L’Isola di Kalpa, il congedo della stagione per famiglie del Teatro dei Limoni

by Enrico Ciccarelli

Un po’ Isola che non c’è e un po’ Isola ferdinandea, l’Isola di Kalpa, di Christian Di Furia, ha chiuso la stagione per famiglie del Teatro dei Limoni. Un congedo effettivamente limonesco, pienamente allineato al modo di pensare e fare teatro dei ragazzi di via Giardino, che malgrado il ridotto perimetro del loro spazio scenico praticano e inscenano rappresentazioni che non sono mai soltanto di parola o di gesto, ma anche di azione.

Mentiremmo per la gola, se dicessimo di avere compreso appieno il complicato marchingegno messo su dal talentuoso Di Furia, con un misto di credenze magiche e tecnologie aliene, superpoteri a localizzazione coatta, streghe del mare e profeti. L’impressione è che lo stesso autore non se ne curi più di tanto, impegnato com’è a mettere in piedi un andirivieni teatrale leggero e divertentissimo, animato da tre attrici e due attori di straripante vivacità.

La giovanissima veterana Francesca De Sandoli è la cieca e laconica Pea, in leggings rosa e occhialini da non vedente, usa a rispondere con monosillabi ai giovanili entusiasmi di suo marito Brandino, improbabile Indiana Jones de noantri completo di tascapane, brillantemente intepretato da Stefano Dragoni. Cristiano Russo conferisce fisicità e autorevolezza tricologica a Boris, fratello di Bea e cognato di Brandino, l’unico della combriccola che, essendo dotato di potere profetico, sull’isola riemersa non vorrebbe proprio tornare. Nicole Piemontese è magistrale nel prestare a Giulia, Ursula della Sirenetta in versione snella o baba yaga tropicale, occhi strabuzzati, vocione e risatona diabolica. E poi c’è lei, Graziana Cifarelli, che interpreta –scusate il bisticcio- un’inteprete ciarliera e garrula, la svampita Sara. Nel vivaio sempre fecondo della Banda Galano, Cifarelli sembra davvero nata in palcoscenico, associando a un’evidente bellezza un’applicazione feroce, che la mette in condizione di adattarsi a una grande molteplicità di ruoli e di registri, sempre con esiti brillanti.

Il quintetto affascina il pubblico e soprattutto la sua parte più esigente, cioè le bambine e i bambini, con una sarabanda talora caotica e sempre rutilante. Particolarmente riuscita la trovata del superpotere del rewind, che porta gli attori a muoversi e a parlare a ritroso: scenicamente divertente e tecnicamente faticosissimo. Lo scioglimento finale, pur non imprevedibile, è gustoso, e fa venire voglia di tornare. Se non sull’Isola di Kalpa, nello spazio di via Giardino. Piccolo e immenso come tutti i sogni.

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