Scrivere con consapevolezza, oltre l’autofiction. Loredana Lipperini: “Lo status della letteratura è mentire”

by Antonella Soccio
Loredana Lipperini

Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.

Questa è l’acqua, Discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005


Allora andiamo, tu ed io,

Quando la sera si stende contro il cielo

Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;

Andiamo, per certe strade semideserte,

Mormoranti ricoveri

Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo

E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;

Strade che si succedono come un tedioso argomento

Con l’insidioso proposito

Di condurti a domande che opprimono…

Oh, non chiedere « Cosa? »

Andiamo a fare la nostra visita.

Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, T.S Eliot


Chi è quel terzo che cammina al tuo fianco? Secondo la giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica Loredana Lipperini, come per il Thomas Stearns Eliot de La terra desolata per sopravvivere al realismo della rete, che ci vuole tutti maledettamente autentici nella continua esposizione dell’hic et nunc, occorre farsi compagni invisibili di se stessi.

Intervenuta in un bellissimo appuntamento di Musica Civica prima dell’esilarante Duo Baldo, Lipperini ha trasferito al pubblico del Teatro Umberto Giordano la sua esperienza sulla relazione tra letteratura e presenza sui social.

Esiste un interminabile spettacolo di illusionismo nella letteratura, i più grandi autori e autrici, a suo avviso, sono coloro che “non temono di varcare i confini del realismo”, laddove oggi ci si indigna costantemente per fatti, che quasi mai fanno pensare. Da Ludovico Ariosto a Camus con La Peste fino Ray Bradbury, la letteratura è stata reale, ma non realista perché essa sa mentire come mentono gli illusionisti. “Se un mago è solo un attore che recita la parte del mago, uno scrittore realista è solo uno scrittore che recita la parte di se stesso”.

Lipperini nella sua lezione cita il caso del racconto pubblicato dal New Yorker nel 1948, “ La lotteria” di Shirley Jackson intitolato, una storia che venne interpretata dai lettori più vero del vero.

La scrittrice ha fatto ricorso a Giorgio Agamben per definire la narrazione non realistica. Essa riceve il fascio delle tenebre del nostro tempo, come La notte dei morti viventi di Romero che nel 1968 riuscì a enunciare meglio di un reportage l’orrore del massacro di My Lai in Vietnam, quando i morti cominciarono ad afferrare i vivi.

“Noi attribuiamo alla nostra vita virtuale la verità, l’autenticità. Sii autentico è l’imperativo, che ci pone in una bolla. Due libri hanno dato il la a questo modo di essere: Gomorra e La Solitudine dei Numeri Primi. Entrambi sono l’espressione diretta di un io scrivente che si rivela autobiografico. Ma siamo sicuri che la letteratura non debba invece scardinare il reale nelle nostre vite così confuse tra vero e falso? In rete dovremmo provare a tenere al nostro fianco un amico invisibile e raccontare per essere con gli altri”, ha detto Lipperini.

È più di un SuperEgo quello che serve in rete per sfuggire al realismo e alle sovrastrutture qualunquiste e semplificative della propria mentalità pigra. Per comprendere quale meccanismo dovremmo attivare per essere sul web Lipperini si è servita del grandissimo discorso di David Foster Wallace pronunciato ai laureati.

I pensieri vanno addomesticati, guidati dalla consapevolezza e dalla libertà dell’educazione e della cultura, per non farli cadere nelle trite “configurazioni di base”, che fondano pregiudizi e cliché. Quel discorso mirabile era antecedente al successo dei social network, ma sembra scritto oggi. Va quasi sempre scartata la prima idea, la coazione a ripetere che ci viene in mente.

Noi di bonculture abbiamo incontrato Loredana Lipperini prima della sua performance sul palco. L’abbiamo intervistata.

Lipperini, col suo blog Lipperatura è presente on line da tantissimi anni, cosa è cambiato dagli inizi? Si occupa meno di storie di genere come mai?

Lipperatura è nato nel 2004, è nato come blog letterario e per un lunghissimo periodo, ma anche oggi, si è occupato di femminismi, cosa che fa anche adesso. Sono un po’ cambiati i tempi, a dire la verità, perché la maggior parte delle discussioni si riversa sui social network e su Facebook soprattutto. Io continuo a scrivere, posto su Facebook col link al blog, ma poi mi rendo conto che la discussione si sviluppa non più sotto al blog, dove ai tempi c’erano anche 300 commenti, ma direttamente sui social. I blog sono luoghi che sì si continuano a leggere, ma non sono più i luoghi di discussione. Attraverso la mutazione della letteratura, che ahinoi prende moltissimo dai social network, perché si pretende realistica, viviamo l’autofiction, così come noi spiamo le vite degli altri sui social. Così vogliamo continuare a spiarla anche in un libro, ma così viene meno la letteratura viene meno al suo status principale, che è quello di mentire.

