Gaudiano, da Foggia vince Sanremo: «Polvere da sparo, che racconta la perdita di mio padre, è la mia cicatrice da curare».

by Felice Sblendorio

Ha colpito tutti, a Sanremo Giovani, Gaudiano. La voce, piena, capace di trasmettere. Le parole, toccanti, pronte a scaraventarci nelle pieghe di un dolore personale, ma comune a molti. Da Foggia, la sua città natale, Luca Gaudiano, classe 1991, arriva sul palco del Festival di Sanremo, in questa difficilissima – ma confermata – settantunesima edizione, dal 2 al 6 marzo in diretta su Rai1.

Dopo il teatro e gli studi di musica fra Roma e Milano, la carriera di questo giovane cantautore si è rivelata al pubblico con naturalezza. In poco più di un anno ha scalato la competizione giovanile di Sanremo, realizzato un 45 giri digitale, firmato un contratto discografico con Sony, annunciato un disco, programmato due live il 21 novembre a Milano e il 25 a Roma. Un viaggio artistico che parte da un brano già apprezzato dal pubblico e dalla critica: “Polvere da sparo”, un ritmato lessico famigliare che racconta di una mancanza, di un vuoto. bonculture ha intervistato Gaudiano.

Fra meno di un mese inizia Sanremo: come ci si prepara?

Pensando al futuro: al disco che uscirà in autunno e ai due live annunciati. Penso ai progetti che verranno anche per gestire l’ansia in attesa della gara: fare un countdown aspettando quel giorno sicuramente non è una cosa produttiva. Non vedo l’ora, però, di cantare la mia canzone a Sanremo. Ci credo molto e sono sicuro che, a prescindere dal risultato, le cose andranno bene. Lo scoglio più duro è stato quello della selezione: ora siamo tutti su quel palco, l’importante sarà divertirsi.

Sanremo è Sanremo, come teorizzò Pippo Baudo. Festa nazionale, specchio del Paese, identità pop. Che cos’era il festival in famiglia?

Era una festa laica, quasi paragonabile al Natale. In famiglia c’è sempre stato un rapporto critico e consapevole nei confronti della musica. In quei giorni ci si riuniva tutti assieme per discutere e commentare le varie performance. Sin da piccolo, guardandolo, l’Ariston è sempre stato il mio sogno: pensavo, però, fosse un sogno irrealizzabile, irraggiungibile. Invece…

Invece ci sei arrivato. Un sogno che parte proprio da un regalo di tuo padre, una chitarra.

La mia grande fortuna è stata quella di avere una famiglia comprensiva con le mie passioni. Non è così scontato, soprattutto per un ragazzo di Foggia, una realtà culturalmente molto provinciale, legata alla televisione, ad una visibilità immediata. Io, però, ho avuto la fortuna di formarmi, di trasformare questo sogno in una professione. Senza quella chitarra e senza il sostegno della mia famiglia, fondamentale per il mio percorso, oggi non sarei qui.

Dopo tanto teatro e tante maschere, su quel palco questa volta ci sarai solamente tu. Una sfida?

Sono approcci completamente differenti. Il teatro ti permette di indossare le vite degli altri, mentre sul palco dell’Ariston porterò la mia vita, la mia storia. Nella mia esibizione cercherò di portare avanti un concetto di verità. È tutto molto organico, naturale: non farò fatica a parlare di me e del mio passato. “Polvere da sparo” si è scritta abbastanza da sola. È una canzone che non avrei mai voluto scrivere, ma l’ho dovuto fare: ho avuto la conferma che molte persone si sono riconosciute in quel dolore, trovando un piccolo conforto.

Polvere da sparo”, il tuo brano in gara, è una canzone che racconta la perdita di tuo padre. La musica aiuta a elaborare un lutto?

Non basta il tempo a ricucire determinate ferite, nemmeno tutto il tempo del mondo. Il tempo è impotente, e l’unica cosa importante è come si decide di rapportarsi a quel lutto nel tempo. Bisogna imparare a vivere il lutto come una presenza costante della propria vita. Ci può confortare la musica, ad esempio, ma l’elaborazione di un lutto si risolve nel nostro profondo. Bisogna affrontarlo a viso scoperto per uscirne.

La morte è sempre un tabù. In questa canzone ci sono molte immagini, contrasti, allucinazioni. Sono le emozioni dolorose di chi sopravvive?

