Alba de Céspedes e la Resistenza: un racconto dalla parte di lei di Lucia De Crescenzio

by redazione

Alba de Céspedes, autrice italo-cubana, è una delle voci più rappresentative e più eclettiche del Novecento, sebbene sia stata solo recentemente rivalutata dalla critica letteraria. Attraversando generi letterari differenti, dalla narrativa alla poesia, dalla scrittura giornalistica a quella per il cinema e il teatro, Alba de Céspedes riflette sul mondo a lei contemporaneo, e in particolare sulla progressiva definizione della soggettività politica delle donne, e restituisce di volta in volta un’accurata lettura dei diversi volti del secolo scorso.

Nell’ampio panorama della produzione romanzesca della scrittrice, in cui spiccano opere di grande successo come Nessuno torna indietro (1939) o Quaderno proibito (1952) un posto particolare è occupato da Dalla parte di lei del 1949. All’indomani della guerra di liberazione e delle celebrazioni per i successi della lotta partigiana, il romanzo risuona con un titolo e con dei contenuti fortemente provocatori: la protagonista, Alessandra, sotto forma di un lungo memoriale, ripercorre dal proprio punto di vista le ragioni che l’avevano condotta ad uccidere suo marito, un militante antifascista che aveva partecipato alla Resistenza. Alessandra racconta la sua vita dall’infanzia all’età adulta: era cresciuta a Roma negli anni Trenta, nell’età d’oro del regime fascista, in una famiglia piccolo borghese; allo scoppio della guerra era poco più che una ragazza. Nella Roma occupata dai Tedeschi si era iscritta alla facoltà di lettere e si era innamorata del suo futuro marito, Francesco, un giovane antifascista, grazie al quale aveva iniziato ad avvicinarsi sempre più agli ambienti partigiani. Dapprima intimorita del termine stesso di ‘antifascismo’ che risuonava come qualcosa di terribilmente sospetto, Alessandra aveva iniziato a sviluppare via via una coscienza politica sempre più salda, fino partecipare attivamente alla lotta, nascondendo e trasportando armi, facendo la staffetta, riconoscendosi nei volti delle persone che nei modi più diversi si sentivano parte attiva della storia. E tuttavia quelle speranze, quel coraggio e quel senso di democratica collettività sarebbero stati ben presto capovolti con la fine del conflitto, e alle donne sarebbe spettato il consueto ruolo nel gioco delle parti:

«I compagni venivano a trovarci spesso, di sera […].Poi illustravano le ormai famose avventure di mio marito. Io ero contenta che non accennassero alle modeste missioni che avevo io compiuto […]. Tuttavia mi veniva fatto di sospettare che le bombe che avevo portato io fossero false: se solamente quelle che gli uomini avevano portato rappresentavano un pericolo; dubitato del contenuto dei manifesti […]. Ma, se anche fossero stati falsi, ciò non avrebbe avuto importanza; io li avevo portati con la stessa paura, avevo ugualmente accettato di correre quel rischio. E ora tutti eravamo qui, tutti ugualmente salvi, tutti scampati. Così intimidita spesso rimanevo in un canto, tacendo. Francesco, preso nei suoi discorsi e nel circolo di simpatia che si formava intorno a lui, talvolta, durante tutta la serata, mi si rivolgeva soltanto per chiede: ‘Vuoi darci un po’ di limonata, cara, per piacere?’»  (p.799-800)

L’ormai insanabile incomunicabilità tra Alessandra e Francesco, dietro cui si nasconde simbolicamente l’assetto dalla rinata compagine sociale, induce allora la protagonista a compiere il gesto estremo: l’uccisione di suo marito con un colpo di pistola. Il romanzo corrisponde dunque alla lunga, dettagliata e argomentata versione dei fatti, dalla parte di lei. La scrittura, per Alessandra, diviene l’unica forma possibile di riscatto, lo spazio ultimo in cui la sua identità di donna, pur soffocata da stringenti rapporti di forza, può prendere voce e rivendicarne i diritti («Credo che se avessi avuto per avvocato una donna mi sarebbe stato facile spiegarmi; e così se tra i componenti della Corte avessi visto una figura femminile. […] Ma non appena fui qui, nella casa di pena, e mentre attendo l’esito del ricorso, ho voluto narrare la cronaca esatta di questo tragico avvenimento poiché mi sembra giusto che esso sia visto anche dalla parte di chi lo ha vissuto essendone protagonista» p. 827).

Lo sguardo di Alba de Céspedes sulla realtà del dopoguerra mette a nudo tutte le contraddizioni che il conflitto aveva generato sul piano sociale, culturale e politico. L’autrice stessa, d’altro canto, aveva vissuto in prima persona l’esperienza della Resistenza e aveva avuto modo di osservare e di documentare da vicino la molteplicità di forme che la guerra partigiana aveva assunto e, con essa, il prender corpo di nuovi soggetti politici.

A seguito dell’armistizio, annunciato l’8 settembre 1943, con l’arrivo delle truppe tedesche nella capitale, Alba de Céspedes decide di fuggire da Roma, sua città natia, per cercare rifugio in Abruzzo. Qui l’autrice trascorre clandestinamente diverse settimane spostandosi da un paese all’altro per sfuggire alla minaccia tedesca, senza rinunciare alla scrittura dei suoi diari, ai quali affida la memoria di quelle drammatiche giornate. Oltre a riflessioni personali, Alba de Céspedes registra le storie delle continue rappresaglie tedesche, dei giovani impegnati nella lotta armata sulle montagne, e soprattutto testimonia il fondamentale contributo offerto dalle donne, e dalla popolazione tutta, alla causa antifascista, dando spessore non solo alla dimensione militare ma anche a quella civile della Resistenza.

