Ossessione, la nuova trasposizione Netflix del celebre romanzo “Il danno” di Josephine Hart. La carica erotica di una ‘sopravvissuta’, in bilico tra ragione e sentimento

by Claudio Botta

«Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere… E’ la sopravvivenza che le rende tali, perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro».

Chissà se Josephine Hart mentre scriveva il suo romanzo d’esordio Damage (Il danno, in Italia pubblicato da Feltrinelli nel 1991) immaginava l’impatto che avrebbe avuto nel tempo la storia scabrosa da lei raccontata, la passione travolgente – e ricambiata – di un padre affermato e potentissimo per la promessa sposa di suo figlio. Cinque milioni le copie vendute nel mondo, merito anche della riuscita trasposizione cinematografica di Louis Malle, uno degli esponenti di punta della Nouvelle vague francese, e dell’interpretazione di Jeremy Irons e Juliette Binoche nei ruoli dei due protagonisti incapaci di resistere a un’attrazione incontrollabile, e di Miranda Richardson, moglie raffinata e impeccabile, travolta dagli eventi. Il film rendeva benissimo il contrasto tra vite all’apparenza brillanti e da invidiare (Stephen Fleming è un medico rispettato e un politico in inarrestabile ascesa, marito impeccabile prima dell’arrivo improvviso di Anna Barton, intrigante e misteriosa fidanzata del figlio Martyn) in una Londra grigia e in contesti ovattati dove la forma è sostanza, e un legame che rappresenta per entrambi una fuga disperata verso il baratro. La loro freddezza e compostezza esteriore, e l’intensità del loro desiderio e della ricerca di sé attraverso l’altra (lui), di un’altra da sé (lei), la percezione e la consapevolezza delle ferite e delle lacerazioni che potrebbero produrre e la scelta comunque di abbandonarsi a un destino tragico per tutti, che li legherà ancora di più nonostante responsabilità e sensi di colpa incancellabili.

Netflix ha puntato su questa storia per una nuova rilettura, ma spingendo ancora più l’accelerazione sull’Obsession (Ossessione), nuovo titolo, elemento narrativo e dinamica malata della relazione. Una miniserie in quattro puntate che ha come due star: quella maschile è Richard Armitage, fascinoso e brizzolato attore inglese noto al grande pubblico per il personaggio di Thorin Scudodiquercia nella trilogia de Lo Hobbit diretta da Peter Jackson e per la partecipazione nella serie tv Hannibal. Volto, sguardo attento e poi irrimediabilmente perso, corpo ben curato e mani preziose del chirurgo pediatrico William Farrow, irreprensibile professionista, marito e padre dal controllo assoluto dei propri nervi e delle emozioni fino all’incontro casuale e fulminante con la giovane Anna, interpretata da Charlie Murphy, a cui si consegna psicologicamente, emotivamente e fisicamente, seguendo le sue indicazioni ed aspettando le sue chiamate e i suoi segnali per appuntamenti che diventano l’unico vero interesse, senza più traccia di equilibrio e razionalità. La tensione, l’erotismo, il desiderio sono crescenti, il sesso viene vissuto come fugace e proibito, consumato in un gioco di comando e sottomissione parente stretto dell’autodistruzione, nessuna concessione al romanticismo e alla ‘normalità’ di una relazione alla luce del sole, gli amplessi estremi. Gli abili sceneggiatori Morgan Llyod-Malcom e Benji Walters hanno inserito, nel secondo episodio, una scena in particolare che ha fatto molto discutere, evocato scandali d’altri tempi e alimentato numerose polemiche in rete e (immancabilmente) sui social: lui la raggiunge a Parigi dove lei è andata con il suo fidanzato, consumano un rapporto per strada, lei la mattina dopo riparte sconvolta da quanto accaduto, lui prenota la stessa camera d’albergo e sul letto (nonostante la biancheria sostituita come sempre accade negli hotel) cerca tracce di lei, l’odore della sua pelle, il suo profumo, qualsiasi traccia e ricordo nella sua presenza, non importa se vero o suggestivo, e gli basta un cuscino per crollare e masturbarsi, perdere definitivamente il controllo, senza possibilità di ritorno. Un momento chiave dell’intera serie, ma che tanti hanno ritenuto «disgustoso» o«imbarazzante». Il diretto interessato in un’intervista rilasciata a The Indipendent ha spiegato che lo script iniziale era diverso, e che avrebbe dovuto esserci un fazzoletto con l’impronta del rossetto di lei, ma «sentivamo che non funzionava. Charlie aveva, senza che lo sapessi, spruzzato il suo profumo che stava indossando sul set, in diverse parti del letto. L’ho sentito ed è in quel momento che la scena si è svelata. Ma la ripresa non è stata molto organizzata, davvero».

Charlie Murphy è credibile e brava nel rendere la complessità del suo personaggio, apparentemente privo di morale e scrupolo, ma che nasconde terribili segreti e un passato destinato a segnarla per sempre, e che lentamente verrà svelato in tutta la sua drammaticità. Spregiudicata, disinibita, ma anche fragile e dolce, nel rapporto con il fidanzato Jay (Rish Shah) e con la madre (fondamentale per lo snodo narrativo e interpretata da Marion Bailey): non una semplice seduttrice, una femme fatale stereotipata ma una ‘sopravvissuta’, in bilico tra ragione e sentimento, tra paura ed eccitazione, tra fantasmi inquietanti e presenze rassicuranti ma precarie.

Di rilievo (nonostante la marginalità cui è relegata) l’interpretazione di Indira Varma, la moglie Ingrid sospesa tra l’ammirazione incondizionata per il marito e il dolore lacerante provocato dal tradimento e dalla morte di Jay.

Una produzione interessante che alza l’asticella della qualità nei thriller erotici declinati in serialità, con pregi e difetti nell’adattamento dal romanzo e nel tentativo di rendere più temporalmente vicina la storia, e in linea con i gusti e le esigenze dettate dagli algoritmi. Ma rileggere il libro, riguardare il film prima o dopo la visione è vivamente consigliato, perché i classici non sono mai fuori moda.

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