Camille Claudel, la scultrice incompresa, baciata dal genio di saper trasformare i marmi in figure dinamiche

by Michela Conoscitore

Questa è la storia di un’ingiustizia, di una donna messa a tacere per la sua straordinarietà non compresa da chi le era accanto, e che fu depredata e prevaricata da chi lei pensava l’amasse e che, invece, mascherava con l’amore invidie e rancori. Questa è la storia di Camille Claudel, una delle poche scultrici al mondo baciata dal genio di saper trasformare i marmi in figure dinamiche, e il bronzo in personaggi di carne.

Camille Claudel visse in Francia, nacque nei dintorni di Parigi nel 1864 da una famiglia benestante. La piccola Camille era la primogenita, anche se nacque dopo un altro fratello purtroppo morto in tenera età; la seguirono Louise e Paul, gli altri figli dei coniugi Claudel. L’emarginazione per Camille cominciò proprio tra le mura domestiche, poiché la madre non le dimostrò mai attenzioni e sentimenti, preferendole la sorella Louise. Gli unici rapporti solidi su cui basò la sua infanzia furono quelli col fratello Paul, e il padre che fu il primo ad accorgersi del suo talento artistico: la piccola Camille modellava già figurine in argilla, sorprendendo per la manualità geniale Alfred Boucher, artista e scultore che insegnava alla celebre Accademia Colarossi di Parigi. Dopo essersi sottoposta ad un esame, dietro suggerimento di Boucher, tutta la famiglia Claudel si trasferì a Parigi per permettere a Camille di perseguire il suo talento.

Probabilmente, se fosse dipeso dalla madre ciò non sarebbe successo anche perché la vita nella capitale era più dispendiosa, cosa che non si sposava bene con l’animo pratico e risparmiatore di madame Claudel. Eppure, Camille grazie al padre proseguì i suoi studi di scultura proprio alla Colarossi, dove venne seguita da Boucher. Nel 1883, quando la donna aveva solo diciannove anni, al posto di Boucher, che lasciò l’incarico di docente per vivere in Italia, come nuovo maestro di scultura arrivò il talentuoso Auguste Rodin: la giovane artista pensò, affascinata dalla personalità di Rodin, che quello fosse l’inizio della sua vita, ma probabilmente, a prescindere dai risultati che raggiunse nello scolpire, quell’incontro sancì la fine non soltanto della sua libertà ma anche del suo benessere psichico.

La relazione con Rodin cominciò immediatamente, nonostante i ventiquattro anni che li separavano. Molti critici d’arte ravvisano, nelle opere dello scultore, un cambiamento riconducibile proprio all’entrata di Camille nella sua vita: le sue opere acquistarono di materialità e spessore, divenendo più significative e distinguendosi nel suo percorso artistico. Intanto, Camille pensava di aver trovato qualcuno che l’amasse, che tenesse a lei davvero e che la proteggesse. I due non giunsero mai all’ufficializzazione della loro unione, poiché Rodin aveva già una relazione, per quanto non fossero sposati, con un’altra donna che gli aveva dato un figlio. Camille accettò tutto, e Rodin oltre ad amarla spasmodicamente e prometterle che l’avrebbe introdotta in ogni circolo artistico che contasse a Parigi, disse di lei: “Stavo insegnandole a scoprire l’oro dentro la materia, in realtà l’oro era già dentro di lei”.

Allontanata dalla famiglia, soprattutto la madre e la sorella, che disapprovavano la sua vita bohemienne e la relazione adulterina con Rodin, Camille in quegli anni riuscì a mantenere i rapporti solo col padre e il fratello Paul. Possiamo immaginarla facilmente lei, così minuta eppure così ostinata e tenace, aggirarsi con le gonne ingombranti (in Francia alle donne era vietato per legge, all’epoca, indossare i pantaloni ndr.) tra attrezzi e blocchi di marmo da scolpire, provando a rappresentare quel che aveva dentro. La relazione con Rodin la stava consumando poco a poco, se lui da lei prendeva linfa vitale, Camille donava inconsapevolmente lavorando per lui e per se stessa. I materiali da lei preferiti, che acquistava appena riusciva a procurarsi il denaro necessario, erano il marmo e il bronzo, e nel corso della sua brevissima attività artistica, durata solo tredici anni, creò opere come Il valzer, Clotho, Sakunthala e L’età matura. Non solo queste opere non vennero comprese, ma Camille fu tacciata di falsità, facendo passare per sue opere di Rodin. Quando, è quasi dato per certo, che invece molte opere dello scultore fossero state ideate a quattro mani.

