I’m not a BABY anymore: il cast racconta la terza e ultima stagione della fortunata serie Netflix

by redazione

Dicono, e diranno: è la serie sulle baby squillo dei Parioli.

Dicono, e diranno: recitata da cani, scritta malissimo, una messa in scena glamour e falsata di un reale delicatissimo, difficilissimo, intoccabilissimo.

Dicono, e diranno: si lascia guardare ma quanto potenziale sprecato.

Dicono, e diranno, e intanto Baby, serie Netflix, liberamente ispirata – e questo è vero – allo scandalo delle baby squillo dei Parioli, è giunta al suo atto finale: una resa dei conti puntuale e matura.

Se sono, infatti, innegabili gli inciampi delle prime due stagioni – dai dialoghi caricaturali, alle incertezze nel recitato – è altrettanto insindacabile la crescita compiuta in questa terza e ultima parte.

La scrittura si fa sciolta, sicura nell’intercettare la parlata sporca e scorretta dei giovani e la più impacciata degli adulti che li circondano, increduli spettatori di quel circo(lo) vizioso che è l’adolescenza.

Merito va al collettivo GRAMS* capace di modellare sapientemente una materia prima così viva e delicata cogliendo il più giusto equilibrio tra momenti di spiccato dramma (meló allo stato puro à la Muccino i confronti lacrimosi e urlati tra genitori e figli) e sequenze capaci di strappare più d’un sorriso (tra le tante: la fuga sfrenata di Ludovica – ora Thelma, ora Luise – sulle note dell’attesissima Maleducata di Achille Lauro)

La regia (alla quale si alternano il fuoriclasse Andrea De Sica, l’esperta Letizia Lamartire e la new entry Antonio Le Fosse) segue i corpi spezzati di Chiara e Ludovica, si va a chiudere sullo sguardo ferito di Damiano, accompagna il muoversi dolce di Fabio, evidenza il sorriso triste di Brando; affiancata da un montaggio dinamico che si muove sicuro sulle note di una puntualissima colonna sonora (accanto al plurinominato, troviamo l’inedito Vertigine di Violante, la Dark Polo Gang, Aquapark, London Grammar, FKA Twigs, fino ad arrivare a Bobby Solo e un dolcissimo, necessario, cameo degli Afterhours in una tra le sequenze più sincere nel racconto di quella che è comunque, e nonostante tutto l’adolescenza)

La storia è ormai nota: Chiara e Ludovica, adolescenti annoiatissime e bellissime della Roma bene, dopo essersi arrotolate nelle lenzuola dei peggio uomini della Capitale, giungono al confronto con quella verità inconfessabile, che -come insegna il diventar grandi- dovranno affrontare e accettare.

Un capitolo finale in cui tutti i segreti, i più tremendi, i più scorretti, verranno rilevati.

“Forse avevo voglia di fare una cosa sbagliata” continua “e avere un segreto mi faceva sentire più forte”. Cosa rimane di noi senza i nostri segreti?

“Abbiamo portato in scena personaggi complessi che raccontano frammenti di una generazione non facilissima” racconta Benedetta Porcaroli (Chiara) “Non posso dire con certezza che siamo riusciti a rappresentare bene una generazione, ma so che il cinema, la serialità, sta cercando sempre più di prendere in mano un racconto intimo, particolare, e renderò universale: dal mese successivo all’uscita di Baby, mi sono arrivati messaggi da tutte le parti del mondo, ragazzi e ragazze con una cultura completamente opposta alla nostra che comunque si ritrovavano in quelle vicende. Guardando la mia -di generazione-, nella città che conosco, che è Roma, penso che sia un racconto compatibile con la realtà: adolescenti che vivono uno spazio-tempo sospeso, un abbandono generale dato dalla mancanza di punto di riferimento, e il conseguente inciampo in circolo vizioso pronti a riuscchiarli. i ragazzi che portiamo in scena vivono un sentimento comune: il bisogno di un rapporto umano capace di liberarti dai problemi, una persona che non trovano in famiglia”

Condivide la riflessione Alice Pagani (Ludovica):