Di queste stesse storie, la scrittrice tornerà a parlare diffusamente ai microfoni di Radio Bari nelle vesti di Clorinda. Sul finire del 1943, infatti, Alba de Céspedes, decide di lasciare l’Abruzzo e di tentare l’attraversamento delle linee militari che segnavano il confine tra l’Italia occupata e l’Italia libera. Nel dicembre dello stesso anno, l’autrice è quindi assunta dall’emittente radiofonica pugliese, gestita formalmente dagli Alleati ma curata nei palinsesti da un vivace gruppo di intellettuali antifascisti che aveva come obiettivo ultimo quello di sostenere la guerra di liberazione che ancora si combatteva nel Nord del Paese. Ai microfoni di Radio Bari, Clorinda parla della solidarietà offerta dalla gente d’Abruzzo come modello di società da costruire, racconta le storie delle donne lasciate sole dagli uomini impegnati al fronte restituendone il coraggio e l’autonomia, invita ascoltatori e ascoltatrici a contribuire alla Resistenza attraverso operazioni di sabotaggio, intessendo così una narrazione inclusiva e plurale sulla quale proietta la ricostruzione del Paese.

Con l’avanzare delle truppe alleate e la progressiva liberazione della penisola, la scrittrice, di ritorno a Roma nel 1944, declinerà ulteriormente il suo impegno politico e letterario fondando una rivista di ampio respiro, Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze, di cui lei stessa sarà direttrice.Il mensile si inserisce bene nel quadro editoriale del secondo dopoguerra, contraddistinto da numerosi progetti editoriali analoghi, e tuttavia non è priva di interesse la tempestività con cui tale periodico prende vita. A settembre del 1944, solo tre mesi dopo la liberazione della capitale, Mercurio sarà pronto con il primo numero per il suo pubblico di lettori e lettrici, proponendosi come una fra le prime testate dell’Italia libera. Il mensile ospita una grande varietà di firme, tra le quali ricordiamo ad esempio quelle di Sibilla Aleramo, Guido Calogero, Giacomo Debenedetti, Gianna Manzini, Alberto Moravia, Ferruccio Parri, e affronta differenti argomenti che, come il sottotitolo suggerisce, spaziano tra politica, letteratura, arte e scienza, al fine di favorire la condivisione dei saperi e la democratizzazione della cultura. La pubblicazione dei numeri di Mercurio cesserà nel 1948 a seguito di problemi economici, ma anche e soprattutto a seguito della trasformazione dell’orizzonte socio-politico e culturale. Affievolite le iniziali speranze, si fa strada in Alba de Céspedes un profondo senso di amarezza e di disillusione di fronte a una certa continuità che si stabilisce negli apparati istituzionali tra l’Italia fascista e quella del dopoguerra, di fronte all’ingerenza della politica americana nei processi di ricostruzione e, non ultimo, di fronte alla marginalizzazione delle donne nella società civile. È in questo contesto che nasce Dalla parte di lei, un romanzo che porta su di sé le tracce di una lunga esperienza, fatta di storie, di riflessioni, di idee e di corpi e che, nonostante il mutare dei luoghi e dei tempi, si propone come esempio sempre attuale di resistenza. In occasione di una ristampa del romanzo del 1994, Alba de Céspedes scriverà una breve prefazione, apparsa poi come articolo sul «Corriere della sera», in cui, per dirla con un’espressione cara a Gramsci, emerge, pur nel pessimismo della ragione, un fermo ottimismo della volontà:

«Con gli anni mi è sembrato di scoprire quanta illusione è nel termine stesso libertà. Ho visto Cuba conquistare la propria indipendenza politica nel 1959 al prezzo della più feroce sanzione economica impostale per aver essa osato ambire a tanto. Ho visto l’Italia perdere la propria indipendenza nel 1945 in nome di una libertà di cui io mi domando il senso oggi, nel momento in cui una crisi di assestamento dell’economia mondiale mette in discussione l’unità della nazione oltre che la prosperità e il lavoro degli italiani. Io mi domando anche qual senso abbia l’amore e se parlarne non sia un’ipocrisia o una prova di debolezza. Posso dire che in una donna anche dalle vicissitudini più deludenti la forza dell’amore emerge sempre come da una fonte inestinguibile. Dalla parte di lei, pur nella sua tragica fine, voleva opporsi a che l’amore fosse un’illusione».

NOTA: il numero delle pagine delle citazioni fa riferimento al volume della collana «i Meridiani» dedicato all’autrice curato da Marina Zancan (Alba de Céspedes, Romanzi, Mondadori-Meridiani 2011).

Lucia De Crescenzio è un’insegnante di Lingua e Letteratura italiana e Storia presso le scuole secondarie di secondo grado. È autrice della monografia La necessità della scrittura. Alba de Céspedes tra Radio Bari e «Mercurio» (1943-1948), pubblicata per Stilo il 2015. Ha partecipato a diversi convegni nazionali e internazionali.

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