“Il povero Cristo” di Vinicio Capossela e l’omaggio a Riace

by Marco Pezzella

Buona Pasqua!

È venerdì Santo.

Da noi, al sud, viene vissuto un po’ come fosse la Vigilia di Natale. La nostra generazione in particolare vive questa giornata – prima vera festività del periodo pasquale che apre il weekend di abbuffate – come un grande esodo: tutti (ri)tornano a casa.

Io sono rimasto qui, dunque non torno da nessun’altra città; e allora, venerdì mattina al solito accesso su Instagram (ammettiamolo ormai è un meccanismo auto-indotto) si è palesato il post sponsorizzato del Povero Cristo.

Le informazioni nascoste negli angoli impolverati della mia mente schiarendosi, hanno iniziato a muoversi e, come quei film in cui ci sono scene montate in (fast) rewind, mi sono ricordato di saperlo.

“Ah, si.”

“A Pasqua esce il nuovo disco di Vinicio Capossela, lo annunceremo.” Mi avevano detto più o meno a metà gennaio.

Al di la del ritorno di coloro che sono fuori, per un meridionale, il venerdì Santo è la processione dei Misteri, di sera, le città bloccate, scandite dalle voci cristiane urlate dai megafoni e rappresenta il secondo scatto religioso del periodo pasquale, dopo quello più profano dei sepolcri.
Sacro e profano, che bell’accostamento, sta bene, come cacio e pepe.

In tutto questo dondolio di riti sacri ed atti più emotivi, un cantautore, un po’ di nicchia, spesso nostalgico, amato dal grande pubblico per aver risposto all’atavica domanda che cos’è l’amor lancia sulle piattaforme di streaming musicali un brano dal titolo Il Povero Cristo. Di venerdì Santo.

Il titolo lascia già presagire il livello della canzone e, perché no, allontana quanti si sentono infastiditi e già annoiati.

Povero Cristo, che per i meridionali vuol appunto intendere, un povero a lui, uno a cui non va fatto del male.

La copertina sulla quale le parole povero, cristo e Vinicio Capossela formano una croce rossa fuga ogni dubbio: siamo alle solite, il cantautore di Hannover ci regala un altro brano che dondola fra il sacro e il profano.

Senza mezze misure, il testo lamenta la delusione dell’uomo per la mancata osservanza della buona novella, tant’è che a fine video si legge “a Riace, a chi lotta per mettere in pratica la buona novella”. Videoclip girato da Daniele Ciprì, per i cinefili è il direttore della fotografia del Primo Re e de La Paranza dei Bambini (per dirne due), a Riace appunto, luogo simbolo della resistenza al problema dell’immigrazione, in bianco e nero con Rossella Brescia nei panni di una Madonna bella e scalza e con Marcello Fonte.

Il bianco e nero ed in particolare una posa ricordano Roma di Cuaron, se non trovate questa somiglianza passatemela, evidentemente ho troppa malvasia in corpo.

Resilienza sociale, come potremmo attualmente declinare, che il cantautore sottoscrive nel brano e, anzi, con la sua melodia banale ma efficace vuole che l’ascoltatore si concentri sulle parole, apparentemente scritte su una pietra o, nel caso di specie, su una carta d’identità.

“Usare” la figura politica di Cristo, nel periodo pasquale, per sensibilizzare la pubblica opinione non solo sul problema dell’immigrazione ma soprattutto sullo svilimento sociale che si perpetra ogni giorno. 

Scelta opinabile certo, indubbiamente coraggiosa, efficace e abbiamo una necessità impellente di artisti coraggiosi, di qualcuno che si occupi, coraggiosamente, di dirci come la pensa, fra sacro e profano appunto.

Così Vinicio Capossela, immagina questo povero cristo fra la gente – compito primario della religione e delle figure cui l’individuo si affida – nascosto negli occhi di un “prossimo suo” da aiutare e non da affogare solo perché un po’ più debole, che mangia verze e patate, mentre “nel mondo una guerra è signora della Terra”.

Capossela, come aveva già fatto in “Marinai Profeti e Balene” descrive scene di vita e personaggi che realmente potrebbero esistere ed assurge al ruolo di cantautore profeta di un mondo immaginato e utopico in cui viga l’uguaglianza e la parola abbia un peso specifico.

Esattamente come una fiaba che si racconta ai bambini e come una strofa musicale da chiudere la canzone dichiara la moderna povertà d’attenzione (che potrebbe tradursi nello svilimento politico ed intellettuale della gran parte di noi):

Il povero Cristo
è sceso dalla croce
e Cristo come era
ha incontrato l’uomo
aveva un paio di baffi
e un coltello da affilare
lo sguardo torvo non
smetteva di sfidare
e gli ha detto:
Cristo, spostati e lasciami passare
non voglio sentir prediche, ho già molto da fare.

Non ci resta che aspettare il disco e un concerto dal vivo, chissà.

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