Il testo è una somma di tante immagini che ho vissuto negli ultimi tre anni di vita con mio padre. Con il peggioramento della sua condizione fisica, la mia famiglia si è trasformata nelle sue braccia, nelle sue gambe, nella sua voce. Ho restituito queste visioni in maniera forte perché sono cose che ti segnano una vita. Io sono il reduce di una guerra che è stata la malattia di mio padre. Lui il guerriero: un uomo che ha lottato con tutto se stesso, e con una certa dignità, contro una malattia che non gli ha lasciato scampo. La mia è più di una canzone, e io sono semplicemente il portavoce del dolore della mia famiglia e della sofferenza di un uomo che ho amato.

Tuo padre ha combattuto contro un tumore al cervello. “Tigre nella giungla dei pensieri sparsi”, canti. Cosa ti ha insegnato quella guerra?

La malattia ti porta a stimolare quotidianamente il tuo istinto di sopravvivenza. Mi sono trovato a fare delle cose che non avrei mai pensato di fare: per tre anni sono diventato il padre di mio padre. Sono cambiato io, ma è cambiata anche la qualità del rapporto che avevo con lui. È stato naturale vivere queste difficoltà. Quando mettevo a letto mio padre tiravo un sospiro di sollievo: non sentivo più il peso della fatica. Per me non c’è stata scelta: per tre anni ho bloccato la mia vita, c’era solo lui. Ero diventato la sua periferica naturale…

Questa è anche una canzone d’amore. «Se mi guardo allo specchio vedo te», canti. Credo ci siano poche dichiarazioni più belle di un figlio a un padre…

Si, è così. Non in senso allegorico, ma figurato. Se mi riguardo allo specchio rivedo tanto di mio padre. Non solamente dettagli fisici, ma tante espressioni, modi di socchiudere gli occhi, gesti. Vedo sempre la sua traccia dentro di me: una cosa esile, ma significativa.

Umberto Eco scriveva che si diventa quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti.

Da lui, nei tempi morti, ho imparato una forza, una corazza silenziosa che porterò sempre con me. Mi ha educato con gli occhi. Era molto riservato, silenzioso, ma parlava con gli occhi anche quando aveva ancora la possibilità di esprimersi. Quando non è più riuscito a farlo, non ho fatto tanta fatica a comprenderlo tramite gli sguardi.

C’è qualcosa che non hai mai detto, e invece avresti voluto dire, a tuo padre?

Fortunatamente no, non ho questo rimpianto. Ci siamo detti tanto, quasi tutto. Nella canzone dico «e mi brucia il cuore perché non ti ho detto quanto ti abbia amato per quello che hai fatto», ma è un desiderio più che un rimpianto: è come se io volessi continuare a parlargli. Sono comunque in comunicazione con lui, tutti i giorni, soprattutto prima di addormentarmi. Avverto una forte empatia. Da quando lui è andato via è come se ci fosse la sua presenza a riordinare i tasselli della mia vita. Avrei preferito averlo ancora qui, ma non mi fa pesare la sua assenza.

Questa è anche la storia dell’amore e del dolore di tua madre, Rosa. Cosa ti ha detto dopo Sanremo Giovani?

Era molto emozionata. È come se su quel palco avessi portato il dolore di mio padre, la forza di mia madre, la sofferenza di mio fratello e di mia sorella, la vicinanza della mia grande famiglia. Quella canzone è una cicatrice da curare che racconta la nostra storia. Con mia madre abbiamo pianto per la gioia, ma anche per una sensazione di catarsi, di liberazione. In quel momento fra me e lei c’era anche papà: stava festeggiando con noi.

Canti, quasi urlando: «Stringo negli occhi il ricordo in un mare di lacrime». Piangere serve?

Assolutamente. Più piango e più divento uomo. Il pianto è fondamentale per pacificare un dolore.

Il vuoto che lascia una persona amata non si colma mai?

Mai. Costruiamo le nostre vite, proiettiamo le nostre esistenze, progettiamo le metropoli della nostra anima all’interno di quei vuoti. Ma quella mancanza resta sempre lì, presente, a testimoniare quell’eredità, quell’amore.

*Questa intervista è stata realizzata prima della vittoria di Gaudiano alla 71^Edizione del Festival di Sanremo. Venerdì 5 marzo, alla finalissima della categoria giovani, Luca Gaudiano, 29 anni, di Foggia, ha vinto le nuove proposte sorpassando Davide Shorty (secondo classificato) e Folcast (terzo classificato). Sul palco del Teatro Ariston, commosso, il cantautore foggiano ha dichiarato: «Dedico questa vittoria a mio padre: è andato via due anni fa, adesso lo sento qui con me».

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.