran volume e un suono molto proiettato in avanti.

Ma nella sua ricerca da inquieto musicista, Angeli non si è limitato ad usare uno strumento già obiettivamente insolito “nel continente”, ma ha dovuto adattare la chitarra sarda alle sue esigenze espressive, modificando, aggiungendo, arricchendo lo strumento in una sorta di “Frankenstein” musicale dalle potenzialità sorprendenti. La chitarra ospita corde aggiuntive risonanti, motorini di vecchi walkman che muovono delle piccole eliche atte a produrre il suono continuo delle corde dall’effetto ipnotico, un ponticello da contrabbasso con altre corde aggiuntive, sei martelletti montati sul ponte piatto della chitarra azionati, attraverso cavi da bicicletta, da un marchingegno comandato dal suo piede destro. E sì, Angeli utilizza anche i piedi. Non è finita: lo strumento, che il chitarrista tiene tra le gambe in posizione quasi verticale, è sollevato da terra da un’asta che entra direttamente nella fascia inferiore dello strumento, come quella di un violoncello (strumento che Angeli deve amare molto). Per un excursus più completo delle particolarità della chitarra preparata di e da Angeli, si rimanda al link seguente che spiega come questo strumento sia il “frutto” evoluzionistico della tradizione musicale sarda e del Paolo Angeli Inventore

Il chitarrista ci propone sostanzialmente quattro suite in cui lo vediamo alle prese con un archetto da violino, con le distorsioni da chitarra elettrica, con il rasgueado della tradizione flamenca, con diverse tecniche percussive la cui resa non ha nulla da invidiare ad un intero set di batteria, fino a della carta o fogli di qualcosa che preme col piede sinistro per produrre una percussione simile ad un piccolo shaker… tutte timbriche assolutamente originali. Nonostante l’imprevedibilità derivante dalla improvvisazione, il tocco, lo stile e la molteplicità “vocale” di Angeli si riconoscono sempre e da subito. Anche la voce, nel suo classico stile da cantata sarda è protagonista di queste esecuzioni; in particolare una della canzoni racconta di un poeta che confessa a se stesso la sua perdita di ispirazione e la necessità di ricorrere a fonti esterne per cibarsi di “altro” per ritrovare la strada, l’ispirazione perduta e infine se stessi. Insomma una piccola orchestra, una one man band del nuovo millennio che prende tutto quello che può dalla tradizione e dalle tecniche contemporanee e guarda al futuro. Un concerto da ascoltare e soprattutto vedere, da vicino se possibile, per lasciarsi inondare dallo straordinario senso ritmico e dalla poesia di questa musica.

Molto ci sarebbe ancora da dire e scrivere di questo straordinario artista, ma non si può che consigliare al lettore di visitare il suo sito e tenersi aggiornato sui suoi concerti nella speranza che si esibisca nelle vicinanze. Le sue performance sono (avendo avuto la fortuna di aver ascoltato Paolo Angeli dal vivo) sempre un invito alla navigazione sonora, alla scoperta di mondi diversi, distanti e vicini allo stesso tempo, sospinti dai caldi venti del mediterraneo e dai freddi ma illuminanti aliti dell’avanguardia musicale. Questa volta il pretesto sono state le insospettabili cellule melodico/ritmiche del gruppo d’oltremanica; Free Radiohead è la controparte live del suo progetto discografico 22.22 Free Radiohead uscito del 2019 di cui si consiglia caldamente l’ascolto: un’ora e venti minuti in cui si dimentica tutto e ci si lascia trasportare dalla poesia ibrida, in tutto e per tutto, della chitarra sarda preparata di Paolo Angeli, verso le coste assolate e ventose della Sardegna.

www.paoloangeli.com

www.nelgiocodeljazz.it/adelante/

www.anchecinema.com/

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