Tre motivi (più uno) per applaudire Hamlet01, l’Amleto del Teatro dei Limoni

by Enrico Ciccarelli

“Quanto vale una vita? Giusto il tempo di qualche battuta. Il resto è silenzio” Ci sono almeno tre ragioni per applaudire con convinzione questo Hamlet01, primo anello della trilogia shakespeariane che Roberto Galano e Christian Di Furia stanno scrivendo a quattro mani e che dovrebbe regalarci anche un Macbeth e un Riccardo III. Il primo motivo di lode è l’elogio dell’incoscienza.

Sia chiaro, il Bardo non si batte, e più di un attore laureato e compagnia prestigiosa ci hanno lasciato le penne; ma va dato credito al Teatro dei Limoni di aver trovato un approccio discreto, a mezza voce, assai lontano dai vizi della filodrammatica come dalle presunzioni dell’avanguardia.

Il vasto continente del capolavoro di Shakespeare (fidatevi, è una vivace fontana di significati e significanti  che è ben lontana dall’avere esaurito i suoi zampilli) è affrontato con sano understatement, per vie laterali, privilegiando i trilli  dell’ironico e del grottesco sulle fanfare e il clangore della tragedia, con le sue fosche tinte di adulterio, di assassinio e di incesto.

È un Amleto in formato extrasmall, visto che gli ottanta novanta minuti della rappresentazione costringono a tagliare grosso modo i due terzi del testo; ma l’essenziale c’è, ed è teatro vero, organizzato –secondo motivo di plauso- con soluzioni registiche convincenti. Il celebre monologo, per esempio, non solo diviene atto corale, ma trasforma Elsinore nella Galleria degli Specchi, chiarendo plasticamente che Amleto, il suo dramma, il suo mito, sono superficie trasparente della condizione umana, infinitamente replicata e replicabile.

Il terzo applauso spetta alla caratteristica fondante del Teatro dei Limoni, cioè il suo essere sia una compagnia che una scuola. Ovviamente non ci si può aspettare che tutti i giovani protagonisti siano all’altezza di vecchi scorridori dei palcoscenici come Roberto Galano e Leonardo Lo Savio (rispettivamente divertito e spigliato  narratore e algido e sinistro usurpatore) o Maggie Salice o il servilliano Massimo Iannantuoni, impeccabile Polonio. Ma la squadra funziona nel suo insieme, anche negli elementi più acerbi. Sicché risultano credibili sia il fido Orazio di Christian Di Furia, che il prestante Laerte di Raul Lannunziata che il beffardo becchino di Cristiano Russo.

E se l’è decisamente cavata anche quello a cui è toccato l’osso più duro: Vincenzo Ficarelli, che ha dato ad Amleto una convincente presenza scenica, anche dal punto di vista della fisicità. La sua recitazione avrebbe avuto bisogno di qualche occasionale decibel in meno, ma ha superato a pieni voti una prova impegnativa ai limiti del proibitivo.

Tutto bene, allora? Neanche una nota critica? Chi scrive, forse per naturale papanonnaggine, non ha compreso molto il senso narrativo degli interventi alla chitarra elettrica di Di Furia, e non condivide la scelta, non nuova, di rivestire di anfibi e capi fetish i luoghi del potere e della tirannide. Personalmente l’Amleto limonesco lo avrei fatto policromo, variopinto floreale come gli ornamenti iconici della chioma di Ofelia.

Già, Ofelia. A noi Graziana Cifarelli è apparsa straordinaria, di sfolgorante bellezza e grande bravura nel controllare i diversi registri del personaggio femminile più enigmatico e sfaccettato cui Shakespeare abbia mai dato vita. Sorridente e lacrimosa, maliziosa ed ingenuaha sfoderato qualità recitative e canore davvero sorprendenti.

La sua giovane età e scarsa esperienza inducono a limare e ridurre gli aggettivi e gli entusiasmi, tanto più che i Limoni, come per tante sue colleghe e colleghi passati e presenti, sono più una bella pagina di vita che una rampa di lancio. Ma se da dovesse spiccare il volo in un tempo relativamente breve, non ne saremmo stupiti. Prima però si finisca la trilogia.

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