Privacy di Netflix e i corpi violati delle donne nell’intimità, che, sbagliando, non riescono a sentirsi vittime

by Molly Clauds

Il revenge porn è sempre dietro l’angolo. Chi di noi non è stata sul punto di inviare una sua foto intima a qualche corteggiatore infuocato, salvo poi trovare immediatamente il senno e lasciar correre la conversazione? Chi di noi invece magari non l’ha fatto per poi pentirsene amaramente e sperare di essere di fronte solo ad un arrapato e non ad un vendicatore seriale disturbato? Chi di noi non è stata tentata dal grande fratello amoroso o dalla Story IG lussuriosa?

Nessuna può sentirsi al riparo e al sicuro vedendo la bella serie basca Netflix Indimidad, in Italia tradotto con il più asettico Privacy.

Come ci comporteremmo sul luogo di lavoro o con gli amici di sempre se qualcuno, per ricatto o vendetta, rivelasse immagini intime di noi? Chi siamo nell’intimità? Quale maschera indossiamo? Quanto è profonda la nostra nudità, deprivata dell’albero della conoscenza?

La serie in 8 episodi è costruita su un climax psicologico e sull’intreccio di più storie di donne. Tutte credibili, normali nella loro esemplarità biografica, dai vissuti complessi. La vicesindaca di Bilbao Malen, interpretata da una molto in parte Itziar Ituño, il cui video mentre fa sesso in spiaggia con un bennato viene diffuso nel tg della sera per distruggerla politicamente e bannare la sua candidatura a sindaca, la bellissima e fragile Ane, Veronica Echegui, un’operaia i cui filmati espliciti vengono fatti girare dai quadri e dai metalmeccanici della fabbrica, che la deridono e la insidiano per tutto l’orario lavorativo e anche fuori al supermercato, l’insegnante alternativa e irrisolta Bego, Patricia López Arnaiz, che dopo il suicidio della sorella Ane, cerca di ottenere una qualche forma di giustizia, la poliziotta lesbica Alicia, ancora in dubbio sul suo completo coming out e sull’opportunità di formarsi una famiglia vera con la propria compagna, che desidera la maternità; la segretaria del partito di maggioranza progressista nel riformismo, ma conservatrice nei costumi.

Accanto a loro girano altri personaggi, per lo più maschili, che sono un corollario, alle volte immaturo, talvolta di un perfezionismo escludente, spesso sciocco, molto perverso e parecchio cattivo, di una crescita di consapevolezza femminile necessaria e condivisa. Ben oltre la sorellanza tra donne.

Nella visione della serie si resta incredule, nonostante il plot semplice. Il primo riflesso incondizionato di una donna vittima di revenge porn o di insinuazioni e maldicenze che toccano la sfera intima e sessuale è quello di apparire forti, menefreghiste, di fingere tranquillità.

Dicano pure. Non sono solo il mio corpo. Il mio desiderio non si ferma a quel singolo atto.

Nessuna delle protagoniste diventa una orgogliosa Bocca di Rosa, come pure capita ingenuamente e miseramente a molte vittime della violazione dell’intimità che spesso arrivano a rivendicare la propria libertà sessuale violata in atteggiamenti sopra le righe, tuttavia Malen e Ane faticano ad individuarsi come una vittima. E a scoprire così la propria fragilità.

La prima per non buttare alle ortiche la sua carriera politica. La seconda perché si vergogna di non essere abbastanza per chi ama.

È il meccanismo maschilista e sessista di sempre. In fondo è colpa tua se ti sei fatta filmare in spiaggia o in un club a luci rosse. È colpa tua se vieni ricoperta di epiteti ingiuriosi.

È colpa tua, è colpa tua, è colpa tua. Tutto vero, e non si può sopportare anche la colpa di essere fragili. E donne. È questo il fraintendimento principe della parità, che viene descritto mirabilmente dalla serie. Sul corpo delle donne può essere ascritta qualsiasi infamia. Mentre il corpo degli uomini rimane quello di conquistatori di cui andare fieri.

È ora di rovesciare sul serio un assioma di secoli.

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