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Musica

“Siamo costretti ad annullare chi siamo per raggiungere un obiettivo”: la teoria rap-poetica di ANASTASIO

by Felice Sblendorio 19 Aprile 201924 Maggio 2019
written by Felice Sblendorio 19 Aprile 201924 Maggio 2019
“Siamo costretti ad annullare chi siamo per raggiungere un obiettivo”: la teoria rap-poetica di ANASTASIO

Un poeta greco amava dire che le parole sono come vecchie prostitute che tutti usano male. Aveva ragione: non c’è nulla da opporre soprattutto in questo tempo confuso. Non tutti, però. Sicuramente, non le usa male Marco Anastasio, il vincitore dell’ultima edizione di X Factor, talento purissimo della parola, autore di una miscela poetica esplosiva ai limiti fra rap e tradizione cantautorale italiana.

Dalla vittoria del talent di Sky a metà dicembre, il ventunenne di Meta sta inanellando un successo dopo l’altro, dal tour “La fine del mondo”, che questa sera dopo quindici tappe in giro per l’Italia arriverà in Puglia alle ore 21.00 al Demodè Club di Modugno (biglietti ancora disponibili su www.ticketone.it), fino ai prossimi appuntamenti: la partecipazione al concertone del primo maggio a Roma, il Giffoni Film Festival e le tappe estive del suo tour. La stoffa, il talento che nel live diventa energia pura per liberare l’espressione e l’urgenza delle parole, l’avevamo notata sin da subito. La prima volta che l’abbiamo visto in tv, su Sky, aveva stupito tutti con una prima bozza de “La fine del mondo”, il suo primo singolo che ha già conquistato la certificazione FIMI per il disco di platino.

Si era presentato semplicemente come Marco: classe 1997, studente in procinto di laurearsi in Scienze Forestali e Ambientali, jeans, maglietta blu e felpa grigia (con cappuccio). Alla domanda di Alessandro Cattelan sul suo look aveva ammesso che sì, era “trasandato male”: ma il look, quando hai qualcosa in corpo così incandescente che preme per uscire, diventa l’ultimo dei problemi. Sul palco, poco dopo, una forza incredibile ha coinvolto tutti: Anastasio cantava non solo la sua rabbia, il suo rancore, ma una disperazione generazionale che con lui trovava le parole giuste e, finalmente, il posto giusto per poterle esprimere. Aveva steso tutti, con gli occhi lucidi e l’esitazione della prima volta, con “sono stanco delle cose normali, non mi alzo dal letto per le cose normali” fino ad arrivare ad un’immagine di apocalittica plasticità: “sogno una folla che salta all’unisono fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi; sogno il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli sopra una folla danzante di vandali”. Non aveva ancora visto le fiamme, così terribili e assolute, distruggere parte di Notre Dame, ma aveva anticipato una figura dirompente come il Giudizio Universale in coriandoli: aveva ragione Asia Argento, “che testo della madonna, oh”. Durante la sua proclamazione come vincitore, poco dopo aver salutato, da buon napoletano, Maradona come Sorrentino agli Oscar, Anastasio aveva detto sul palco del Mediolanum Forum: “Questa cosa mi è sfuggita di mano. Cazzo, sì: posso dire le parolacce?”.

Un successo sfuggito di mano, o quasi. “Chi è Marco Anastasio in una frase? Marco Anastasio è una persona normale che per una serie incredibile di eventi si è ritrovata ad essere famosa grazie ad un talent. Io non penso che aver partecipato ad X Factor sia stato un male necessario: l’importante è sapere chi sei, chi si è, perché altrimenti si viene mangiati. Un format come quello comporta necessariamente una gigantesca esposizione mediatica che non è sicuramente facile da sostenere. L’unico antidoto, secondo me, è quello di essere se stessi. Credo sia questa la chiave giusta per emergere”, racconta velocemente Anastasio a bonculture poco prima di arrivare in Puglia per il suo concerto.

Esposizione che ha retto bene, nonostante le polemiche legate ad alcune sue preferenze politiche (poi smentite), grazie alla potenza delle sue parole, al senso della frase, ad una singolare autenticità poco mediata ma viscerale che, oggi, è molto difficile trovare in giro. Anastasio è zero filtri. Lo può capire bene chi viene da una periferia della periferia come il Meridione, dove lo sguardo si affina, diventa quasi cinico, più realista: la musica si trasforma così in uno sfogatoio per esprimere, senza troppi orpelli, idee, frustrazioni, dolori, sentimenti che hanno covato a lungo prima di poter incontrare un pubblico più vasto. “La musica, la mia musica, per me è fondamentale. Riesce, da sempre, a catalizzare degli stati d’animo per cristallizzarli e fissarli in un pezzo. Per me è un modo che mi aiuta da sempre a sfogarmi”, continua a raccontare Anastasio.

Uno sfogo personale e generazionale che è arrivato come materia vibrante sul palco di Sanremo con il suo ultimo pezzo, “Correre”. All’inizio l’avevano chiamato per realizzare un brano sul rapporto genitori e figli, suggestione in stile “Gli Sdraiati” by Michele Serra, ma lui ha stupito tutti, ancora una volta, con un pezzo che affronta quel rapporto da una visione generazionale fra i “vecchi” e la sua generazione, quella che assume anima e corpo solo in orribili statistiche e numeri, quella mai raccontata dai diretti interessati, quella bistrattata da tutti tanto da chiamarla “z”, come l’ultima lettera dell’alfabeto. In poco più di tre minuti Anastasio ha condensato un libro di sociologia generazionale: il capitalismo, la corsa per la perfezione, l’identità di cartone, i modelli che mancano, la verità svilita dall’opinione, il pensiero liquido di Bauman che con lui, più realista che pessimista, diventa etereo, quindi gassoso: neanche la forma dei liquidi che si adatta ai recipienti, nulla.

“Correre è un pezzo che parla di confusione, che è un tema enorme, e della condizione dei giovani nel modello di competizione imposto dalla società. Siamo dentro un competitivismo sfrenato, che ci chiede di correre per superare gli altri. Ma il punto importante è anche un altro: oggi per raggiungere un obiettivo dettato dalla nostra volontà siamo costretti ad annullare chi siamo”, chiarisce.

Si capisce facilmente che Anastasio ha una certa idea di mondo, una ben definita idea di mondo. Lo si nota nelle sue canzoni, nelle parole che a X Factor, settimana dopo settimana, ha cucito sui più grandi: da De Gregori a Fossati, dai Pink Floyd ai Led Zeppelin. Sembra essere sempre perfetto in quel magma che si chiama poetica: dove le parole scelgono la direzione e l’immagine da rappresentare: “un treno che partiva pieno e che tornava vuoto, la mattina tremo quando dormo poco” su “Generale” oppure “il mondo vince le sue battaglie ma la guerra l’ha persa in partenza perché per quanto lo tenga in bilico lui cinico non ci diventa” su “Mio Fratello è figlio Unico” di Rino Gaetano.

Le parole, quelle che provocano la scintilla, vanno utilizzate con cura, nonostante la rabbia. Ma questo lo sa bene Anastasio: le parole rotte costruiscono mondi offesi. “Oggi la parola più rotta ed usurata dal nostro presente, forse, potrebbe essere gente. Al giorno d’oggi si parla alla massa credendo di parlare a qualcuno, ma per me è solo un escamotage”, conclude.

Anastasio
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