Fabrizio Gifuni e lo spettro di Aldo Moro. Il teatro nella sua essenza

by Enrico Ciccarelli

For-mi-da-bi-le. Non sappiamo trovare un altro aggettivo per commentare Con il vostro irridente silenzio, il monologo che Fabrizio Gifuni ha costruito basandosi sulle lettere e sul memoriale scritti da Aldo Moro durante i cinquantacinque giorni di prigionia nella mani delle Brigate Rosse.

Sono almeno tre i punti di interesse: innanzitutto una prestazione attoriale mostruosa, dalla quale l’attore e autore lucerino esce fisicamente provato dopo avere portato i gesti e la voce in vertiginose montagne russe, le uniche in grado di tenere catturata per un tempo così lungo l’attenzione del pubblico. Il secondo è quello storico-politico: nelle parole del leader democristiano rivivono atrocità e misteri della guerra fredda insieme alla dignità di una politica che era ancora partecipazione di massa, fortemente radicata nel popolo e nei territori. Il terzo, forse il più affascinante, è quello della discesa agli inferi di un uomo di Stato e di partito che vive sulla propria pelle l’abbandono degli amici, che si vede negare una salvezza possibile, che attraversa il lungo addio alla sua famiglia e ai suoi affetti.

Gifuni accompagna questo tragitto con toni via via più contratti, intensi e cupi, dalla relativa pacatezza di un uomo politico di vaglia, che crede ancora di poter indirizzare o addirittura determinare gli eventi alla disperazione di chi comprende di avere per sé solo il potere dell’invettiva o della profezia. Esperienza teatrale magnifica, che ha ben ripagato gli spettatori che hanno scelto (lo spettacolo, parte del cartellone di prosa allestito dal “Giordano” in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese era fuori abbonamento) di assistere all’unica messa in scena.

L’affetto dei foggiani per Gifuni era stato d’altronde anticipato dall’incontro con il pubblico che l’attore ha tenuto in un’affollata Sala Fedora. Una conversazione con spunti di grande fascino sul teatro e la sua funzione, sul suo essere fin dall’antica Grecia, fattore indispensabile di cittadinanza. Il fantasma di Moro e della sua fine, come tanti altri celebri spettri del teatro, a cominciare da quello del padre di Amleto per finire con quelli di Ibsen, di Eduardo e di Pirandello, non parlano di passato: sono rivelatori di presente.

Gifuni, cos’hanno da dire gli scritti di Moro prigioniero all’Italia di oggi?

Credo che raccontino tanto. Non raccontano solo una pagina cruciale della storia del nostro secondo Novecento. Ci raccontano, se abbiamo tempo, voglia e passione di riascoltare quelle parole, come lentamente siamo arrivati all’Italia del 2022. La memoria a questo serve: non a rendere di colpo, con una bacchetta magica, diverso il nostro presente; ma a darci maggiore consapevolezza di cosa eravamo, cosa siamo diventati o cosa in fondo siamo sempre stati”.

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