Ada Negri e “Le Solitarie” dalla modernità disarmante

by Paola Manno

Penso agli occhi della bambina Ada Negri, nella portineria del palazzo di una ricca famiglia di Lodi dove sua nonna era custode. Penso a quegli occhi che scrutano il mondo, la fortuna che sfila attraverso un portone, la coscienza dell’appartenenza a una classe diversa, penso ai suoi occhi che osservano le persone, le donne in particolar modo, e al suo modo di scriverne.

Penso che sarebbe bello ed utile studiare, insieme a Pirandello e Svevo, i versi ed i racconti di Ada Negri. Penso, come tutte le volte che leggo autrici sconosciute ai più, che se Ada fosse nata uomo, probabilmente le sue opere sarebbero presenti nelle antologie e sui libri di scuola. Penso che questa autrice, unica donna ad essere stata ammessa all’Accademia d’Italia, vincitrice di numerosi premi letterari, nominata nel 1926 e nel 1927 al Premio Nobel per la Letteratura, abbia ancora molto da dire alle lettrici e ai lettori di oggi.

Io non ho nome. – Io son la rozza figlia / dell’umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un’indomita fiamma in me s’alberga (da Senza nome, Fatalità, 1892) scrive di se stessa: in ogni suo verso, in ogni racconto io sento ancora oggi quel fuoco.

Nonostante il linguaggio che oggi appare arcaico, a tratti pedante, Le solitarie, raccolta di novelle pubblicata nel 1917 da Treves, è un’opera di una modernità disarmante. La Negri vi racconta la vita di alcune donne: Vissi con tutte, soffersi, amai, piansi con tutte, scrive.

Vi troviamo l’esistenza delle 18 protagoniste, diverse per età, per ceto, per sentimenti. Vi sono le ultime: quelle che vanno a servire, le donne ubbidienti, costrette a prendere un marito che non amano,  vi sono donne ammazzate di fatica nelle fabbriche, donne che scompaiono come scompaiono, di solito, gli animali e i poveri, senza rumore, senza lasciar traccia, donne violentate, donne costrette a subire l’abbandono di uomini che se ne vanno in America in cerca di fortuna, donne costrette al silenzio, alla povertà. C’è una denuncia sociale diretta, chiarissima: in Italia le donne sono considerate inferiori: È troppo orribile nascere donna, portare in noi per tutta la vita, male inguaribile, la fatalità della nostra debolezza.

E poi ci sono le altre donne, quelle ricche, quelle annoiate, che hanno pure loro le proprie guerre quotidiane: il disamore, il bisogno di riconoscimento, il subire i tradimenti, il soffocare le aspirazioni… Ada Negri racconta di donne costrette a mille compromessi, parla di stalking, di violenze psicologiche, di aborto, di sogni spezzati.

Ma va anche oltre, entra nella testa di queste donne scandagliandone l’anima, avvicinandole l’un l’altra, la contadina alla moglie del politico, quella nata nel 1890 alla lettrice di oggi, raccontando la coscienza di ognuna, con assoluta verità e onestà. Nel 1917 pubblica di donne che hanno il coraggio di dire di amare più il marito che i propri figli, di donne che desiderano la morte del padre padrone, di altre che non si rassegnano a non poter fare “le cose da uomini”, come per esempio scrivere, di adolescenti che vogliono credere nell’amore, nonostante l’esperienza dei propri genitori. E ancora, del senso di colpa che attanaglia tutte, il peso del giudizio nella ricerca della felicità, la certezza del pagare i propri errori. Nello splendido racconto “L’appuntamento” la protagonista, Gegé, che non è stata mai amata del marito, accetta un incontro con uno sconosciuto nel quale ha colto un cenno di tenerezza, ma che si rivela invece un uomo uguale agli altri. Ancora lo sentiamo, dopo 100 anni, il freddo addosso a questa donna, umiliata due volte:  

Ma due braccia robuste la trassero indietro, un bacio duro e vorace sulla bocca le ricordò che ella aveva, venendo, concesso un diritto, data una promessa, e doveva pagare. Perdette ogni forza di resistenza. E fu destituita di se stessa, e fu simile alle donne dei postriboli. E quando si allontanò, sola, da quella strada, si sentí misera e sperduta come coloro che hanno dormito sui giacigli degli asili notturni. Dal fondo della coscienza naufragante nell’ombra le veniva un’unica certezza: che quell’estraneo non lo avrebbe rivisto piú, né egli avrebbe cercato di rivederla. Sola piú che mai, ora e sempre. Sotto la furia persistente del diluvio camminava alla ventura, senza cercare di ritrovar la via della casa. Ma aveva ancora una casa? Le pareva d’essere randagia e nuda; e che la sua nudità fosse coperta di vergognose macchie; e che, malgrado l’oscurità crescente, tutti i passanti se la segnassero a dito.

Di più, Ada Negri è accanto a noi nella descrizione della non maternità, attraverso il personaggio di Clara Walser, una donna che deve pur lasciare il suo amore da qualche parte, un amore che diventa ecologia:  Dal marzo al novembre vivo quasi esclusivamente nelle foreste. Là, comunico colla terra e le piante. E scopro tesori. Non potete figurarvi quanta grazia di linee e dovizia di colori possegga la flora libera del bosco e della montagna. Soltanto, per ben capirla, per essere degni di penetrarla, è necessario che l’anima nostra sia libera. -Libera. Comprendete? Voglio dire da tutto. Si può. Io ho potuto. E pienamente nuova mi sentii quel giorno nel quale, gettando scarpe e calze, camminai a piedi nudi nel fango della foresta, dopo una pioggia torrenziale che aveva durato parecchie ore. Fu un battesimo. Lo spirito della natura entrò in me.

E infine anche donne felici, che hanno avuto il coraggio di scrivere, di cantare, di amare, come Maria Ben, l’anziana signora che rifiuta di credere alla morte dell’amato, e come Veronetta Longhena, alter ego della scrittrice, nel racconto “Il denaro” che chiude la raccolta: una donna abitata dalla gioia che ha cercato ogni giorno, tenacemente, raccontata attraverso l’abbraccio del suo amante, in cui entrambi ebbero coscienza della brevità di quell’ora e della sua eternità.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.