Elsa Schiaparelli, il mito dell’haute couture per donne che sanno osare ed essere forti

by Michela Conoscitore

Quale avvenire predireste ad una bambina che, accortasi di essere meno graziosa della sorella maggiore, opinione questa anche avallata dagli stessi genitori, decise di abbellirsi inserendo in ogni punto possibile del suo corpo, semi di fiori e piante che, una volta fioriti, l’avrebbero resa meravigliosa ed unica? Immagino risponderete suggerendo qualche mestiere creativo, e avreste indirizzato bene questa ragazzetta già così alternativa a sette anni. Certamente, se i genitori non si fossero accorti della sua ‘impresa’ floristica, che quella volta la mise in serio pericolo, oggi non avremmo ammirato e apprezzato le creazioni della stilista Elsa Schiaparelli.

Elsa nacque a Roma, nel settembre del 1890: lo stile fece parte della sua vita fin dal principio, perché la famiglia Schiaparelli, discendente da aristocrazia piemontese e napoletana, abitava nello splendido Palazzo Corsini, in via della Lungara a Trastevere. In quella cornice, la futura stilista trascorse la sua infanzia e adolescenza, creando non pochi turbamenti al padre Celestino e alla madre Giuseppa.

A differenza della bella e compita sorella Beatrice, Elsa era già irrequieta e sperimentava qualsiasi cosa attirasse il suo ingegno: per esempio, oltre all’esperimento con i semi di piante e fiori, una volta provò a lanciarsi da una finestra del palazzo, per testare un ombrello come paracadute. L’inquieta adolescente, col tempo, dimostrò inclinazioni umanistiche, così appoggiata anche dal celebre zio astronomo, Giovanni Schiaparelli, si iscrisse alla facoltà di Filosofia; una sua passione di quegli anni era la poesia, che la portò a pubblicare una raccolta, Arethusa. Se avete iniziato a percepire lo spirito di Elsa, avrete già capito che non erano semplici componimenti sentimentali, ma poesie licenziose. I genitori decisero di iscriverla in collegio, nella Svizzera tedesca, per provare a sedare quello spirito così irriverente. Dopo qualche anno, trovarono per lei un buon partito, un nobiluomo russo, che Elsa classificò come noioso. Sviò il matrimonio combinato dai genitori grazie ad una proposta di lavoro, a Londra, come tata.

La sua permanenza nella capitale britannica non solo le donò la libertà, ma anche un marito, quello che si era scelta lei: lui era il conte polacco William de Wendt de Kerlor, che sposò nel 1914. Del conte, un teosofo, Elsa scoprì in seguito la vera natura, come accade usualmente: uno spiantato in cerca di patrimoni, e per giunta anche truffatore. La coppia si trasferì dapprima a Nizza, e poi a New York dove nel 1920 nacque la loro unica figlia, Maria Luisa Yvonne Rahda detta ‘Gogo’. Il divorzio giunse nel 1922, ed Elsa si ritrovò sola con una figlia ammalata di una grave forma di poliomelite. In questo periodo cercò di recuperare denaro per tornare in Europa, curando compravendite con degli antiquari. In questo ambiente, conobbe l’artista dadaista Francis Picabia: con lui e la moglie Gaby, Elsa strinse un forte legame di amicizia, e grazie a loro conobbe artisti come Man Ray e Marcel Duchamp. In seguito i tre, con la piccola Gogo, tornarono in Europa, a Parigi, qualche anno dopo.

A Parigi, Elsa, madre single e senza entrate doveva inventarsi qualcosa per sopravvivere. Un giorno, durante una passeggiata in rue du Faubourg Saint-Honoré, entrò con un’amica nell’atelier del famoso stilista Paul Poiret. Elsa provò vari capi, tra cui un cappotto che, per quanto l’avesse colpita, non potette acquistare. Poiret glielo donò, dicendole che: “Lei potrebbe indossare qualunque cosa in qualunque posto”. Questo incontro siglò la sua prima collaborazione nella moda, infatti Elsa divenne allieva di Poiret che le insegnò tutti i segreti della sua arte. Al termine dell’apprendistato, grazie alla sua inesauribile fantasia e inventiva, la stilista iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di qualche capo da rivoluzionare e reinventare. Ovviamente, lo trovò: i maglioni, nei primi del Novecento, erano capi indossati solo dai contadini in campagna. Elsa donò loro un nuovo utilizzo, trasformandoli in pezzi da haute couture. Con l’apporto dell’artigiana armena Mikaëlian, la Schiap, così si farà chiamare d’ora in poi per facilitare la pronuncia del suo cognome agli amici stranieri, ideò una serie di maglioni che sono entrati nella storia della moda mondiale, il più famoso è il bow-shirt. La peculiarità delle creazioni di Elsa era quella di associare l’arte alla moda: i maglioni riproducevano fiocchi, figure geometriche, ossa umane e altri disegni grazie alla conosciuta tecnica artistica del trompe-l’œil.

