Edith Wharton, la cantrice della vera New York, prima donna a vincere il Pulitzer con “L’età dell’innocenza”

by Michela Conoscitore

Prima di lei, tutti avevano narrato e descritto gli Stati Uniti e la buona società americana utilizzando toni sensazionalistici che racchiudevano tutta la novità di quella nazione rampante e pronta sempre più a sbalzare dal trono di potenza mondiale le varie Francia, Inghilterra e Russia, appartenenti alla Vecchia Europa, un continente che all’America iniziava ad ispirarsi.

Poi, a squarciare un po’ quel velo di strabilianti primati e inarrivabili self made men, arrivò lei: Edith Wharton. Chi meglio di lei poteva raccontare la vera America, la vera New York proprio perché viveva dentro di essa, parte di un meccanismo ben oliato, costituito da buone maniere e intransigenza? È quello che fece per una vita intera, con registri emotivi differenti, ma sempre efficaci.

Edith Wharton nacque a New York il 24 gennaio del 1862, da un’agiata famiglia dell’alta aristocrazia economica newyorchese: il padre era uno Jones, sulla cui famiglia era stato coniato il celebre adagio “Stare al passo con i Jones”, ad indicare che erano loro quelli da ‘seguire’ come esempio per raggiungere il successo nella società che conta. Edith venne al mondo durante la Guerra Civile, e il padre George temendo la svalutazione del dollaro e la perdita delle proprie fortune trasferì la famiglia in Europa dal 1866 al 1872. Furono in Francia, Germania, Italia e Spagna, fin da piccola quindi Edith respirò cosmopolitismo che, da adulta, avrebbe trasformato in una propensione appassionata per i viaggi.

Quando nel 1872 tornarono a New York, la futura romanziera si vide spaesata in quel luogo giudicato da lei sgraziato e troppo confusionario. La lettura era uno dei suoi passatempi preferiti fin da bambina, a cui si aggiunse ben presto anche la scrittura. I genitori tollerarono queste tendenze artistiche della figlia convinti che, negli anni a seguire, Edith si sarebbe comunque concentrata sul suo obiettivo primario: il matrimonio. Nel frattempo, attinse a piene mani dalla biblioteca paterna, ma le furono vietati dalla madre Lucrezia i romanzi, quelli avrebbe potuto leggerli solo una volta sposata.

A sedici anni pubblicò privatamente una raccolta di versi, e si dedicò a delle traduzioni di opere europee avendo appreso italiano, tedesco e francese nei suoi viaggi all’estero. Se Edith proseguì a coltivare quello che per lei era più che un hobby, la scrittura, i genitori non avrebbero soprasseduto sul suo debutto in società e sulla ricerca di un marito: infatti, dal 1880 al 1890 la giovane abbandonò momentaneamente la scrittura per dedicarsi alle feste danzanti, come desiderato dai genitori. Edith imparò molto poiché iniziò a conoscere quella che sarebbe diventata la principale tematica delle sue future opere, la buona società newyorchese, e ad innamorarsi perché, tralasciando le regole sociali, stiamo parlando pur sempre di una giovane donna.

Henry Stevens, figlio di un uomo d’affari, fu il primo corteggiatore ufficiale della scrittrice, anche se la famiglia non approvava il legame; Henry fu con loro anche nel viaggio in Europa che i Jones furono costretti ad attuare a causa delle precarie condizioni di salute del padre di Edith. La morte di George Jones avvenne nel 1882 a Cannes: il resto della famiglia, la madre, Edith e i due fratelli tornarono subito dopo negli Stati Uniti, seguiti da Henry. Il matrimonio dei due fu annunciato nell’agosto del 1882, ma un mese prima del grande evento, la cerimonia fu annullata senza spiegazioni.

Il primo amore, e secondo molti biografi della Wharton fu quello di una vita intera, è stato Walter Berry. I due si conobbero nel modo più classico, durante l’estate del 1883 a Newport, luogo di villeggiatura della buona società. Al termine della stagione, tutti si aspettavano la proposta di matrimonio, che non arrivò né allora né mai. I due continuarono a scriversi lettere anche negli anni seguenti, mantenendosi sempre in contatto soprattutto quando entrambi si trasferirono in Francia. Berry era un’inguaribile dandy, non adatto alla vita matrimoniale per quanto fosse molto affezionato ad Edith. Archiviato Walter nella sezione ‘amici e nulla più’, e avendo raggiunto la soglia dei ventitré anni, quando una ragazza era già considerata zitella, Edith vide arrivare nella sua vita Edward Wharton di Boston, un rampollo della stessa classe sociale della scrittrice. I due si sposarono nel 1885, e nonostante Eddy avesse tredici anni più di lei, condivideva la stessa passione per i viaggi e la dinamicità della moglie.

I primi anni di vita matrimoniale furono una lunga vacanza, si suppone infatti che Wharton nel corso della sua vita abbia attraversato l’Atlantico ben sessanta volte, una cifra assolutamente inusuale per l’epoca. I Wharton, quindi, si dedicarono ai loro viaggi e all’acquisto di proprietà di cui quella più celebre, The Mount nel Massachussets, fu interamente arredata da Edith con la collaborazione dell’architetto Ogden Codman. Il primo libro pubblicato dalla Wharton fu proprio sull’arredare casa e sul buon gusto con cui farlo, scritto a quattro mani con lo stesso Codman.

