Anna Maria Ortese, “la zingara assorta in sogno” scrittrice aliena e visionaria

by Michela Conoscitore

Qualche anno fa, in un concorso pubblico per docenti, fu sottoposto ai candidati un quesito sul romanzo Il cardillo addolorato: quasi tutti ‘caddero’ su quella domanda con conseguenti bocciature, e criticarono il ministero per aver introdotto nel test un’opera e un’autrice sconosciute. Detto da aspiranti docenti, che si sono affrettati a ghettizzare un’esponente della materia che avrebbero insegnato, suona alquanto discordante. Tuttavia la polemica che si generò, riportò alla ribalta una delle scrittrici più significative della letteratura italiana del Novecento: Anna Maria Ortese. 

Lei è sempre stata una scomoda, ha occupato i cosiddetti banchi in fondo all’aula dei narratori italiani, ma senza rammarico perché per quanto volesse essere riconosciuta come letterata, avendo costruito tutta la sua vita intorno alla scrittura, non biasimava quelli che, dall’alto dei loro podi legittimati, non l’hanno mai inclusa nella propria cerchia esclusiva. Era orgogliosa di appartenere alla classe degli ultimi, dei poveri, dei disadattati e diseredati:

Io sono una persona antipatica, sono aliena, sono impresentabile. Sono esigente col mondo, non vorrei che le cose fossero come sono, ma conoscendo del mondo solo le parti infime e dando giudizi che invece riguardano tutto finisco per sembrare, e per essere, ingiusta. Preferisco non parlare. Io sono in contraddizione continua con me stessa, per questo quando mi si chiedono notizie su di me mi viene rabbia. I soli che possono amarmi sono coloro che soffrono. Se uno davvero soffre sa che nei miei libri può trovarsi. Solo persone così possono amarmi. Il mondo? Il mondo è una forza ignota, tremenda, brutale. Le creature belle che pure ci sono, noi le conosciamo poco, troppo poco.
Intervista di Goffredo Fofi ad Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese nacque a Roma, nel 1914, da padre siciliano e madre napoletana, con origini lunigiane: numerosa e unita, la famiglia Ortese non ha mai posseduto radici forti, sempre stata errante per vicende e vicissitudini che li hanno portati ad abitare in numerose città d’Italia, tra loro enormemente differenti, esperienze che indubbiamente hanno arricchito la futura narratrice. Dopo Roma, infatti, seguirono brevi permanenze in Puglia e in Campania, poi addirittura la Libia, e in seguito ancora l’Italia. Il loro pellegrinaggio terminò a Napoli, nel 1945, città che Anna Maria elesse come suo luogo del cuore:

Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui, (…) tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, (…) tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva (…) una impressione stranissima, come di una orchestra i cui istrumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di meravigliosa confusione.
L’infanta sepolta

Considerata l’esistenza errabonda, l’istruzione della scrittrice fu discontinua, infatti frequentò le elementari e, successivamente, un anno di scuola professionale. Ciò che sorprende della Ortese è la sua proprietà di linguaggio, i suoi mondi narrativi così vasti e articolati generati da un sapere nato da autodidatta. Sarà stata questa una delle sue ‘colpe’ per gli intellettuali italiani, a non ammetterla nel loro personale Olimpo.

Quella famiglia, porto sicuro e rifugio ideale, venne scossa negli anni da lutti imprevedibili e vicende dolorose: due fratelli della scrittrice, entrambi marinai, Emanuele e Antonio, morirono in mare, condannando il resto della famiglia ad un avvenire di nostalgia e disagio psichico. La madre della scrittrice perse la lucidità mentale, e a distanza di qualche anno, col marito, morì lasciando i figli, tra cui Anna Maria e la sorella Maria a gestire le mancanze che si abbatterono così violentemente su di loro. La scrittrice cominciò a scrivere proprio per elaborare e sublimare il dolore di quelle perdite. Con la sorella, Anna Maria convisse per tutta la vita; il rammarico di quel legame, che strinse strettamente entrambe e che condusse Maria a non sposarsi, non la abbandonò mai. Avendo scelto le lettere come mestiere e vivendo arrangiandosi, lo stipendio da statale della sorella servì per sopravvivere. Per lei, la rinuncia al matrimonio non fu un sacrificio, il suo pensiero in merito era molto chiaro: “Il matrimonio non lo concepivo proprio […] perché comporta una quantità di tagli alla propria vita, al proprio tempo, alla propria immaginazione”.

