Etty Hillesum, la voce dell’Olocausto e del senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi

by Michela Conoscitore

Molte delle testimonianze, che sono pervenute ai contemporanei sulle deportazioni degli ebrei nei campi di sterminio nazisti, sono state redatte da donne: la più celebre è quella di Anna Frank, col suo Diario. La cronaca di un periodo buio della storia mondiale, raccontato con il candore e la semplicità di una ragazza che, nonostante la sua età, ha descritto in ogni pagina non solo la dura quotidianità, le (poche) frivolezze dell’adolescenza e il primo amore, ma anche un’inesauribile e appassionata voglia di vivere. Questo è quello che lega Anna ad un’altra donna della Shoah, vissuta come lei ad Amsterdam, e morta ad Auschwitz nel novembre del 1943, due mesi dopo il suo arrivo lì.

Etty Hillesum, ebrea di origini russe, è stata forse una delle voci più toccanti e umane che hanno raccontato l’Olocausto attraverso il suo Diario e le sue Lettere, entrambi pubblicati in Italia dalla casa editrice Adelphi. Etty, giovane donna che è cresciuta e maturata durante quegli anni così insensati, da chi ha letto i suoi scritti, è stata spesso rivestita da un’aura di santità poiché grazie al rapporto con lo psico-chirologo Julius Spier, allievo di Jung, la donna ha conosciuto e trovato la fede in Dio, che l’ha guidata fino alla sua morte. Però, ridurre semplicemente Etty ad una martire significherebbe ignorare la sua personalità, complessa e sfaccettata: prima di tutto, era una donna che amava, passionale e piena di contraddizioni.

Etty nacque nel 1914, il padre era un ebreo olandese e la madre russa, giunta ad Amsterdam dopo un pogrom. Dopo di lei, la famiglia accolse altri due fratelli. Gli Hillesum avevano un rapporto molto stretto con la cultura, la stessa Etty, dopo la laurea in giurisprudenza, si iscrisse alla facoltà di Lingue Slave che non riuscì a terminare a causa della guerra, ma concluse il corso di russo, la lingua materna. Nel suo Diario è possibile rintracciare i numerosi autori da lei amati come Rilke, Tolstoj, Dostoevskji, Puskin, Cechov, Mann, Sant’Agostino, e in ultimo la Bibbia. Alla religione l’avvicinò il dottor Spier, e sempre lui le consigliò di tenere un diario. Quindi, la donna scrisse così la sua prima pagina: “E ora questo sconosciuto, questo signor S. dal viso complicato, ha compiuto miracoli in una settimana.

Etty si rivolse a lui dopo un periodo durante il quale aveva provato ad affrontare la depressione, patologia di cui anche il fratello Mischa soffrì, ma con scarsi risultati. Spier, un uomo maturo e illuminato, fu per lei non soltanto un terapeuta ma anche un amico e un amante, la sua prima relazione importante. Nel Diario, sono numerose le riflessioni sull’amore e su quel che desidererebbe una donna da una relazione, pensieri lucidi e innovativi che raccontano molto del suo universo interiore, di un essere umano in cammino verso il perdono e l’accettazione di sé stessi, come esseri fallibili con ‘cuori pensanti’:

Noi donne vogliamo eternarci nell’uomo. Io voglio che lui mi dica: tesoro, tu sei l’unica per me e ti amerò in eterno. Ma questa è una favola. E fintanto che non me lo dice, tutto il resto non ha senso e non esiste. E il buffo è che non voglio affatto, non vorrei avere S. come eterno, come unico uomo, però pretendo il contrario da lui. Forse pretendo un amore assoluto proprio perché io non ne sono capace? E poi, desidero sempre lo stesso livello di intensità mentre so bene che una cosa simile non esiste.

Quel che Etty comprese di sé stessa, anche grazie alla relazione con Spier, è che un uomo non soltanto può cambiarti la vita ma anche lo sguardo, può farti accedere ad una parte nascosta dell’anima e, allo stesso tempo, scioglierti sessualmente, anche se: “alla fine, il grido liberatore rimane sempre chiuso in petto per timidezza”. Leggere questi pensieri fa comprendere quanto questa donna fosse sulla strada giusta per la conquista di una femminilità all’avanguardia, in anticipo sui tempi in cui ha vissuto. La Hillesum assalì le proprie paure, guardò senza filtri le sue mancanze e abbracciò i suoi difetti, perché aveva compreso che inondando d’amore sé stessa, si sarebbe liberata di quella pesantezza dell’anima: “Non sono i fatti che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa“.

Nel frattempo, la Storia procedeva spedita verso la follia: Etty collaborò dapprima col Consiglio Ebraico, ed in seguito al campo di raccolta di Wasterbork, impieghi che la tennero lontana per un po’ dal pericolo di deportazione ma che le permisero di condividere col suo popolo quell’inspiegabile carneficina a cui la dittatura nazista li aveva condannati. Toccarono anche a lei gli estranianti interrogatori delle SS, da cui però Etty non si lasciò intimidire. Anzi scrisse sul Diario questo pensiero, quasi velato di ironia: “Il fatto storico è che io non ne provassi sdegno; anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: Hai avuto una giovinezza così triste o sei stato tradito dalla tua ragazza?

Mentre le radio inglesi, nel 1942, davano notizia che dall’aprile precedente erano morti già settecentomila ebrei (al termine del conflitto bellico, si saprà che a perdere la vita furono circa sei milioni), Etty riportò questa riflessione nel Diario:

Le mie battaglie le combatto contro di me, contro i miei propri demoni: ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s’accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità. Io non odio nessuno, non sono amareggiata: una volta che l’amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito. Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so: Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato.

Etty ebbe la possibilità si salvarsi ed evitare la deportazione, ma volle andare incontro al destino del suo popolo: lei con i genitori e il fratello Mischa furono trasferiti da Wasterbork ad Auschwitz. Da una delle feritoie del treno della morte, la donna fece scivolare una cartolina che un contadino trovò ed imbucò, per spedirla alla destinataria. Etty vi aveva scritto: abbiamo lasciato il campo, cantando.

La Hillesum, in una delle sue ultime lettere, scrisse le righe successive come monito, per ricordare che l’umanità è il bene più prezioso:

Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva. Certo che non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei, ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà.”

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