La locandiera di Andrea Chiodi, con Tindaro Granata e le poupettes rivive il classico di Goldoni

by Claudia Pellicano

«Tutto il mio piacere consiste nel vedermi servita, vagheggiata, adorata»: con questa frase potremmo riassumere il carattere di Mirandolina, la protagonista di quella che rimane, probabilmente, la più celebre commedia di Goldoni.

La Locandiera in programma in questi giorni al teatro Vascello di Roma è affidata all’elegante regia di Andrea Chiodi e all’interpretazione ironica e moderna di un cast di giovani attori tra i quali spiccano sicuramente Mariangela Granelli nel ruolo di Mirandolina e Tindaro Granata in quello del Marchese di Forlimpopoli. È rinfrancante assistere a un ensemble non in soggezione di un grande classico, che riesce a riproporre il testo di Goldoni con umorismo, energia e naturalezza.

Lo spettacolo, inframmezzato dalla lettura di alcuni appunti dello stesso autore, ruota attorno a una grande tavola bianca, dove si avvicendano i vari personaggi che, oltre a interagire tra di loro, dialogano con delle bambole, delle poupettes, come racconta il regista: «La tavola rimanda alla locanda, è convivialità, può sintetizzare in modo semplice quell’atmosfera, è una giostra, una macchina, con un sopra e sotto che allude ai vari ambienti. Leggendo le Memoires dello scrittore, mi ha colpito il fatto che per scrivere i suoi spettacoli partisse da queste poupettes. Arrivava alla parola scritta da queste bambole, e ho trovato bello riproporlo. Gli attori dialogano con le poupettes, e anche quando i commedianti vanno via, rimangono i personaggi».

Chiediamo sia a lui che a Tindaro Granata quale sia, secondo loro, l’attualità della Locandiera. Chiodi racconta che s’inscrive in un percorso della casa di produzione Proxima Resincentrato su dei grandi classici che hanno come protagoniste delle figure femminili: «Abbiamo già portato in scena Giovanna D’Arco e La Bisbetica Domata. Oggi, a proposito della Locandiera, mi interessava molto l’aspetto delle relazioni tra uomo e donna e la dinamica dell’amore non corrisposto, la visione della donna ammaliatrice. È interessante vedere un femminile conquistatore e “dongiovannesco”.
È una macchina perfetta, una commedia travolgente, nella quale i personaggi hanno ancora tanto da dirci. Viene vista dalle scuole, io dico ai ragazzi come le relazioni siano importanti e debbano essere curate. Goldoni già sapeva che stiamo perdendo la cura nei rapporti umani».

Per Granata l’attualità è anche in quella lingua «desueta, antica, primitiva, che non si usa più ai giorni nostri. Sembrerà un paradosso ma ho la sensazione che oltre alla storia di una donna che cerca di assoggettare il maschile al suo femminile, oltre alla denuncia di una società meschina e capace di muoversi sulle apparenze e sugli inganni (niente di più attuale), oltre alla bellezza del meccanismo comico che nasconde una drammatica visione della vita, quella lingua che usano i personaggi goldoniani, l’italiano fiorentino dell’epoca, è qualcosa che mi riporta all’oggi, penso a molti stranieri che incontro e con i quali parlo, per strada, sui mezzi, alle Poste, che parlano con quell’italiano che a noi sembra sgrammaticato (Goldoni fa dire a Mirandolina: «Ella mi piace assaissimo»). Forse nel nostro passato linguistico sta il nostro presente e il nostro futuro: ed ecco, già, la nostra attualità».