Ludovica aveva una certa simpatia nel suo essere antipatica, nella prima stagione, si è poi fatta fragilissima è solo in quest’ultima stagione la di vede tirar fuori il coraggio e la forza di reagire, e credo che questo sia un percorso comune a diversi adolescenti”

Bisognerebbe chiederlo agli occhi di chi la guarda quanto Baby sia stata in grado di raccontare quell’incedere insicuro nel mondo dei più grandi, quella vana volontà di voler dare un senso al mondo che va scontrandosi con l’impossibilità di farlo; quanto i giovani d’oggi, i veri adolescenti che abitano -o meglio dire abitavano in epoca Covid- le scuole, le piazze, le vie del centro, si riconoscono nei volti e nelle vite dei protagonisti de “la serie delle baby squillo”.

“Ma perché non sei normale?” chiede l’algida madre (un’impeccabile Galatea Ranzi) alla figlia Chiara. “Perché voi lo siete?” risponde lei.

Chiara che scappa, Chiara che piange, Chiara che sbaglia e continua a sbagliare, Chiara che sa e non vuole sapere, Chiara che vede e non vuol vedere. Chiara che è un disastro, ma “a vent’anni siamo tutti un disastro, sempre travolti dal giudizio degli altri” (saccheggiando le parole pronunciate dalla bellissima Isabella Ferrari, nella serie, madre dell’amica Ludovica).

Ed è forse da ricercare in quel linguaggio sincero e spietato, finalmente trovato, nella recitazione matura, ora sicura, dei giovani interpreti, bravissimi nel riportare ora la luce, ora il demonio, che abitano il volto di un qualsiasi adolescente, e ancora nelle scritte a pennarello sulle porte dei bagni, nella balbuzie insicura che colpisce ogni maturando al banco di prova, nei corpi che si scoprono, nei baci rubati, nei viaggi in motorino, nell’incapacità d’imporsi in un mondo in continuo muoversi, nel riso, nel pianto; sì, il successo di Baby è qui, è lì: nelle sfumature che accompagnano il bianco al nero, il giusto allo sbagliato, l’adolescente nel diventare adulto, finalmente grande.

Non è un semplice teen drama, ma un prodotto genuino, sincero, così come sono genuine le collaborazioni musicali venutesi a creare. A livello produttivo è stato, per Fabula, una sorta di epifania” sostiene Nicola De Angelis, produttore della serie, che elogia inoltre il lavoro di regia di Antonio Le Fosse, già sceneggiatore della serie, il quale ha voluto inserire in un episodio un’animazione: “Fa diventare i personaggi cartoni animati, un ulteriore passo in avanti verso un linguaggio al passo con i tempi, legato alla generazione a cui ci rivolgiamo”

È la fine, quindi.

“Lascio Chiara nelle mani del pubblico, sono contenta di esserci stata” dice Benedetta Porcaroli.

“Mi dispiace tantissimo lasciare Ludovica, mi svegliavo la mattina e c’era lei ad accompagnarmi. L’ho consumata, ora la potranno vedere tutti ma io non potrò più confrontarmi con lei: ho vestito i suoi abiti per l’ultima volta” sostiene Alice Pagani.

E ancora, conclude Brando Pacitto: “È la fine di un ciclo, come quando si termina il liceo: c’è malinconia, sicuramente, ma sai che la conclusione è stata giusta è bella

Giusta e bella. Ecco in due parole -spoglie ed essenziali come la lingua dei ragazzi che le pronuncerebbero – questo è quello che è la stagione finale di Baby: giusta e bella.

Nonostante le critiche che le muoveranno, i boomer pronti a denigrarla, i cinéphile schierati – mano al cuore – puntuali nel sottostimarla.

Ma Baby è per gli occhi vergini dei ventenni, per chi ancora non ha capito – e non vuole capire – le le regole del mondo, per chi è sbagliatissimo, e per questo giustissimo, e per questo bellissimo.

Se hai sedici anni e vivi nel quartiere più bello di Roma, sei fortunato. Il nostro è il migliore dei mondi possibili. Siamo immersi in quest’acquario bellissimo, ma sogniamo il mare”.

Nicolò Bellon

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