Oscar Wilde a Posillipo e quell’amor fou per “Bosie”

by Andrea Silvestri

Cambiare il nome non basta, in certi casi.

1897, Oscar Wilde è appena uscito dalla grigia prigione della grigia Reading. Visibilmente dimagrito,  decide che l’Italia sarà la sua nuova casa. Si fa chiamare Melmoth, Sebastian Melmoth. Sebastiano come il suo santo preferito,  perché vorrebbe morire nel conforto della fede.

Le sue finanze sono ormai limitate,  mangiate dallo scandalo e,  ancor prima della prigione,  dagli incredibili capricci di Lord Alfred Bruce “Bosie” Douglas, il suo amore.

Non è più il witty Oscar che fino a solo due anni prima,  regnava sovrano nei circoli intellettuali di tutta Inghilterra.

L’orecchio destro non va più,  eppure ancora sente l’eco degli insulti ricevuti sulla banchina della stazione durante il trasferimento da Londra a Reading; gli scherni gli rimbalzano impazziti nella testa, come una volta gli applausi alle prime dei suoi testi teatrali.

Tutto per aver creduto a Bosie, il viziato e bellissimo rampollo di una famiglia di pazzi.

Ricorda Oscar, annotandole nella sua cella come un barbaro contabile, le incredibili spese imposte dall’amore: “Per i nostri tre mesi a Goring le spese (affitto compreso,naturalmente) furono di 1340 sterline.”

E le cene infinite,  i casinò, le fughe,  tutto ricorda Oscar.

E ora ricorda quell’errore, quella sciocchezza fatale fatta per un volgare orgoglio che non era suo ma ancora di Alfred: la denuncia per diffamazione al padre di Bosey, il marchese di Queensberry. Tutto per un biglietto con la parola “sodomita” sopra, scritta persino male da quello stupido uomo: “posing somdomite”.

Gli amici veri (Robert Ross, Reginald Turner, G.B.Shaw,  Frank Harris) lo allertano, da accusatore diventerà l’accusato; lui non cede, deve fare l’uomo.

Si scoperchia da solo un vaso di pandora che lo ha portato lì sopra, su una nave per Napoli.

Avrei dovuto scrollarti dalla mia vita come ci si scrolla di dosso qualcosa che ci ha punto”.

Eppure, eppure di Alfred non può fare a meno,  lo aspetta su a Posillipo nella villa Giudice affittata con i soldi della madre di lui: un vero amour fou. Lo contatta,  si incontrano,  ricomincia tutto daccapo all’ombra del Vesuvio.

Prova a starsene fuori dai guai, Sebastian/Oscar, lontano dai riflettori. Non passa inosservato, però: una scrittrice italiana, Matilde Serao, scrive della sua presenza in Italia sul “Mattino”.

Con i sensi di colpa che lo divorano,  ricomincia a frequentare le marchette a basso costo del golfo. Prova a farsi curare da questo “male” a Roma, dall’amico Axel Munthe.

A Capri vengono cacciati da un ristorante,  si muovono addirittura degli ambasciatori,  le famiglie tagliano i fondi ad entrambi. Tutti vogliono che si separino.

Wilde capisce che,  in fondo,  tutto quel rumore,  quel lungo processo, aveva solo lo scopo di cambiarlo per tenerlo lontano da Bosie e da se stesso. Aveva vinto comunque,  non era cambiato,  non aveva ripudiato. Ora poteva andarsene da solo a Parigi per morire senza vedere il nuovo secolo.

E Douglas il codardo? Douglas farà di tutto per rinnegare il passato, senza mai riuscirci.

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