Nello Santi e la morte della tradizione italiana

by Fabrizio Simone

Il 6 febbraio 2020 il cuore di Nello Santi ha smesso di battere. Il grandissimo direttore d’orchestra nativo di Adria si è spento ad 88 anni.

Nel corso della sua lunga carriera – 60 anni d’intensa attività – Nello Santi ha lavorato con tanti mostri sacri della lirica come Luciano Pavarotti, Renata Scotto, Alfredo Kraus, Ettore Bastianini, Joan Sutherland, Franco Corelli, Edita Gruberova, Leo Nucci,  Katia Ricciarelli, José Carreras, Agnes Baltsa, Ferruccio Furlanetto, Ruggero Raimondi, Montserrat Caballé, Piero Cappuccilli, Diana Damrau, Carlo Bergonzi,  Leontyne Price, Robert Merrill, Birgit Nilsson, Cesare Siepi e Placido Domingo (col quale ha inciso La Fanciulla del West, Andrea Chénier, Pagliacci, L’Amore dei tre re).                                     

Nello Santi era uno specialista dell’opera, in particolare di quella italiana. La sua bacchetta ha dato nuova gloria a Puccini, Donizetti, Rossini e Bellini, i quali hanno conosciuto una luce nuova e sconosciuta grazie al suo proverbiale rigore. Nei veristi – ogni suo Chénier era un trionfo – era straordinario. Il suo Verdi (Giovanna D’Arco e I due Foscari inclusi) era eccezionale: quel fraseggio lo rendeva inconfondibile. Ma Santi ha diretto con grande orgoglio anche diversi capisaldi della musica sinfonica – specialmente Beethoven e Brahms – quando gli veniva offerta la possibilità di abbandonare temporaneamente il melodramma.

Ha servito fedelmente i geni di ogni tempo nei più grandi teatri del mondo: dal Teatro La Fenice di Venezia all’Opéra National de Paris, dal San Carlo di Napoli all’Opernhaus di Zurigo, dal Metropolitan di New York all’Opera di Vienna. Averlo sul podio era una garanzia, eppure alla Scala arrivò solo nel ’71, dopo 20 anni trascorsi in giro per l’Europa e l’America. Tornò nel più importante teatro italiano dopo ben 46 anni, nel 2017, per il sontuosissimo allestimento della Traviata firmata da Liliana Cavani e con Anna Netrebko nei panni di Violetta Valery. Il suo ultimo impegno risale a poco meno di un anno fa: ha salutato il mondo musicale con la Lucia di Lammermoor di Donizetti, una delle opere che più gli stava a cuore (e che meglio rappresenta quel patrimonio culturale che ci ha reso orgogliosi d’essere italiani).

Nello Santi era universalmente riconosciuto quale ultimo custode di una tradizione che affondava le sue radici direttamente nel mito di Toscanini, che venerava con devozione e del quale ha sempre cercato di seguire la lezione (del resto l’Arturo nazionale era ancora vivo quando Santi impugnò per la prima volta la sua memorabile e lunga bacchetta, senza dimenticare l’altrettanto celebre anello collocato sul mignolo). Non amava la filologia musicale, preferiva attenersi fedelmente alla partitura ma la sua direzione, nonostante i tempi frequentemente  dilatati  – i loggionisti gliel’hanno fatto notare anche durante la Traviata scaligera –  e la conoscenza assoluta della nostra musica hanno fatto di lui il più importante direttore d’opera attivo dalla seconda metà del Novecento fino al 2019. “Papa Santi” rimarrà nella storia anche per il suo humour e la sua simpatia, sfoggiati sempre con grande serietà.  L’Italia ha perso uno dei suoi simboli e, intossicata da Sanremo, non se n’è neppure accorta.

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