Elena d’Orleans, l’avventurosa duchessa, Generalissima e generosa crocerossina del primo Novecento

by Michela Conoscitore

Sua Altezza Reale, Elena duchessa D’Aosta è stata una delle personalità di spicco della politica e della cultura internazionale nella prima metà del Novecento. La nobildonna apparteneva alla casata francese dei d’Orleans, e per via materna discendeva dai Borbone di Spagna. Eppure, non reputatela soltanto un’aristocratica dalle mani delicate ed eburnee, perché l’avventurosa duchessa, per quanto fosse nobile, è stata sempre in prima linea nella storia d’Italia, tanto da rubare spesso la scena alla regina Elena del Montenegro, consorte del re Vittorio Emanuele III.

Elena nacque in Gran Bretagna, la famiglia d’Orleans fu esiliata dalla Francia in seguito ai moti rivoluzionari del 1848, poiché ultimi regnanti della nazione transalpina. La duchessa trascorse la propria infanzia e giovinezza tra il Portogallo, dove la sorella Amelie sposò nel 1886 il futuro re, e appunto l’Inghilterra. I genitori acquistarono una tenuta in campagna, nel 1864, dove si trasferirono definitivamente e quindi, Elena crebbe a stretto contatto con la corte inglese. Suoi amici d’infanzia furono i figli del futuro monarca Edoardo VII, inevitabile che, con uno di loro, nascesse una relazione, anche perché come riferisce una fonte dell’epoca, Elena era: “la personificazione della salute e della bellezza femminile, che si distingue come un atleta graziosa e affascinante linguista”.

L’amore con Albert Victor duca di Clarence non fu visto di buon occhio dalla regina Vittoria, nonna del principe, che disapprovava il matrimonio con la nobile Elena perché di religione cattolica. La giovane fece pervenire alla regina la propria decisione di convertirsi alla religione protestante, pur di poter sposare Albert. Se Elena riuscì a convincere la regina Vittoria, fallì miseramente con suo padre e il pontefice Leone XIII: quando rivolse al papa la sua richiesta di abiura della religione cattolica, egli la informò che sarebbe stata scomunicata. Svanito il sogno d’amore col duca di Clarence, Elena rimase per lungo tempo sola, si pensò per lei ad un matrimonio con Vittorio Emanuele III di Savoia, e in seguito col futuro zar di Russia, Nicola II, senza raggiungere una concretizzazione.

Al funerale del padre, nel 1894, re Umberto I inviò, in rappresentanza dei regnanti d’Italia, Emanuele Filiberto duca d’Aosta. Probabilmente un gioco di sguardi bastò per convincere il duca a scegliere Elena come sua futura moglie. Anche in questo caso, l’impresa non fu semplice, perché i rapporti con la Francia non erano ottimali ma, soprattutto, il futuro re Vittorio Emanuele III era ancora scapolo. Il duca d’Aosta, però, sposò Elena il 25 giugno del 1895: da Orleans ad Aosta, la transizione non fu semplice, la ‘francese’ fu accolta freddamente dai Savoia, forse fu anche vista come una minaccia in virtù dell’annoso dibattito sul diritto al trono tra Savoia e Aosta. Elena sarebbe stata una perfetta regina d’Italia: cosmopolita, poliglotta, e a suo agio nell’alta società dell’epoca, la regina Margherita disse di lei: “per educazione e per fisico è una vera inglese, la dicono buona, intelligente e colta, diventerà una bella donna”.

In seguito, il rampollo di casa Savoia impalmò Elena del Montenegro, che inizialmente gli diede due figlie. Emanuele Filiberto ed Elena avevano avuto già due figli maschi, Amedeo e Aimone, e si racconta che Elena accarezzò la possibilità di spodestare i Savoia, vantando la discendenza maschile degli Aosta. Alla nascita di Umberto, nel 1904, queste ipotetiche elucubrazioni lasciarono la mente della dinamica Elena.

Nel 1905, col marito e i figli si trasferì a Napoli, città che rimarrà sempre nel suo cuore: i duchi scelsero l’ex capitale dei Borbone perché Elena soffriva di una malattia ai polmoni, e i climi caldi e assolati le donavano giovamento. La duchessa, anche per via della sua salute cagionevole, da allora, continuò a saziare la sua inesauribile fame di avventura intraprendendo viaggi in Africa, che visitò in quasi tutta la sua interezza, Stati Uniti, Canada, Australia, vaste zone dell’Asia inclusa l’India. Frutto di questi viaggi sono i numerosi ed interessanti resoconti pubblicati in diari come Viaggi in Africa, Verso il sole che si leva, Vita errante e Attraverso il Sahara.

