Le tagliatelle di Lucrezia Borgia

by Fabrizio Simone

Chiunque aprisse questo articolo con la speranza di scoprire presunte abilità culinarie della mitica Lucrezia Borgia rimarrebbe profondamente deluso. Stando alle fonti in nostro possesso, l’unica figlia di papa Borgia non amava i fornelli, anzi si teneva alla larga dalla cucina, ambiente a lei estraneo. E allora quali sono queste tagliatelle?

Il nostro racconto parte da un anno preciso quanto emblematico, il 1500.  La bella Lucrezia, a soli 22 anni, è già vedova ed ha alle spalle ben due matrimoni (col suo primo marito, Giovanni Sforza, conte di Pesaro, le nozze non furono mai consumate): l’amatissimo marito Alfonso d’Aragona, di tre anni più giovane, viene strangolato da un sicario di suo fratello, il perfido Cesare Borgia, e suo padre, papa Alessandro VI, la dà in sposa al terzo ed ultimo marito della sua vita, il ferrarese Alfonso d’Este.

Ovviamente Lucrezia non ha mai visto Alfonso e quest’ultimo muore dalla curiosità di vederla prima delle attesissime nozze. Così  intraprende un viaggio a cavallo – trenta chilometri in sella, da Ferrara a Bologna –  per raggiungere la sua bella, ospitata da Annibale Bentivoglio, genero del duca di Ferrara, presso la sua villa bolognese. Qui, però, Alfonso resta soltanto due ore, il tempo necessario per conoscere Lucrezia nei punti giusti, che sa come fare breccia nel cuore (e non solo lì) del bell’Alfonso, indifferente alla cultura e amante dello sport, nonché vedovo di Anna Maria Sforza, la quale preferiva le attenzioni di una sua servetta nera a quelle del marito.

Certo in passato Alfonso ha avuto un incidente che gli ha procurato (e gli procura tuttora) terribili eruzioni di pustole sul viso, ma Lucrezia chiude un occhio e gli perdona perfino l’ignoranza del greco e del latino.               Del resto Alfonso ha tra i suoi hobby la creazione di ceramiche e quale moglie potrebbe essere in collera col produttore dei piatti che scaglierà a terra durante prevedibilissimi litigi di coppia? E poi suo fratello è il potentissimo cardinale Ippolito d’Este, che si diletta nella caccia. Le sue prede preferite sono gli orsi e le belle donne. In Ungheria, inoltre, ha scoperto il fascino dell’esotico e nel suo palazzo di Ferrara nasconde un leopardo addomesticato. Non conviene chiedere il divorzio quando hai un cognato del genere, che in gioventù ha frequentato anche la corte del principe Vlad di Transilvania alias Dracula.

Quindi all’inizio del 1503 Lucrezia è in viaggio per raggiungere Ferrara. Tra i suoi bagagli c’è di tutto: tovaglie, tendaggi, baldacchini, cuscini, tappeti, candelabri, piatti e bicchieri, un crocifisso di cristallo, calici d’oro, ampolle, libri sacri per la cappella privata, ma anche gonnelle, corpetti, scarpe, cappelli, cinture, ventagli (spicca quello con 100 piume di struzzo) ma mancano le mutande. In Italia le utilizza l’unica donna in grado d’urtarle i nervi, sua cognata Isabella d’Este. Se il guardaroba e il corredo di Lucrezia sono passati alla storia per la loro abbondanza e la loro ricercatezza, i libri che Lucrezia porta nella sua futura dimora sono davvero pochi. Quindici in tutto: la Divina Commedia, un testo non identificato di Petrarca, la grammatica latina del retore Elio Donato (visse nel V secolo d.C. e fu maestro di san Girolamo) e opere religiose. Lucrezia non ha tempo per la lettura, deve curare i suoi leggendari capelli d’oro lunghi un metro e mezzo. La precedente gravidanza e la recente malattia li hanno indeboliti. Servono maschere rinforzanti al tuorlo d’uovo  e polvere di rane essiccate, oltre che impacchi allo zafferano.

Bloccata a Bologna per problemi tecnici legati ai capelli (che tinge poiché è una falsa bionda), Lucrezia ha un solo pensiero: lavare l’aurea chioma. Al suocero che l’aspetta in pompa magna a Ferrara, l’iroso Ercole d’Este, dirà che lo shampoo settimanale è l’unico rimedio contro le sue ricorrenti emicranie. Ma a Lucrezia serve almeno una settimana per lavare ed asciugare correttamente i capelli e così viene accolta dal signore di Bologna, Giovanni II Bentivoglio, papà del precedente Annibale. Per l’occasione Bentivoglio dà un banchetto in onore di Lucrezia in cui commissiona al suo chef personale, mastro Zefirano, un piatto ispirato ai riccioli biondi della bellissima nobildonna di origini spagnole, le tagliatelle. La sfoglia di pasta all’uovo tagliata in lunghe strisce che ricordano ciocche dorate gode ancora di ottima fortuna, proprio come la donna che l’avrebbe ispirata.

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