Anna Maria Ortese è sicuramente tra le scrittrici più visionarie della letteratura italiana, e anche quella meno letta forse perché, come spesso accade, precorse i tempi rendendo la sua scrittura, quindi, di difficile comprensione soprattutto per i coevi. Le prose in cui si cimentò inizialmente furono racconti, tra questi Pellerossa, a cui seguì la prima raccolta pubblicata nel 1937 per Bompiani, Angelici Dolori: appoggiata da Valentino Bompiani e Massimo Bontempelli, Ortese fece il suo debutto nel panorama letterario italiano, a cui alternò il lavoro di giornalista e drammaturga.

Tra il 1945 e il 1950 collaborò con la rivista Sud, la cui sede era a Pizzofalcone: diretta da Pasquale Prunas, la rivista annoverava giovani scrittori partenopei come Raffaele La Capria, Luigi Compagnone, Domenico Rea e Tommaso Giglio. La collaborazione giornalistica terminò con la pubblicazione de Il mare non bagna Napoli, nel 1953: il libro, un’alternanza di racconti e reportage, descriveva la città del dopoguerra con sincerità e crudezza. Ortese mise a nudo non soltanto le miserie, i protagonisti del libro sono i deboli, ‘le piccole persone’ come le definirà in una sua opera successiva, analizzò, inoltre, gli abitanti della città nel loro modo di essere autentico, scevro da idealismi coloriti:

Era strano, ma questo che vedevo, per tanti aspetti non mi sembrava un popolo. Vedevo della gente camminare adagio, parlare lentamente, salutarsi dieci volte prima di lasciarsi, e poi ricominciare a parlare ancora. Qualcosa vi appariva spezzato, o mai stato, un motore segreto, che sostituisce al parlare l’agire, al fantasticare il pensare, al sorridere l’interrogarsi; e, in una parola, dà freno al colore, perché appaia la linea. Non vedevo linea, qui, ma un colore così turbinoso, da farsi a un punto bianco assoluto, o nero.
Il mare non bagna Napoli

Non si trattenne nemmeno nel raccontare, con arguzia, l’ambiente culturale napoletano in cui rientravano i suoi colleghi della rivista Sud: l’opera, che in Italia le regalò una parziale notorietà, fu accolta a Napoli con enorme indignazione tanto da costringerla ad abbandonare non soltanto l’incarico alla rivista ma anche e definitivamente la città. Non vi fece mai più ritorno, ma la rievocò costantemente nei suoi romanzi successivi come Il porto di Toledo e Il cardillo addolorato: luogo di contraddizioni e contrasti, Ortese si riconobbe in essa rinvenendo i propri stessi dissidi inconsci. Se la scrittrice poneva quesiti o esternava incertezze, Napoli le rispondeva mostrandole una realtà deformata, a misura del suo mondo immaginario.

Da molto, moltissimo tempo, io detestavo con tutte le mie forze, senza quasi saperlo, la cosiddetta realtà: il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e dal tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante.

Le opere dell’autrice sono ammantate di realismo magico, una corrente che trovò proprio in lei una delle esponenti più prolifiche nel panorama letterario italiano. Immaginifici e, a volte, anche di complessa lettura, oltre a quelli già elencati, scritti come L’iguana mettono in scena realtà parallele, ambivalenti dove è possibile che degli animali si innamorino di esseri umani e assumano atteggiamenti che ricalcano il nostro sentire.

Nel frattempo si trasferì con la sorella prima a Milano, in cui portò a casa il Premio Strega vinto nel 1967 con Poveri e semplici, e in seguito a Rapallo. Amici carissimi furono i poeti Beppe Costa e Dario Bellezza che incoraggiarono la scrittrice, nel corso degli anni, a pubblicare le sue opere e sempre loro firmarono l’appello per far sì che Anna Maria potesse usufruire della Legge Bacchelli, che aiutava cittadini illustri a superare momenti di grave difficoltà economica, quella in cui l’Ortese versò per una vita intera. Il 1986, però, fu un anno fortunato perché la casa editrice Adelphi, diretta da Roberto Calasso, le chiese di ripubblicare la sua intera opera. Questo rinnovato ritorno nelle librerie italiane la portò ad essere pubblicata, per la prima volta, anche in Francia dove riscosse un notevole successo di pubblico.

La ‘zingara assorta in sogno’, come la definì Italo Calvino, morì a Rapallo, dove è sepolta, nel 1998, tre anni dopo l’amata sorella Maria.

Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di essere qui. E dirvi com’è bello pensare strutture di luce, e gettarle come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra, se vengono a occupare i linguaggi, il respiro, la dignità delle persone.
Corpo Celeste

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