Tornata a Napoli, l’eruzione del Vesuvio nel 1906 la vide in prima linea per prestare soccorso alla popolazione, ugualmente fece con il rovinoso terremoto di Messina nel 1908. Da questi due eventi, nacque dentro di lei il preciso intento di voler aiutare gli altri, i più bisognosi. Nel 1909 seguì il primo corso organizzato a Napoli per infermiere volontarie della Croce Rossa italiana, e nel 1911 si imbarcò sulla nave Menfi diretta in Libia, a fronte della guerra italo-turca, per la sua prima missione come Ispettrice generale delle Infermiere Volontarie. La sua partenza fu osteggiata dal marito, dai Savoia e dal presidente del consiglio Giolitti, ma Elena tornò ‘vincitrice’, temprata da quell’esperienza e forte, anche, della profonda ammirazione che il Vate, Gabriele D’Annunzio cominciò a nutrire per lei, dedicandole una delle Canzoni delle Gesta d’Oltremare, contenute nella raccolta poetica Merope:

E quegli ch’ebbe stritolato il mento

dalla mitraglia e rotta la ganascia,

e su la branda sta sanguinolento

e taciturno, e i neri grumi biascia,

anch’egli ha l’indicibile sorriso

all’orlo della benda che lo fascia,

quando un pio viso di sorella, un viso

d’oro si china verso la sua guancia,

un viso d’oro come il Fiordaliso.

Sii benedetta, o Elena di Francia,

nel mar nostro che vide San Luigi

armato della croce e della lancia.

  • Gabriele D’Annunzio, Canzone ad Elena di Francia

Fu con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che la duchessa d’Aosta dimostrò apertamente il suo valore e coraggio: soprannominata la Generalissima per via del cipiglio autoritario e fermo con cui coordinava le sue diecimila infermiere, Elena fu protagonista sul fronte, accanto ai soldati e tutelando il preziosissimo lavoro delle sue collaboratrici, spesso sottovalutato o ritenuto d’impiccio nelle trincee. Tenne un diario, durante gli anni di guerra, dove annotò in modo telegrafico le sue giornate al fronte, la lotta quotidiana contro i generali che non collaboravano a migliorare situazioni igieniche disastrose, e l’orrore dei campi di battaglia. Anni dopo, affermò: “Niente potrà cancellare la visione mostruosa della guerra”. A Venezia, rimase accanto ad un giovane fante morente, che negli ultimi istanti di vita l’aveva ritenuta sua madre. Non si tenne lontana dalla linea del fuoco, e con la ritirata di Caporetto si assicurò che tutte le sue crocerossine fossero al sicuro, prima di mettere sé stessa in salvo. Se prima del conflitto bellico, Elena era ritenuta una socialite aristocratica e presenzialista, col suo formidabile esempio nelle trincee fu considerata un’eroina, e divenne a tutti gli effetti figlia d’Italia. Ricoprì la carica di Ispettrice Generale delle Crocerossine fino al 1921, la quale in seguito divenne onoraria, e poi nel 1933 passò a Maria Josè del Belgio, consorte di Umberto di Savoia, alla quale Elena fu molto legata, per affinità elettive.

Elena d’Aosta, per il suo impegno umanitario durante la guerra, fu decorata con una medaglia d’argento al valor militare, due croci al Merito di Guerra, due onorificenze francesi, una inglese, e la prestigiosa medaglia Florence Nightingale.

La fama di Elena non è del tutto giunta ai contemporanei, perché è stata offuscata dalle sue simpatie per Benito Mussolini. La duchessa fu colpita da una damnatio memoriae, e i suoi meriti, precedenti alle simpatie per il fascismo, furono sminuiti o dimenticati. Dopo la morte improvvisa del marito Emanuele Filiberto nel 1931, e la tragica perdita dei figli Amedeo, in Etiopia durante la Seconda Guerra Mondiale, e Aimone a Buenos Aires nel 1948, la duchessa, nonostante l’esilio dei Savoia in seguito al referendum del 1946, decise di rimanere a vivere in Italia, presso la Reggia di Capodimonte a Napoli. Proprio durante il secondo conflitto mondiale, il nipote Amedeo raccontò un aneddoto che la riguardava e si svolse proprio nella reggia partenopea: “Un giorno un soldato tedesco viene colpito da una fucilata tirata da una delle finestre del palazzo. Poco dopo, si presenta un colonello delle SS con i suoi uomini armati di mitragliatrici, e fa allineare al muro tutti i domestici, chiede di denunciare il colpevole. Mia nonna scende dai suoi appartamenti, e dice al colonnello: Signore, in questo palazzo niente si fa senza che io lo sappia. Dunque sono l’unica responsabile. Se lei ha qualcosa da dire o da fare, è a me che si deve rivolgere. L’ufficiale rimase impressionato dalla presa di posizione di nonna Elena, e andò via coi suoi soldati. A Napoli, ancora lo si racconta”.

Quando Capodimonte fu trasformato in un museo, la duchessa si trasferì a Castellamare di Stabia, però prima donò tutte le sue memorabilia di viaggi e imprese alla Biblioteca Nazionale di Napoli: undicimila volumi e opuscoli, e 9800 foto che raccontano la sua vita, sociale e privata. Questi documenti andarono a formare il Fondo Aosta, conservato presso la Biblioteca in Piazza Plebiscito, e tuttora consultabile.

La Generalissima si spense a Castellamare, il 21 gennaio del 1951: Elena fu probabilmente soddisfatta della vita che aveva condotto, era riuscita ad imporsi sui Savoia, sui generali e a coordinare valevolmente un esercito di donne, gli angeli determinati e determinanti del fronte.

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