Gli chiediamo di parlarci di Proxima Res e della sua idea di direzione artistica: «È un’associazione nata dieci anni fa per volere di Carmelo Rifici, riunendo una decina di artisti con i quali voleva continuare un percorso iniziato qualche tempo prima. Io ero arrivato per ultimo. Dopo la nomina di Rifici alla direzione della Scuola del Piccolo Teatro/Luca Ronconi, la Proxima Res è passata alla mia direzione e io ho previsto una gestione a quattro mani con tutti i miei soci che sono: Emiliano Masala, Caterina Carpio, Mariangela Granelli, Francesca Porrini e Margherita Balboni.  Noi siamo una compagnia di professionisti che ha come vocazione la formazione teatrale. Ho idealmente “separato”  la Proxima Res in due parti: una scuola la cui direzione è affidata a Emiliano Masala, coadiuvato da tutti i miei soci, e la produzione che dirigo io, sempre in accordo e in ascolto con i miei soci. Diciamo che siamo tutti parte attiva delle scelte e dell’anima dell’associazione. La produzione principalmente è pensata sulla valorizzazione della drammaturgia contemporanea italiana, anche se ci siamo cimentati, con Andrea Chiodi, nello studio e messa in scena de La Locandiera. Sicuramente ritorneremo a lavorare su un classico».

Granata è anche uno dei fautori di Situazione Drammatica, un progetto che mette il copione al centro dell’esperienza teatrale: «Il mio più grande desiderio e speranza a proposito di questo progetto è che il pubblico si appassioni alla lettura dei testi teatrali. Che si sostengano i giovani scrittori di teatro, ne abbiamo bisogno come abbiamo bisogno di un viaggio, di una cena, di un abbraccio. Dobbiamo coltivare i nostri talenti. Chi scrive ha il dono di parlare al mondo che verrà e quindi dobbiamo dar vita ad una generazione di menti illuminate che siano dei punti di riferimento per la nuova società! Da tutto questo nasce Situazione Drammatica, raccontando a Carlo Guasconi e Ugo Fiore l’idea di dare la possibilità al pubblico di leggere il copione di un testo teatrale, in presenza dell’autore».

Al termine di Antropolaroid, mi aveva molto colpito un aneddoto che condividi col pubblico. Vorresti raccontarlo i nuovo qui, anche per gli artisti e i giovani interpreti che ci leggono?

«Tengo quel racconto per gli spettatori che vengono a vedere lo spettacolo, come se fosse un regalo che faccio a loro per restituire tutto l’amore che ricevo ogni volta che recito. Ma brevemente lo posso sintetizzare così: sognavo di fare l’attore. Ero un ragazzo come tutti, come tanti. Lascio la mia casa e porto con me gli insegnamenti dei miei nonni, dei miei genitori, della mia terra, del mio mondo contadino dal quale vengo. Arrivato a Roma, faccio il commesso e il cameriere per inseguire il mio sogno. Arriva un giorno che ci riesco, debutto in un grande teatro con un grande artista, ma subito dopo la vita mi riporta a fare nuovamente il commesso e mi allontana dal mondo del teatro. Io lotto con tutte le mie forze per riacchiappare quel destino che sapevo essere il mio futuro, e grazie al cielo ho la forza di ricordare quello che mi avevano insegnato i miei vecchi: avrai tanta fortuna e tanta bellezza solo se saprai passare dalla sofferenza. Ed eccomi sul palcoscenico, ancora e ancora da allora».

Che cosa consiglieresti a chi si avvicina a questo mestiere? O, se vuoi, che cosa vorresti poter dire al te stesso di qualche anno fa?

«Ai giovani direi mille cose ma non dei consigli, vorrei passare loro delle esperienze. Cerco sempre di parlare alla gente, ma non mi ascolta nessuno se non parlo col cuore. Cerco di scrivere come funziona il mondo per capire come fa la vita ad essere così meravigliosamente sorprendente. Sono un bugiardo e uno che promette e mantiene solo poche volte. Dico a tutti “ci vediamo domani”, anche se so che il giorno dopo sarò sulla luna e non sulla terra. Ascolto musica e faccio l’amore. Cerco di essere figlio e padre di chi mi sta accanto e cerco di amare chi mi ama. Cerco di amare anche chi mi parla dietro e perdonarlo, così perdono me stesso quando parlo male alle spalle di qualcuno. Faccio l’attore perché mi piace il sesso e sono godurioso. Faccio teatro perché mi piace ascoltare storie. Amo la natura e gli animali. Faccio la raccolta differenziata e spreco poca acqua. Del giovane Tindaro vorrei avere la sua fede e la sua dolcezza, vorrei dire a lui di non perderle mai e se mai le perderà di cercarle su quelle montagne dove respirava da bambino».

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