Il marito Edward soffriva da sempre di depressione, che lo portò poi nel 1908 a disturbi psichici ben più gravi, il matrimonio terminò allora, anche se nulla attestò al momento la fine del loro legame. In questo periodo, Edith conobbe Morton Fullerton, giornalista più giovane di tre anni, in cui Edith trovò un compagno e un amante. Nel 1913 giunse il divorzio, e dopo il legame terminato anche con Fullerton, Edith decise di trasferirsi a Parigi.

L’attività letteraria della Wharton era iniziata già nel 1902, anno in cui riuscì a pubblicare il suo primo romanzo, La valle della decisione. Quando terminò di rivedere il manoscritto, decise di inviarlo per un parere al suo grande amico Henry James, uno dei più famosi scrittori statunitensi. James espresse un parere positivo sulla scrittura, ma non sul soggetto narrativo scelto da Edith, suggerendole di “non trascurare l’immediato, non trascurare la realtà, quel che è tuo. Afferralo e tienilo stretto. E poi fatti portare dove esso vorrà. Dedicati a New York.” E così fece, poiché i suoi romanzi più celebri analizzarono nei più reconditi aspetti non soltanto la città ma soprattutto l’high society a cui apparteneva e che conosceva molto bene.

La casa della gioia e L’età dell’innocenza appartengono a due momenti distinti della vita della scrittrice, e a fare da spartiacque tra le due opere fu la Prima Guerra Mondiale che colse la scrittrice in Francia. Il primo racconta di Lily Bart, figlia di una famiglia benestante di New York ma senza più mezzi e oggetto di pettegolezzi, che arranca tra feste e salotti in una continua caccia al buon partito da sposare.

Quando una ragazza ha suscitato pettegolezzi può considerarsi finita e tutte le spiegazioni, anche le più veritiere, non fanno che peggiorare la situazione.
La casa della gioia

Quel che emerge chiaramente dal romanzo, oltre all’impossibilità di risalire la scala sociale dopo esserci finiti in fondo, è che se un uomo può decidere se sposarsi o meno, la donna deve, senza alcuna possibilità di scelta o prospettiva diversa. La casa della gioia ottenne un grande successo, con 140 mila copie vendute in soli tre mesi.

Durante la Prima Guerra Mondiale, Edith si impegnò in Francia con numerose attività di volontariato che, in seguito, le valsero la Legion d’Onore, il riconoscimento più prestigioso della nazione. Il conflitto bellico sovvertì la vita di tutti, inclusa quella della scrittrice poiché “aveva scosso fin dalle fondamenta la realtà”. Così, per quanto Edith avesse causticamente criticato le ‘usanze’ e la way of life newyorchese, con L’età dell’innocenza si rifugiò nell’epoca d’oro della sua giovinezza, un luogo al riparo dalle brutture del conflitto. Ambientato negli anni Ottanta dell’Ottocento, il romanzo ha come protagonista un uomo, Newland Archer, diviso tra le regole da rispettare per non deludere famiglia ed esponenti più in vista della buona società, e l’amore vero per la contessa Ellen Olenska:

Era il sistema della vecchia New York, quello di uccidere senza ‘spargimento di sangue’; il sistema adottato da gente che temeva lo scandalo più dei malanni, che anteponeva la rispettabilità al coraggio, che giudicava che niente fosse più incivile delle ‘scenate’, tranne il comportamento di coloro che le provocavano.
L’età dell’innocenza

Wharton non risparmierà critiche con le consuete descrizioni che analizzano la banalità e la vuotezza delle esistenze condotte dai ricchi newyorchesi, ma associa appunto una vena di malinconia per un mondo che è definitivamente scomparso, spazzato via dalla Prima Guerra Mondiale. Per questo romanzo, Edith Wharton vinse nel 1921 il Premio Pulitzer, prima donna a conseguirlo. Dopo la vittoria del Pulitzer, Edith continuò a dividersi tra gli Stati Uniti e la Francia dove nel frattempo aveva acquistato una casa a Parigi e un ex convento nel sud del Paese, che trasformò in chalet. L’ultimo viaggio negli Stati Uniti è datato 1923, per la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa all’Università di Yale. Edith Wharton morì nel 1937, in Francia, e venne seppellita al Cimetière des Gonards a Versailles, accanto all’amico Walter Berry.

A volte ho riflettuto sul fatto che la natura della donna è come una grande casa piena di stanze. C’è l’ingresso, attraversato da tutti, contraddistinto da un gran via vai; il salotto, dove si accolgono le visite formali; il soggiorno, dove i membri della famiglia si alternano; ma oltre ciò, molto oltre, vi sono altre stanze, di cui forse non è mai stata toccata neanche la maniglia della porta; nessuno sa dove conducono; nessuno conosce la strada per raggiungerle; e nella stanza più intima di tutte, il sancta sanctorum, l’anima siede solitaria e attende di sentire il rumore di passi che non giungono mai.
Edith Wharton

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