Mai giudicare da lontano: Skam Italia, l’italianissima serie sul mondo degli adolescenti

by Nicola Signorile

So cosa state pensando voi 30-40-50enni, e oltre, all’ascolto. Perché dovrei guardare una serie che parla di liceali? Sembra qualcosa di lontano, di frivolo, di poco interessante. Il pregiudizio nei confronti del teen drama è prevedibile, il più delle volte ben fondato. L’eccezione si intitola Skam Italia e va assolutamente vista anche dagli adulti, per molte ragioni. Prima tra tutte, perché ve lo dico io e questo dovrebbe bastare.

Si scherza. A volte per trovare qualcosa di bello è necessario saper andare oltre il proprio pregiudizio anagrafico. Uno sforzo che sarà ampiamente ripagato da una delle migliori serie italiane degli ultimi anni, di sicuro quella che meglio ha raccontato, e continua a raccontare, gli adolescenti italiani. I famosi “giovani”, come ci piace tanto chiamarli, che si sono ritrovati nei personaggi e nelle storie dello show, coprodotto da Cross productions e Timvision, come quasi mai avviene con una produzione made in Italy, decretandone il grande successo.

I dieci episodi della quarta stagione, disponibili dal 15 maggio su Netflix e Timvision, conservano regia e scrittura di Ludovico Bessegato (produttore creativo di altre serie di successo come Il Cacciatore e Rocco Schiavone), showrunner di Skam Italia dalla prima stagione, abile nel tessere le trame di un gruppo di ragazzi che frequentano un liceo romano.

Amori, amicizie, scuola, il rapporto con i genitori, certo, c’è tutto questo. Ma Skam, senza forzare la mano, con estrema delicatezza e contemporanea efficacia, affronta tematiche toste. Non c’è l’esasperazione di serie Usa come 13 o Euphoria, né lo zucchero e i cuoricini di Federico Moccia e dintorni. C’è la normalità, molto interessante proprio perché difficile da trasferire in un’opera di finzione senza annoiare nemmeno per un istante; avviene con la versione italiana del format norvegese, un remake capace di superare l’originale e gli omologhi francese e americano.

Parliamo di una serie molto italiana (non come lo intendeva Stannis Larochelle in Boris!) e al tempo stesso internazionale, in grado di rappresentare temi universali, di parlare al pubblico di tutto il mondo. Ed è l’unica produzione nostrana capace di farlo. Negli ultimi anni l’Italia ha saputo parlare al mondo, adottando un linguaggio internazionale soprattutto affrontando storie di criminalità organizzata o di degrado sociale, da A Ciambra a La terra dell’abbastanza, da Romanzo Criminale La serie a Gomorra, passando per La paranza dei bambini e Dogman. I guai arrivano sempre quando c’è da raccontare il quotidiano, i rapporti interpersonali, l’amore e soprattutto i ragazzi. Qui la retorica prende il sopravvento, la banalità sconcerta, l’età di sceneggiatori e registi si fa sentire. Con risultati spesso stucchevoli e che hanno solo vaghe somiglianze con la realtà.

Rischio evitato da Skam grazie a una recitazione molto naturale di tutti gli attori, a dialoghi che ben si attagliano alla loro età, a situazioni non forzate. Eppure, tornando ai temi, nelle quattro stagioni realizzate, si è parlato di omosessualità, di revenge porn, di bullismo e cyber-bullismo, della difficoltà di accettarsi, persino di malattia mentale. Ma non si avverte mai nel corso del racconto la sensazione che sia tutto programmato per parlare di: un altro tratto che caratterizza Skam Italia, innalzandola al di sopra della media produzione italiana infarcita di stereotipi. In un certo senso, sono cose che accadono ai ragazzi di Skam naturalmente, in mezzo alle bevute, alle feste, ai baci rubati, alle amicizie di ferro che avrebbero dovuto durare tutta la vita, ma che poi, chissà perché, si interrompono con la fine della scuola, agli immancabili fraintendimenti, alle liti, alle pulsioni sessuali che spesso fanno a cazzotti con i sentimenti.

È la vita che scorre, con i tempi morti, le battute d’arresto e le accelerazioni, ingigantite da un’età che tutto ingigantisce. E per ogni spettatore arriva il momento di ammettere di aver vissuto qualcosa di molto simile e, perché no, lasciarsi andare ai ricordi e a qualche lacrimuccia.

