Anna Magnani, libera e anticonvenzionale

by Daniela Tonti

Lo so, sono la donna più discontinua del mondo. Tutto cambia dentro di me da un’ora all’altra. Il fatto è che seguo sempre il mio istinto e il mio cuore. Non mi curo mai di quello che sembro o di come gli altri mi vedono.

Anna Magnani

Nel 1945 anno di Roma città aperta, Anna Magnani aveva trentasette anni, l’età in cui di solito da protagonista si ripiega verso parti di carattere. Non è stato così per lei che proprio alla soglia dei quarant’anni ha iniziato a vivere la sua stagione più ricca. Gia da Roma città aperta era considerata un’attrice a sé, irraggiungibile e diversa da tutte le altre. A dispetto della sua attività a volte frenetica a volte rallentata, come negli ultimi anni, divenne l’attrice per eccellenza.

Le si perdonava tutto, i malumori e le arrabbiature, si ammiravano la risata a squarciagola come i capelli eternamente spettinati. Romana d’origine fin dai tempi della rivista le erano state affidate le parti di Lupa Capitolina e di Dea Roma, di tutto questo lavoro in teatro non rimane quasi nulla se non alcune foto d’epoca. Già dal 1931 comincia a delineare dei personaggi ben precisi di ballerina, di cantatrice, di moglie in un repertorio sempre più articolato. Si forma alla scuola Niccodemi che aveva messo insieme la migliore compagnia teatrale italiana dell’epoca. È l’inizio di un lunghissimo periodo teatrale che finisce con una rivista di Garinei & Giovannini.

Sopravvissuta alla tragedia della guerra e dell’occupazione nazista, la popolana di Roma città aperta si reincarna nell’Angelina di Luigi Zampa. Dopo una serie di ruoli che non le appartengono, il cinema la rivela come un personaggio fondamentalmente dialettale. Una scelta importante che contribuisce a divulgare gli aspetti più appariscenti della sua personalità rischiando però di renderla ripetitiva.

Quando ha iniziato, nel 1934, Anna Magnani non era il tipo che andava di moda al cinema. Le varie Isa Pola,  Maria Denis e le altre stelle emergenti del cinema autarchico avevano canoni di bellezza totalmente differenti.

Anna Magnani non è mai stata un personaggio che si poteva adattare a un copione. Piuttosto si sarebbe dovuto scrivere un copione pensando a lei. Solo quando si è cominciato a farlo, si sono avute le sue interpretazioni più belle.

Il fatto che il neorealismo si sia interrotto, che lo specchio del cinema italiano sia rimasto fermo invece di andare per le strade a riflettere sempre realtà nuove e diverse ha fatto che sì che il personaggio sia diventato subito uno stereotipo in una gabbia, un mito. Uno stereotipo in cui è stata rinchiusa sfruttandola per un successo standardizzato che rincorre sempre se stesso.

Cifre stilistiche della sua arte erano la sua voce ora levata a urlo ora leggera come un sussurro quasi inudibile. Senza dimenticare le espressioni del suo volto che vanno dal basso dolore al pianto, alla risata improvvisa. Dall’uso dei gesti spesso volutamente eccessivi come le braccia protese in avanti, alla mancanza di gesti quando il dolore è troppo forte come il pianto di Bellissima accanto alla figlia piccola nel crollo di ogni illusione fino all’arretrare del suo corpo ne La rosa tatuata al presagio della morte del marito.

Se si chiedeva ad Anna Magnani quale era stata la sua grande gioia, lei rispondeva l’Oscar. Il film per cui è stata premiata è La rosa Tatuata di Daniel Mann, uscito in America nel 1955 e distribuito in Italia solo l’anno successivo. Tutto era iniziato due anni prima quando il produttore Hal Wallis era venuto a Roma con Tennesse Williams a proporle di interpretare questo film che il drammaturgo aveva scritto proprio per lei.  

Il cinema americano le offre ruoli di passioni tempestose, come Selvaggio è il vento di George Cukor dove interpreta Gioia al fianco di Anthony Franciosa, all’epoca marito di Shelly Winters e con il quale sboccia una forte attrazione fino a Pelle di serpente di Sidney Lumet al fianco di uno straordinario Marlon Brando.  

Nel 1962 è la volta di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, un film stroncato dalla critica che addita in Anna Magnani la ragione del fallimento del film. L’attrice risponderà per le rime “in Italia c’è uno strano sistema per cui se i film vanno male tutta la colpa è dell’attrice. Nessuno ha mai dato la colpa a Marlon Brando se il film Desireé era un obbrobrio”. Nel 1965 Franco Zeffirelli le chiede di tornare in teatro per portare La Lupa, Anna accetterà portando in scena un personaggio di grandissimo spicco del quale si era totalmente impossessata.

Mi sono chiesto molte volte come abbia fatto Anna a vivere nella società e a rimanere nel contempo così libera dalle sue convenzioni. Era la donna più anticonvenzionale che io abbia mia conosciuto. Nel mio ambiente professionale e fuori. Guardava chiunque si trovasse davanti ben diritto negli occhi e per tutto lo splendido periodo che fummo amici non udii mai una parola falsa sulla sua bocca .

Tennesse Williams

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