Il valzer, opera così dinamica e innovativa, fu scolpita da Camille per ricordare il legame con il musicista e compositore Claude Debussy. Di lì a poco, anche la relazione con Rodin si esaurì, avvelenata da soprusi e vessazioni tanto che Camille pensò di essere perseguitata dallo scultore e dalla banda di suoi amici.

In questo momento, vicino alle feste, penso alla nostra cara mamma. Non l’ho mai più rivista dopo il giorno in cui avete preso la decisione di mandarmi in un manicomio! Penso a quel bel ritratto che le avevo fatto all’ombra del nostro bel giardino. I grandi occhi in cui si leggeva un dolore segreto, lo spirito di rassegnazione che regnava sul suo volto, le mani incrociate sulle ginocchia in totale abbandono: tutto indicava la modestia, il sentimento del dovere portato all’eccesso, tutto questo era proprio la nostra povera mamma. Non ho più rivisto il ritratto (e nemmeno lei). Se per caso ne senti parlare, me lo dirai. Non penso che l’odioso personaggio di cui ti parlo spesso abbia l’audacia di attribuirselo, come altri miei lavori; sarebbe troppo, il ritratto di mia madre.”

  • Lettera al fratello Paul (1938)

Quando, nel 1913, venne a mancare il padre, la madre decise di rinchiuderla in manicomio dove trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita in completa e totale solitudine. Fu tenuta in istituto con la diagnosi di schizofrenia, ma in realtà Camille soffriva solamente di una forma di depressione dovuta al pesante fardello psicologico prodotto dalla relazione con Rodin. Non rivide più la madre e la sorella, il fratello Paul andò saltuariamente a visitarla, e inutili furono le sue lettere, indirizzate a differenti destinatari, in cui chiedeva di uscire e tornare libera; richieste caldeggiate anche dal parere dei medici che suggerivano un ritorno al nucleo famigliare, sicuri che avrebbe arrecato notevoli benefici alla loro paziente. La madre, però, non volle mai riprenderla con sé:

Mia madre, mio fratello e mia sorella non ascoltano che le calunnie da cui sono stata investita. Mi si rimprovera (crimine orribile!) di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione! È sulla base di queste accuse che sono incarcerata da cinque anni e mezzo come una criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e dei più elementari conforti. Forse voi potreste, come dottore in medicina, usare la vostra influenza a mio favore. In ogni in caso, se non si vuole concedermi la libertà subito, preferirei essere trasferita […] all’ospedale ordinario, dove voi potreste venire a visitarmi per rendervi conto della mia salute. Qui per me vengono pagati 150 franchi al mese, e dovreste vedere come vengo trattata; la mia famiglia non si occupa di me e non risponde alle mie proteste che con il mutismo più assoluto, così vien fatto di me quel che si vuole. È orribile essere abbandonata in questo modo, non posso impedirmi di essere sopraffatta dal dolore. Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano.”

– Lettera al dottor Michaux (1917)

Camille Claudel, dimenticata da tutti, morì in manicomio a settantotto anni per malnutrizione. Al suo funerale non partecipò alcun membro della sua famiglia, o qualcuno che l’avesse conosciuta e voluta bene. Fu seppellita in una fossa comune, e lì abbandonata. In una delle tante lettere che aveva inviato dal suo ‘carcere’ scrisse:

Un romanzo, un’epopea come l’Iliade e l’Odissea. Ci vorrebbe Omero per raccontarla, sono caduta dentro un baratro, vivo in uno strano mondo. Dal sogno che è stata la mia vita, ora è rimasto solo l’incubo. Da cosa deriva tanta ferocia umana?

Il valzer

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