Dare la vita di Michela Murgia. Per essere madre senza passare per la gravidanza

by Giorgia Ruggiero

Ci si domanda ogni giorno cosa sia l’amore, in che vento del mondo si perda il cuore quando si ama. A cosa somigli questo vento se l’è chiesto Michela Murgia, senza dubbio per tutta la sua esistenza – o non avrebbe mai scritto – e negli ultimi mesi della sua vita è arrivata ad un’ultima, preziosa e chiassosa risposta, lascito del suo rumore nel mondo: amare è dare la vita.

Nel nostro modo di essere uomini ci compongono gli affetti, i cuori altrui e la scelta eletta, scritta da qualche parte nell’universo, che facciamo ogni giorno: chi c’è al nostro fianco? Noi lo scegliamo. Su questo non c’è dubbio.

Vestita di libertà e di un amore vivo e fertile ogni giorno, Michela Murgia ha davvero scelto la sua famiglia, artista di un disegno che vede l’amore – in quanto amore – figlio della prerogativa che più misura la sua autenticità: l’accoglienza del cambiamento dell’altro.

Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi.”

La Murgia introduce il suo saggio sulla realtà delle maternità che non passano per le gravidanze e delle famiglie che sono ben lontane dall’acclamata normalità, con un libero, democratico, bramato e conquistato modo che sottolinea l’importanza del dissentire, del non essere d’accordo:

Quando qualcosa non vi torna, datemi torto. Dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino.”

Per Michela, lo sappiamo, vivere era un atto politico. Il modo di vestirsi, di parlare, di dire sì o no, di stare al mondo. Tutto era un coraggioso atto di rivoluzione, una necessaria presa di posizione. Come necessario, per lei – e per noi – è stato e dev’essere trattare le cose che esistono: non affrontarle non le nasconde, non metterle in tavola non le fa sparire. 

Madre senza passare per la gravidanza, Michela ha scelto i suoi figli d’anima, persone svincolate dal legame di sangue e di parentela che oggi è l’unico valore per affermare che esista una famiglia. Complice un sistema politico che ignora, e dunque nega, l’esistenza di altre forme ed espressioni di questo fondamentale nucleo che genera tutte le cose. Fondamentale perché fondamento di ogni aspetto della società e persino delle pieghe della stessa, come suggerisce la menzione a Roberto Saviano inserita nelle prime pagine delle centoventotto:

«Quando finiranno le mafie?» 

«Quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite».

E quale affermazione risulterebbe più dissacrante di questa, in un paese che ha adottato e reso legge il vecchio e anacronistico lemma Dio, patria e famiglia

Nel saggio che ci ha regalato – terminato negli ultimi giorni della sua vita che l’hanno costretta anche a dettare i pensieri che lo compongono – Michela Murgia svigorisce questo pensiero dimostrando, con la sua esperienza ( e dunque inattaccabile testimonianza ),  la dignità delle forme altre di famiglia e di genitorialità, che vedono coinvolte realtà – ancora una volta negate e non intavolate dalla cosa pubblica – come la gestazione per altri, ultimamente definita dalla maggioranza della Camera come reato universale. A proposito di questo, la Murgia ci illumina sottolineando che rendere reato una pratica – invece che discutere e stabilire leggi che possano tutelare i soggetti coinvolti e far rientrare i rischi e gli inconvenienti – non equivale a renderla impraticabile, ma solo a renderla praticabile illegalmente. 

Con confutazioni chiare e per certi versi ironiche, Michela Murgia ha difeso le sue cause e ha scavato dentro se stessa non solo divenendo lei stessa tutti, lei stessa gli altri ( cosa, di più politico? ) ma ha cercato e trovato il punto del suo cuore dove si è sentita madre per la prima volta, scrivendo la verità ultima su chi dà la vita.

Sarà femmina. E non avrà occhi facili… e un giorno forse, quando ogni cordone ombelicale sarà creduto reciso, lei ritornerà a me sul filo di una storia, e nella memoria di quel racconto capirà che nella vita non si nasce solo una volta.”

Forse Michela voleva che dire nasciamo ogni volta che diamo la vita: ogni volta che apriamo gli orizzonti e generiamo possibilità, ogni volta che dissentiamo, ogni volta che facciamo casino, ogni volta che non siamo d’accordo. 

Tutte le volte che ci liberiamo perché un altro sia libero dopo di noi.

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