Stefano Corsi e il ruolo dell’attore in terra di Quarta Mafia. “Il teatro può indicare da quale parte stare”

by Antonella Soccio

Con il monologo Panunzio, scritto da Marcello Strinati, Stefano Corsi, attore e anima organizzativa del Teatro della Polvere di Foggia, ha vinto un premio al concorso teatrale di antimafia sociale promosso dalla giornalista e scrittrice Federica Angeli. A breve partirà il progetto “Soprasotto. Teatri di periferia”, nei Comuni di San Marco in Lamis, Sant’Agata di Puglia e Monte Sant’Angelo, col quale il Teatro della Polvere si è classificato insieme ad altre realtà territoriali primo in Puglia al bando regionale del Teatro Pubblico Pugliese, Periferie al Centro.

Noi di bonculture abbiamo intervistato Stefano Corsi sul suo impegno e su come il teatro possa svolgere un ruolo di guida a Foggia, terra di Quarta Mafia.

Stefano, su quali periferie interverrete e che tipo di lavoro avvierete sul territorio?

È stata per noi una grande soddisfazione: siamo risultati vincitori del bando, ma soprattutto siamo risultati primi in tutta la Puglia.  Abbiamo portato avanti un progetto, gli unici in Puglia, con altre realtà produttive e non solo con partner esterni, come Arcobaleno e Jà Archeologia srl. Abbiamo vinto insieme ad AVL TEK, la società cooperativa di Michele D’Errico e Mario Pierrotti e alla Bottega degli Apocrifi di Manfredonia, segno che il contaminarsi, cosa su cui spingiamo molto, paga anche a livello istituzionale. Noi ci occuperemo dei laboratori teatrali per under 35 per poi mettere in scena nel Castello di Sant’Agata delle rievocazioni storiche. Inoltre poi ci sarà uno dei nostri spettacoli di punta, Inferno, al Castello. Col Comune di Sant’Agata stiamo già avviando una bella collaborazione per altri eventi.

Nei panni di Giovanni Panunzio

Il teatro può influire su un percorso di riscossa civile a Foggia, dopo la marcia dei 20mila? Voi avete già vinto un premio per la legalità, raccontando la storia di Giovanni Panunzio, l’imprenditore edile ucciso il 6 novembre del 1992 dalla mafia perché si è rifiutato di pagare il pizzo. Come ci si sente a lavorare in tali contesti?

Uno dei miei insegnanti, Roberto Galano, ripeteva sempre che l’attore racconta delle storie. È un concetto in cui mi sono sempre ritrovato, è importante raccontare determinate storie, spesso, come accade per la Shoah, occorre parlare di alcune cose affinché queste non accadano più. Il teatro può servire a scuotere le coscienze, può far conoscere le vite delle persone che erano normalissime, ma per la loro ribellione alla mafia, come nel caso di Giovanni Panunzio e del mio monologo, sono state uccise. Il teatro può far conoscere quelle persone che dopo l’ingresso della mafia nella loro storia hanno visto le loro vite distrutte. Questo può accadere a tutti: la mafia è molto più vicina di quello che si pensa. Tutti credono che la mafia non possa mai colpire personalmente, ma evidentemente non è così. Lavorando, come spesso succede, con le scuole, il teatro può servire davvero a smuovere le coscienze di chi è ancora nella fase embrionale della formazione della coscienza. Il teatro può raccontare come è necessario vivere e può indicare da quale parte stare, sin da subito. Vincere un premio fa sempre piacere, a maggior ragione se si parla di legalità ed è qualcosa per cui si combatte. Si avverte molta responsabilità a parlare di mafia e delle storie delle vittime. Per altre storie si pensa soltanto a raccontarle bene, a far arrivare il messaggio e far divertire il pubblico. In questo caso invece accanto al messaggio c’è altro: si sente una grande responsabilità, che è maggiore se si pensa che sono persone vere, che hanno realmente vissuto e che ci sono ancora familiari che possono rivivere quei momenti. Assieme al senso di responsabilità però c’è anche una forte soddisfazione: vedere ragazzi di tutte le età e di ogni contesto sociale e territorio rimanere colpiti dalla storia e attenti ad ogni dettaglio è importante. Mi è rimasto impresso un episodio con dei ragazzi di Monte Sant’Angelo, in una scuola autogestita e quindi senza professori. Al monologo di Panunzio dopo un inizio con i soliti risolini e battutine, si sono poi ammutoliti e hanno seguito la storia. È qualcosa che mi ha colpito.

Nello spettacolo “Gino” su Luigi Pinto

Come mai secondo te, il teatro civile sui temi mafiosi è ancora così poco battuto dalle compagnie locali? È una forma di omertà, non se ne sente il bisogno o si ritengono le storie locali criminali poco teatrali?

Non è propriamente vero che le compagnie locali non parlano di mafia o di criminalità. Ricordo alcuni spettacoli e alcuni eventi. Certamente non è che non si allestiscono spettacoli sulla mafia per omertà, gli artisti hanno una grande sensibilità. L’arte nasce da un bisogno: ognuno deve portare avanti la propria esigenza di raccontare. Magari noi sentiamo più forte l’esigenza di questo racconto e l’abbiamo fatto in spettacoli e in performance e in brevi monologhi. Lo faremo spero di nuovo, presto, con uno spettacolo su Mario Nero, per noi è davvero una esigenza. Credo che non sia neppure una questione legata al tipo di racconto. Ogni storia può essere raccontata, tutte le storie in sé hanno delle potenzialità espressive e paradossalmente quelle tragiche ne hanno anche di più. L’esigenza di alcune compagnie è diversa come modalità di espressione, come volontà. Ma non mi sento di condannarle e di sentirle omertose o insensibili al tema  

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