Bettina Brentano von Arnim, musa dei poeti romantici, giornalista dei poveri e “bambina” di Goethe

by Anna Maria Giannone

Quando parlo riguardo alla povertà, parlo riguardo al popolo, perché non c’è povero che non appartenga al popolo. A tutti voi poveri, dov’è chi vi dia consiglio, chi vi evochi alla luce dai pozzi dove lavorate, e vi tiri fuori dal forno che vi dissecca il corpo, e dal filare di Lachesi che vi strappa il filo dell’esistenza?

Bucce di patate, la “minestra dei malati”, la fame, il vaiolo, i fondi di caffè. Quella di Bettina Brentano von Arnim, la Sibilla del Romanticismo tedesco, è la prosa romantica di chi accarezza il desiderio di essere la musa ispiratrice dei poeti o la sacerdotessa dei re, in grado, se ascoltata o obbedita, di cambiare le sorti del Paese o di un cuore.

Una scrittrice, una poetessa, Bettina Brentano, che si figurò “bambina” nel suo carteggio con Goethe che pubblicò postumo dopo la morte di lui, in un gioco di riscrittura a posteriori e di memorie di infanzia. Era insieme spontanea e colta manipolatrice perennemente intenta a recitare la parte di se stessa.

Claudio Magris in un saggio la chiama la bambina allo specchio, quando narra un episodio della sua fanciullezza.

“A dodici anni Bettina si guarda un giorno allo specchio, nella stanza in cui si trova con tutta la famiglia. Vede la nonna, le sorelle, e “un viso pallido i cui occhi accesi scrutavano l’immagine riflessa”. Bettina stenta a riconoscersi in quel viso. Non è di per sé un’esperienza eccezionale; il volto degli altri, delle persone che ci sono accanto, ci è sempre più familiare del nostro, che spesso ci appare estraneo e alieno. Da geniale anima, prima ancora che da scrittrice romantica, Bettina fa di questo sentimento di estraneità a se stessi- un sentimento tra i più frequenti e comuni a tutti, almeno in certi momenti- una chiave della propria personalità indefinibile ed enigmatica, una compiaciuta cifra del proprio mistero di creatura elementare e dunque, come la natura, insondabile agli altri e a se stessa”.

Elisabeth Catharina Ludovica Magdalena, detta Bettina, nacque a Francoforte sul Meno il 4 aprile 1785 da Maximiliane von La Roche e Pietro Antonio Brentano, la cui ricca famiglia di commercianti era originaria del Lago di Como. Settima di dodici fratelli, a otto anni rimase orfana di madre e fu educata in un convento di Orsoline, poi, alla morte del padre, andò a vivere dalla nonna materna a Offenbach sul Meno.

Sposò a ventisei anni Achim von Arnim, amico di suo fratello Clemens, pure lui poeta, entrambi appartenenti al gruppo di intellettuali del Romanticismo di Heidelberg e sostenitori delle lotte sociali e per la libertà di stampa.

Ma fu solo 20 anni dopo, alla morte del marito dal quale viveva separata, che Bettina diede inizio al suo impegno sociale e letterario.

Donna piena di contrasti, “diabolicamente vivace e inspiegabilmente pigra, caritatevole e maligna, bugiarda e fin troppo veritiera, ingenua e maliziosa, lieta e malinconica per soddisfare il ghiribizzo del momento”, si segnalò per i suoi epistolari –molto noto appunto quello con Goethe- e per l’impegno politico con un gruppo di giovani letterati pericolosi per lo Stato prussiano, chiamato Junges Deutschland, che avevano rapporti con i giovani europei del movimento politico-letterario di opposizione alla Restaurazione.

Bettina partecipò alla vita sociale leggendo, osservando, tenendo discorsi, scrivendo lettere e progetti. Durante l’epidemia di colera a Berlino del 1831 si occupò dei malati. Per la sua idea di società voleva mettere in atto gli ideali di libertà e uguaglianza della Rivoluzione francese –nel periodo tra l’ascesa al trono di Federico Guglielmo IV nel 1840 e la rivoluzione del 1848.

In quegli anni, nel Vogtland, in 400 abitazioni e sotto l’incubo continuo dell’espulsione, vivevano 2.500 persone. Non erano operai di fabbrica, ma lavoratori e lavoratrici a domicilio, ex tessitori, disoccupati o parzialmente occupati che vivevano di tutte quelle attività occasionali che poteva offrire la città.

Nella sua inchiesta si usa indifferentemente il termine povero e operaio indicando così un mutamento nella nozione di povertà la cui caratteristica fondamentale è la precarietà del lavoro.

L’inchiesta coglie un momento cruciale della formazione della classe operaia tedesca, mette in luce lo sradicamento dalla comunità d’origine, la rottura dei legami sociali; è una testimonianza preziosa del modo in cui fu vissuto il grande trauma dell’industrializzazione

Gli abitanti del Vogtland descritti nel Libro del Re sono individui gelosi della propria dignità di esseri umani, desiderosi di dare un’educazione ai propri figli. C’è spazio nella miseria per il sentimento materno e paterno, per la solidarietà, la generosità, il senso dell’umorismo.

Bettina Brentano credeva nella rivolta morale degli individui.

Quando comparve Il libro del re, un amico, nell’apprezzare l’opera, volle darle anche un consiglio: “Smettete di scrivere per il re, scrivete per i poveri”. E la sua ribattuta fu l’Armenbuch, un’opera complementare alLibro del re. Il Libro dei poveri, o almeno quello che ne è rimasto, è un insieme di documenti tratti dalle amministrazioni pubbliche, un censimento della storia intesa come movimento collettivo, di donne e uomini comuni.

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