Molto interessante la scansione narrativa della serie: pur essendo un racconto corale, ogni stagione mette al centro uno dei ragazzi del gruppo. Nella prima abbiamo conosciuto la rossa Eva (Ludovica Martino), appena trasferitasi dalla succursale alla sede centrale del liceo Kennedy di Roma. Lei sta con Giovanni (Ludovico Tersigni), la coppia è il nucleo attorno al quale si va formando con il tempo il gruppo protagonista della serie. Gelosie, senso di colpa, incertezze costellano il percorso di crescita di Eva che scopre la vera amicizia grazie alle nuove conoscenze di Eleonora, Silvia, Federica e Sana. Martino (Federico Cesari) è un ragazzo estroverso e apparentemente spensierato, miglior amico di Giovanni.

Al centro della seconda stagione, c’è la scoperta della sua omosessualità, i dubbi, il timore di non essere accettato, il dolore per una situazione famigliare complicata e l’incontro con Niccolò (Rocco Fasano), un ragazzo poco più grande di lui. La storia tra i due ragazzi ha infranto molti cuori, ponendo Martino di fronte a situazioni impreviste in cui ha dovuto per la prima volta mettere alla prova la maturità del suo sentimento. A questa stagione tra l’altro si deve uno dei coming out più belli e semplici mai visti sullo schermo.

Intanto, vediamo proseguire le vite degli altri, accennare passaggi che vedremo svilupparsi nelle stagioni successive. Personaggi marginali divengono centrali nel racconto come Eleonora (Benedetta Gargari), misteriosa amica di Eva nelle prime due annate, poi assoluta protagonista della terza con la sua travagliata storia con il bello del liceo, Edoardo (Giancarlo Commare). Un vero stronzo, in apparenza: tutti abbiamo conosciuto un Edoardo nelle nostre vite scolastiche. Il re della scuola, tutte gli muoiono dietro; non si cura di nessuno, colleziona conquiste e manipola i suoi amici che lo seguono anche nelle imprese più deprecabili. Naturalmente Edoardo è molto più di questo.

Skam Italia dà un grande insegnamento da questo punto di vista: mai giudicare da lontano. Senza sapere cosa sta vivendo una persona, non si può capire nulla di lei. Così scopriamo perché Edoardo si comporta così, o perché Martino sembra voler manipolare tutti i suoi amici, e, infine,  entriamo nel mondo di Sana (la brillantissima Beatrice Bruschi), spiegando perché nel corso di tre stagioni a volte è sembrata sin troppo dura per una ragazza della sua età

La macchina da presa di Bessegato si mette all’altezza dei suoi ragazzi, non li giudica mai, lascia che si raccontino con grande libertà, li rende capaci di grandi gesti e di cazzate clamorose. Sono persone più che personaggi di una serie incasellati in un cliché: il nerd, l’amica pazza, il belloccio… Spesso li sporca, anche a livello fotografico, li fa parlare come parliamo tutti i giorni, senza finzioni letterarie e monologhi interminabili, “con uno stile un po’ finto-indie” come lo ha definito lo showrunner.

La quarta stagione è dedicata a Sana, una ragazza italiana di religione musulmana non priva di spigoli, una blastatrice seriale, ironica e intelligente, con un grande carattere e senza peli sulla lingua, caratteristiche che la portano spesso a scontrarsi con gli altri. Un grande personaggio, insomma. Nel gruppo delle Matte si è subito intravisto il suo potenziale, abbiamo sempre voluto saperne di più su di lei. Eccoci accontentati. Sana è una musulmana osservante, ha scelto liberamente di indossare sempre l’hijab, sa quello che vuole e sa come ottenerlo, lo ha già dimostrato risolvendo situazioni difficili e stimolando le amiche a scelte coraggiose. Finalmente conosciamo il suo privato, inserito nella comunità islamica di Roma. La scrittura si è avvalsa della collaborazione di Sumaya Abdel Qader, sociologa, scrittrice e nota esponente della comunità femminile musulmana italiana che ha supervisionato la sceneggiatura, lavorando a stretto contatto non solo con il regista, ma con la stessa Bruschi.

