“La mia passione per il cinema nasce dal desiderio di libertà”. Un colloquio con Cecilia Mangini

by Paola Manno

È in piena attività. Il suo ultimo film, Due Scatole dimenticate – Un viaggio in Vietman, presentato in prima assoluta a Rotterdam, tornerà in autunno a far parlare i festival in Italia e all’estero. Prestigiose realtà come il Centre Pompidou di Parigi e la Viennale le hanno dedicato nell’ultimo anno rassegne, omaggi, premi. Tra questi, anche il Macro di Roma, dove il neo direttore Luca Lo Pinto ha scelto il suo “Essere donne” per inaugurare la nuova stagione espositiva del museo. Non si fa mancare i progetti nel cassetto, come il nuovo film su Grazia Deledda che sta realizzando con Paolo Pisanelli. É Cecilia Mangini, regista nata a Mola di Bari 93 primavere fa, pioniera del documentario in Italia e autrice prolifica, celebrata dalla Gold Edition de La Festa di Cinema del reale, che si è conclusa a Corigliano qualche giorno fa.

L’ho raggiunta telefonicamente per un’intervista.

Se avessi potuto incontrarla dal vivo, le avrei innanzitutto elencato le parole che mi fanno pensare a lei, Signora Mangini, e ai suoi film, per collegare queste parole a delle domande.

Queste parole sono: poesia, donne (al plurale, è importante), corpo, luogo, domani. È mia opinione personale che spesso la povertà di mezzi si accompagna alla potenza della fantasia, necessaria quando non si opera con tutto ciò che servirebbe. Per questo mi affascina il mondo del documentario, la “Cenerentola” del cinema, che a volte in condizioni estreme produce piccoli capolavori.

In ogni suo lavoro, mi colpisce il lato poetico, che viene dai testi, innanzitutto, ma anche da alcune bellissime immagini che colgono la fragilità umana. Come nasce il suo interesse per il cinema documentario, come si è mantenuto vivo, da cosa è stato alimentato?

Non sono d’accordo sul fatto che il documentario sia la ‘Cenerentola’ del documentario. L’avete detto in un passaggio dell’intervista, mi sembra importante intervenire in merito. Tornando alla sua domanda, avevo vent’anni e non volevo essere una casalinga. Allora il destino delle bambine era di starsene a casa, accanto alle madri che insegnavano a ricamare, cucire. All’epoca guardavo con un’invidia benefica ai bambini che avevano il permesso di giocare per strada. La mia passione per il cinema nasce così, è un desiderio di libertà. Un film per me è equiparabile a un romanzo, con i suoi personaggi, belli, brutti, cattivi, buoni, sofferenti. Conquista il cuore, l’anima e il cervello.

Trovo il documentario “Essere donne” di una straordinaria modernità. Le immagini che aprono il film, queste foto di donne perfette e patinate, mi hanno ricordato quelle de “Il corpo delle donne”, di Lorella Zanardo, che 50 anni dopo denuncia la condizione di molte donne che vivono seguendo modelli impossibili. Lei ha raccolto con grandissima onestà intellettuale, e con coraggio, aggiungerei, testimonianze di donne diverse per provenienza che hanno raccontato la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro. Ha denunciato con parole chiare la morale ipocrita che in quegli anni celebrava “le gioie della famiglia”. Quello che trovo interessante, in questo suo lavoro, è soprattutto la coscienza di queste donne: la sento nell’operaia che dichiara “Non ce ne rendiamo conto, ma crepiamo 20 anni prima”. Il suo lavoro mi fa sentire tutta la sofferenza delle donne, delle nostre nonne e madri, ma anche di moltissime donne che ancora oggi “non hanno tempo per sé” . Come vede oggi la donna italiana? Dove siamo arrivate, secondo lei?

Le donne oggi continuano a non aver tempo per loro stesse perché il maschilismo non è morto. La convinzione che le donne ancora oggi possano essere sfruttate persiste ancora. Basterebbe cambiare gli orari di lavoro…

Nei suoi lavori, mi colpisce molto la “fisicità”… questi volti in primissimi piani, questi corpi che si spingono, si abbracciano, si toccano in gesti a volte impetuosi, i dettagli sulle mani delle lavoratrici, i ragazzini che si gettano nel fango… Qual è il modo in cui ha lavorato con i protagonisti dei suoi lavori, com’è entrata in confidenza con loro, come è riuscita a tirar fuori da questi corpi anche l’anima di queste persone?

Alla fisicità dei corpi sono arrivata grazie alla mia passione per i musei, dove i grandi pittori hanno dato carne e sangue alle loro figure pittoriche. Penso ad Antonello da Messina a Mantegna, a Caravaggio.

Anche i luoghi che lei ha raccontato sono indicativi del suo impegno civile, di un desiderio di denuncia. C’è un posto particolare che resta nel suo cuore?

Non esiste per me un luogo in particolare perché per me il posto particolare è il mondo.

In questi anni bui, difficili, caratterizzati anche politicamente da un orientamento di esclusione e di paura dell’altro, qual è, a suo avviso, il ruolo del cinema?

Il ruolo del cinema è importante. É quello di superare le barriere ma non basta. Occorre leggere, pensare, agire, studiare. E occorre farlo ogni giorno. Perché chi è un pigro è un poveraccio.

La mia ultima parola, naturalmente, è “grazie”. Per le sue risposte, ma soprattutto per il suo lavoro così importante, così vivo. E calorosi auguri di buon compleanno!

La ringrazio di cuore.

*PH Credits: Alessandra Tommasi

Due scatole dimenticate_ ph Cecilia Mangini
Facce_Rutigliano, una fotografia di Cecilia Mangini_Cdr2020
Veduta-della-mostra-Museo-per-l’Immaginazione-Preventiva.-Cecilia-Mangini
©AlessandraTommasi2017
Cecilia Mangini all'ultima edizione di CDR2020_ph Alessandra Tommasi
Lo schermo di Cinema del reale 2020 celebra Cecilia Mangini

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