Creazioni Schiaparelli

Il 1928 è l’anno della prima collezione e del trasferimento nella sede di rue de la Paix, uno spazio più ampio per accogliere le richieste crescenti dei suoi acquirenti. Elsa può vantare vari primati, tra i tanti forse il più importante fu la ‘spettacolarizzazione’ delle sfilate: quelle a cui noi assistiamo oggi, (le più belle sono firmate Chanel, e si tengono ogni stagione al Grand Palais di Parigi), sono un mix tra musica e teatralizzazione dei capi d’alta moda, frutto della verve esibizionista della stilista.

Il suo sperimentalismo nella moda, negli anni Trenta, toccò vertici altissimi quando decise di impiegare materiali moderni che i più non avrebbero mai pensato potessero dialogare con la raffinata seta e la spumosa organza: così, nei suoi modelli irruppero il tweed, il rayon e il rhodophane, un materiale plastico che Elsa riconvertì per degli abiti da sera. Nel 1934, arrivò nella sua vita il surrealista Salvador Dalì; i due stringeranno non solo una proficua collaborazione artistica, ma anche una profonda amicizia, fu l’incontro di due menti rivoluzionarie e ribelli. Elsa e Salvador diedero vita a capi e accessori che fecero furore tra le donne dell’alta borghesia. Il surrealismo conquistò l’alta moda, e così nacquero l’abito aragosta, il cappello a forma di scarpa, i guanti con scaglie di pitone, e altre creazioni dove Elsa riprodusse le opere dell’amico.

Non dobbiamo dimenticare che in quegli anni, a Parigi, lavorava un’altra mitica couturière, profondamente diversa da Elsa, seppur geniale col suo stile e la sua classe: Gabrielle ‘Coco’ Chanel. Quando Elsa trasferì la sua attività da rue da la Paix a Place Vendôme, poco distante da rue Cambon, sede della maison Chanel, le due stiliste iniziarono a detestarsi cordialmente: se Coco, al sentir nominare il nome di Elsa, esclamava: “Ah sì, l’artista che fa abiti”, la stilista italiana, nei suoi 12 comandamenti per una donna, indirizzò una frecciata proprio all’illustre collega dicendo: “Il 90% delle donne ha paura di esagerare, e di quello che dirà la gente. Quindi comprano un completo grigio. Dovrebbero fare diversamente”. Gli stili delle due creatrici di moda, infatti, non potrebbero essere più diversi: se a Gabrielle piaceva la semplicità e il rigore accompagnato da un filo di perle, ad Elsa piaceva stupire e scioccare. Proprio questo irrefrenabile desiderio di stupire che la portò ad individuare anche una nuance mai utilizzata prima, da lei ribattezzata rosa shocking: “Ho dato al rosa la forza del rosso ed è diventato un rosa irreale.

Se la stilista era riuscita a passare indenne la Prima Guerra Mondiale e la crisi economica del 1929, non accadde altrettanto con il secondo conflitto bellico. Inizialmente applicò la sua ironia anche alla moda di quel periodo, provando a sdrammatizzare creando una tuta che richiamava quelle dei paracadutisti. Però le sue collezioni non ebbero successo, ed Elsa comprese che: “Nei periodi di crisi, la moda è sempre oltraggiosa.” Tornò a New York, dove raggiunse la figlia Gogo che nel frattempo si era sposata e aveva avuto due bambine: da qui, con una serie di conferenze, raccolse aiuti e medicine per i parigini sotto assedio nazista. Al suo ritorno in Europa, nel 1941, la situazione precipitò e fu costretta a ritornare nuovamente negli Stati Uniti.

Nel 1945 lanciò la sua prima collezione post conflitto, nel suo atelier erano a lavoro già da un po’ i grandi, ma allora molto giovani, Hubert de Givenchy e Pierre Cardin. Le sue creazioni irriverenti non trovarono più il favore delle signore benestanti, che furono totalmente rapite dai new look di Christian Dior e Balenciaga. Schiap dichiarò bancarotta nel 1954, ritirandosi nella sua villa in Tunisia, e da qui fece la spola tra Parigi e New York; la stilista italiana non solo ha saputo sovvertire i canoni della moda dell’epoca, liberandola dalle briglie della severità ereditato da bustini e corsetti, ma liberò anche le donne, donando loro linguaggi alternativi per esprimere la loro femminilità, sempre più dinamica. Morì nel 1973, nella sua amata Parigi. La stilista ha saputo spargere semi, quegli stessi che lei usò da bambina, per coltivare non solo bellezza ma anche sicurezza nelle donne. Osare ed essere forti, era questo il credo di Elsa:

Molti uomini ammirano le donne forti ma non le amano. Alcune donne riescono ad essere forti e dolci allo stesso tempo, ma la maggior parte di quelle che hanno deciso di andare avanti per la loro strada a testa alta hanno perso la felicità.

Elsa Schiaparelli

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