Che ne pensa dello sviluppo della poesia on line come post social?

Positivo, non mi turba nulla della narrazione, inclusa la narrazione poetica sui social network. Quello che mi preoccupa è la confusione tra gli stati di realtà per cui se io oggi scrivo con uno status che sono malinconica, non è detto che io stia dicendo la verità, ma invece viene presa per la verità. Eppure io sono una scrittrice, filtro la realtà, il mio non è un diario. Anche quando posto le foto dei miei amati gatti è qualcosa che io decido di fare. Quello che io provo a fare è un uso consapevole. Nel 2005 Forster Wallace in Questa è l’acqua parlava di consapevolezza. Lui non parlava di rete, ma è come se parlasse di rete e fa impressione. Noi abbiamo due modalità: l’automatico e la consapevolezza. Noi stiamo smarrendo la consapevolezza.

Sui social network tutto viene cristallizzato. Ogni post ci induce a pensare di conoscere i sentimenti delle persone, che si ritiene siano immutabili. Se una persona comunica, anche fingendo, di esser triste, lo resterà per sempre. Quella condizione si irradia sui suoi contatti.

Attira gli altri che hanno la stessa modalità o pensano di essere ugualmente tristi. Va anche detto che si dimentica tutto. Tutto quello che ci agita, ci indigna, ci commuove in rete dura non più di 24-48 ore. E questo è abbastanza impressionante. Per questo io sto cercando di intervenire sugli argomenti dopo, mai più a caldo. Anche nelle discussioni sui femminismi cerco di intervenire dopo, cercando di dare una complessità. La rivoluzione non si fa con gli hashtag.

Però le donne ci sono un po’ cascate in questo meccanismo di discussione che si autoalimenta, o no?

Sì, ai tempi del #metoo, ho fatto molti distinguo nel lunghissimo post che ho scritto di Lipperatura. Ci ho lavorato una settimana: avevo il dubbio che una fiammata condotta in quel modo sarebbe poi stata facilissima da spegnere o da ridicolizzare. Difatti poco dopo, sempre restando nel tema, sono arrivati i titoli dei giornali “lo Strega del #metoo” “Il Campiello del #metoo”, un modo terribile di sminuire il valore di un’opera. Ne abbiamo avuto un esempio pochi giorni fa col titolo di Repubblica “Gli angeli della ricerca” sulle ricercatrici che avevano isolato il virus.

Su quella ricerca è scattato quasi automaticamente l’istinto a sottolineare che fossero donne e del Sud. Non è anche quella una “configurazione di base”?

Qualcuno ha scritto che coccolavano il virus. Neanche un bimbo in culla. Gli angeli. Usare la rete in modo consapevole significa fare un ragionamento anche sfiancante, lento, ripetitivo. Pensateci 7 volte a condividere uno status. Il rischio che noi facciamo è di identificare tutto il mondo con me. Me me. Ed è quello che sta succedendo.

Le capita di attingere dai commenti? Il giornalista deve farsi guidare dai commenti social?

È un discorsone. Io non scrivo più sui giornali, devo dire che è stato un percorso lungo perché fare la giornalista era il mio sogno di ragazzina e l’ho fatto per tanti anni. Ma ora ho detto: no grazie, non è più il mondo che io pensavo che fosse. Ora mi dedico alla scrittura più ampia e ragionata e mi tengo strettissima il blog. I giornali oggi inseguono i social. Stanno assumendo sempre di più il linguaggio dei social. Laddove polemica non c’è cercano di aizzarla. Questa è la morte del giornalismo, del giornalismo italiano in particolare, perché il giornalismo deve darti quello che un social non ti dà. Perché io devo comprare un giornale se lo trovo tutto in rete con gli stessi toni e gli stessi titoli e la voglia di agitare un venticello? Leggo molto volentieri alcuni siti che si occupano di cultura, continuo a rimanere abbastanza basita sui toni usati nei confronti di alcuni amici scrittori e scrittrici. Faccio un esempio per tutti: la mia cara e amatissima amica Stefania Auci, che è stata la scrittrice dell’anno, trattata con un certo snobismo dalla critica letteraria, salvo poi essere stata intervistata come scrittrice fenomeno. Ma se una scrittrice riesce ad essere popolare e a farsi leggere da 300mila persone, essendo poi non un caso costruito a tavolino e sapendo quante porte in faccia ha preso anche per questo libro, se non capisci questo, se hai ancora questo antico snobismo di cosa e di quale giornalismo parliamo?

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