Vive di conflitti interiori la quarta stagione, forse la migliore dello show: tra i valori religiosi e il sentimento verso Malik (Mehdi Meskar), il migliore amico di Rami (Ibrahim Keshl), fratello di Sana, tra il desiderio e la sua repressione. Sana ha sempre cercato di tenersi in equilibrio tra i suoi valori e quelli delle sue compagne di liceo e della società italiana, della quale si sente parte. L’impresa a questo punto diventa ardua, le sue amiche musulmane hanno scelto di rinchiudersi nel  centro islamico e frequentarsi tra loro, i suoi vorrebbero che passasse più tempo con “ragazzi simili a lei”. L’organizzazione di una vacanza di gruppo in Grecia porta a galla qualche crepa nell’armonia che Sana è riuscita faticosamente (ora lo sappiamo) a costruire, la allontana dalle amiche, la fa sentire incompresa da tutti. Una rappresentazione plastica delle difficoltà nel conciliare due stili di vita è la sequenza in cui Sana è costretta a cercare un luogo appartato dove pregare nel bel mezzo di una festa. La musica è altissima, le amiche sono al bar, lei si rifugia in un garage dove c’è un lavandino e su un tappetino di fortuna inizia il suo rito quotidiano. Finché una coppia impegnata in un incontro molto ravvicinato non turba la fittizia quiete della preghiera.

Skam 4 racconta uno dei mille Islam possibili, utile a smontare ancora una volta pregiudizi: pensate al momento in cui Sana guardandosi allo specchio sceglie un velo colorato per far colpo sul ragazzo che le piace. Un gesto naturale che apre all’idea che l’hijab non sia il simbolo di oppressione visto da molti di noi occidentali, ma un elemento di bellezza e femminilità. Tempismo incredibile, viste le assurde polemiche sulla conversione di Silvia Romano.

Il viaggio di Sana, che è prima di tutto intimo e interiore, è molto più interessante di tanti dibattiti televisivi, con scene molto emozionanti, prima tra tutte un dialogo sincero tra Martino e Sana nella settima puntata che è un po’ la svolta della stagione: “Se ogni volta che ti faccio una domanda tu ti offendi come faccio a capire? A noi non le ha spiegate nessuno queste cose”. Poi, la gita di Sana e Malik alle terme di Viterbo, sempre a distanza di sicurezza (sottolineata da un brano del musicista tedesco Wirefoxterrier), una scena piena di tenerezza in cui i due si danno a lungo le spalle, un esempio di come sia possibile raccontare un sentimento che sboccia senza un solo contatto fisico. Altrettanto toccante il momento in cui la ragazza racconta alle amiche quello che le è accaduto nelle ultime settimane, tutta la sua sofferenza sommersa affidata a una lunga nota vocale. Una confessione a cuore aperto mediata dalla tecnologia: strano? No, perché i messaggi su Instagram, blocchi e sblocchi di persone, le chat Whatsapp sono componenti essenziali nella comunicazione giornaliera dei protagonisti, quindi anche della serie.

Last but not least, non si può parlare di Skam senza parlare di musica, altro elemento in cui la serie eccelle. Molti registi e showrunner italiani dovrebbero prendere lezioni sull’utilizzo delle musiche in maniera organica alla narrazione che si fa qui. Ogni scena si fonde con la sua colonna sonora, segno di un grande lavoro fatto da Bessegato. Importante sin dalla prima stagione, ricca di hit radiofoniche, ma via via divenuto più attento, più sofisticato negli accostamenti.

Spesso lavora per contrasto – vedi la scelta della scanzonata Pem Pem di Elettra Lamborghini sulle immagini di Filippo (Pietro Turano) che fa il test casalingo dell’HIV –  e scovando brani e artisti pressoché sconosciuti, ma che si adattano alla perfezione alle scene in cui vengono usati. Si va dai temi elettronici di Ivan Silvestrini all’ipnotica Kin del producer londinese Tourist, ci sono gli svedesi The Royal Concept e gli inglesi The Kooks, l’indie di Lala Lala e del duo The Dø, un remix poco noto di Somebody that i used to love di Gotye, poi Felix Da Housecat, Jon Hopkins, il duo elettropop francese Agar Agar, si va dai songwriter come l’americana Julie Byrne e l’inglese Sohn,  all’alternative rap di Vince Staples e Dead Silence, fino agli italiani Myss Keta, Massimo Pericolo e Gazzelle.  

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